Capitale mondiale del gioco d’azzardo, ma la crescita del business ha rallentato. All’origine, sia fattori strettamente economici sia il giro di vite anticorruzione in corso nella Repubblica Popolare. Il punto è che Macao è una delle principali porte per i capitali che fuggono dalla Cina continentale. Nel 2006 ha superato Las Vegas come capitale mondiale del gioco d’azzardo, ma il business di Macao come capitale del vizio sembra in calo. L’ex colonia portoghese ora “zona amministrativa speciale” della Cina (come Hong Kong), ha totalizzato quarantacinque miliardi di dollari di revenues l’anno scorso, tuttavia i maggiori gestori di casinò calano in borsa: nelle ultime settimane, MGM è sceso del 2,3 per cento, Sands dell’1,6 sulla piazza di Hong Kong. A luglio – dice Bank of America Merrill Lynch – il lordo dell’azzardo potrebbe diminuire fino al 11 per cento rispetto all’anno precedente.
Secondo gli operatori dei casinò locali, la colpa è soprattutto del rallentamento dell’economia cinese, dato che i giocatori d’azzardo che affollano Macao sono soprattutto ospiti danarosi in arrivo dal continente. Ci sarebbe poi la concorrenza di nuove mecche internazionali del gioco d’azzardo, come le Filippine e il Giappone, dove gli stessi tychoon della zona amministrativa speciale cominciano per altro a investire.
È questo ad esempio il caso di Lawrence Ho, erede di Stanley Ho Hung-sun, l’uomo che ha avuto per 40 anni il monopolio del gioco d’azzardo a Macao (fino al 2002). Con il miliardario australiano James Packer , ha costituito Melco Crown Entertainment, ha già aperto un casinò nelle Filippine e ha progetti in terra nipponica.
Questo outsourcing dell’azzardo corrisponde a un parallelo tentativo di diversificare l’offerta a Macao: non più solo roulette e slot machine, ma divertimento a tutto tondo, per attirare turisti di ogni tipo. Un po’ come nel modello originale, Las Vegas.
È proprio la sorella di Lawrence Ho, la 51enne Pansy Ho Chiu-re, co-presidente di MGM China, ad avere imboccato questa strada: nei suoi casinò ha aggiunto negozi, ristoranti e spettacoli per trasformare la città in una destinazione turistica globale.
La gagliarda Pansy sta ora allargandosi a Hengqin, un’isola cinese, cioè senza lo status di Macao, a cui è collegata da un ponte. Lì non si andrà ovviamente a giocare, perché Macao è l’unico luogo in tutta la Cina dove si possa farlo: “Stiamo costruendo alberghi, residence e un centro commerciale”, ha detto Ho al South China Morning Post, per un progetto da 118 milioni di dollari.
Tuttavia, dietro alle cospicue fortune di Macao, ora un po’ altalenanti e alla ricerca di diversificazione, c’è un grande non detto. I casinò del territorio speciale sarebbero da anni un’enorme lavanderia di denaro sporco che arriva dalla terraferma e un tramite per portarlo nelle banche estere. L’attuale calo relativo sarebbe quindi imputabile anche al grande giro di vite anticorruzione ordinato da Xi Jinping e in corso da oltre un anno, che comincerebbe quindi a dare i suoi frutti.
Due terzi delle puntate ai casinò di Macao dipendono infatti dai cosiddetti “junket operators” (il termine di origine europea si riferisce ai regali e ai viaggi premio per funzionari), che portano i giocatori facoltosi dalla Cina continentale e ne trasferiscono di fatto il denaro. Gli intermediari hanno un ruolo fondamentale, offrendo prestiti ai giocatori cinesi, che possono esportare giornalmente un massimo di 20mila yuan in contanti (2700 euro). Inoltre, riscuotono spesso i debiti di gioco. Tutte queste attività sono molto poco trasparenti.
Così, a maggio le banche di Macao hanno dato indicazioni per limitare l’uso di carte UnionPay, il circuito di credito made in China che l’anno scorso ha collezionato 22,5 miliardi dollari di transazioni nella zona amministrativa speciale. La metà dell’intero fatturato dei casinò.
L’ipotesi piuttosto realistica – che abbiamo raccolto da fonti anonime della stessa Macao – è che chi voglia esportare valuta di non chiara provenienza dalla Cina, versi il contante agli operatori “junket” presenti oltre Muraglia, i quali a loro volta ricaricano carte UnionPay utilizzabili a Macao. A questo punto, il funzionario o il businessman che voglia esportare valuta illegalmente va a giocare ai casinò sottratti al controllo delle autorità monetarie cinesi, fa qualche puntata, compra qualche articolo di lusso nei negozi locali con la sua carta UnionPay e deposita il resto nelle filiali delle banche estere che sono presenti fin dentro i casinò. Il meccanismo, ovviamente, gonfia sia le puntate a Macao – ed ecco i record su record accumulati negli anni – sia la fuga di capitali dalla Cina.
Messi sotto pressione dalle autorità cinesi, i casinò stanno ora diversificando e limitando il ruolo degli intermediari, che per altro, intercettano con le loro commissioni una discreta fetta (non quantificabile al momento) del denaro che fanno transitare. Hanno così intensificato gli sforzi per attirare giocatori dal mercato di massa, che sono più redditizi anche perché permettono di scavalcare gli operatori “junket”. Insomma, si vira sulle formichine del gambling e si limitano i grandi giocatori. Ed ecco i parchi gioco, i centri commerciali e anche lo sbarco in altri Paesi. Perché Macao, ormai, ha gli occhi addosso.
[Scritto per Lettera 43]