Xi Jinping è in Pakistan con 46 miliardi di dollari nel portafoglio. L’obiettivo è il rafforzamento dei rapporti bilaterali e la creazione del corridoio economico Cina-Pakistan, parte del progetto eurasiatico più esteso. Luogo chiave, il porto di Gwadar, dove la Via della Seta terrestre e quella marittima convergono. Se la parola d’ordine che andava per la maggiore in Cina cinque anni fa era “società armoniosa” e due anni fa “urbanizzazione sostenibile”, oggi è tutto un parlare di “Cintura economica della Via della Seta” (Sichou zhi lu jingji dai) e “Via della Seta marittima” (Haishang Sichou zhi lu). Non che le nuove formule escludano quelle vecchie, semplicemente si sommano a quelle. Tuttavia, se vogliamo osservare in concreto che cosa significhino le ultime due, dobbiamo forse prestare attenzione alla visita odierna del presidente Xi Jinping in Pakistan, antico alleato che diviene particolarmente strategico per terra e per mare.
Xi porta in dote 46 miliardi di dollari in investimenti, che dovrebbero beneficiare la Cina in due modi: spianandole la strada verso il Mare Arabico e il Golfo Persico; dando uno sbocco all’estero alle sue imprese afflitte da sovrapproduzione (cemento, acciaio). 34 miliardi dovrebbero essere infatti spesi in progetti energetici, 12 in infrastrutture.
Il cosiddetto corridoio economico Cina-Pakistan (o Pakistan-Cina, l’acronimo è comunque CPEC) sarà una rete di strade, ferrovie e gas/oleodotti che collegheranno il porto pakistano di Gwadar, sul Mar Arabico, con Kashgar, nello Xinjiang cinese. Il progetto fu lanciato nel maggio 2013 in occasione di una visita del premier cinese Li Keqiang in Pakistan.
Il CPEC serve ad abbreviare il percorso dei rifornimenti energetici che dal Medio Oriente prendono la via della Cina: a regime, permetterà infatti di bypassare lo Stretto di Malacca – tra Malaysia e Indonesia – una strettoia che in caso di guerra potrebbe essere facilmente chiusa da eventuali nemici.
Sono più di dieci anni che Pakistan e Cina stanno cercando di sviluppare lo scalo container di Gwadar. La China Overseas Port Holding Company, che aveva collaborato ai lavori fin dall’inizio, ha ottenuto nel 2013 un appalto quarantennale per la gestione del porto, ma i lavori da fare per renderlo un vero e proprio hub che collega terra e mare sono lunghi: bisogna ancora costruire strade decenti nonché la ferrovia che lo colleghi a Islamabad e poi su, fino in Cina. Funzionari pakistani hanno detto di recente che parte dello scalo dovrebbe essere formalmente inaugurata a fine mese.
Non che il progetto sia tutto rose e fiori. Gwadar si trova in Beluchistan, regione pakistana costantemente al centro di disordini. Il gioco vale però la candela, anche perché si ipotizza che lo sviluppo economico collegato al porto possa offrire un notevole contributo alla stessa pacificazione dell’area. All’altro capo del filo c’è lo Xinjiang, regione afflitta al circolo vizioso violenze-repressione di cui le autorità cinesi incolpano i “tre mali”: terrorismo, separatismo ed estremismo religioso. L’area è però al centro del progetto “Via della Seta”, ne deve diventare l’hub cinese, e il governo di Pechino va dritto per la sua strada.
Tra due Paesi, è in fase di finalizzazione anche un accordo per vendere al Pakistan otto sottomarini cinesi. Potrebbe essere firmato durante il viaggio di Xi Jinping e il suo valore dovrebbe aggirarsi tra i quattro e i cinque miliardi di dollari. Al Pakistan, i sottomarini servono per potenziare la propria flotta in funzione anti-indiana.
Ora, immaginiamo questi sottomarini made in China ormeggiati a Gwadar, con tutto quello che ciò comporta in termini di assistenza tecnica, manutenzione e rifornimento. Il porto diventerebbe così ideale per l’attracco di analoghi sottomarini battenti bandiera cinese: ed ecco che Gwadar si trasforma in un pietra preziosa di quella “collana di perle” (ogni perla, uno scalo strategico) con cui la Cina costruisce la sua Via della Seta marittima. In questo caso, una finestra vista mare sull’Oceano Indiano.
Insomma, a Gwadar le due Vie della Seta convergono.
L’amicizia tra i due Paesi è di lunga data e risale ai tempi delle tensioni interne al blocco socialista, con la Russia vicina all’India e Pechino a braccetto con Islamabad. “Fratelli di ferro” si definiscono Cina e Pakistan, mentre Xinhua parla di “amicizia per tutte le stagioni”. Il 2015 è stato designato “anno degli scambi amichevoli Cina-Pakistan” e l’agenzia di Stato cinese sottolinea che l’amicizia è forte soprattutto tra le nuove generazioni, mentre aumentano le relazioni culturali.
L’interscambio tra le due economie è cresciuto fino a 16 miliardi di dollari lo scorso anno, dai quattro del 2007.
“La Cina ci tratta come un amico, un alleato, un partner e, soprattutto, alla pari – non come fanno gli americani e gli altri “, ha detto molto esplicitamente Mushahid Hussain Sayed, presidente del comitato di Difesa del parlamento pakistano.
Dopo il Pakistan, Xi visiterà l’Indonesia per partecipare a un summit Asia-Africa in occasione del 60esimo anniversario della conferenza di Bandung, dove si affermò il movimento dei Non Allineati. Anche oggi, come allora, si lavora a un mondo multipolare.