Le grandi imprese cinesi sono sempre più esposte sui mercati internazionali e un mondo complesso e imprevedibile suscita preoccupazioni a Pechino. I conglomerati di Stato devono tra l’altro andarci ulteriormente con i piedi di piombo, perché hanno gli occhi di tutti addosso e saranno il prossimo bersaglio della campagna anticorruzione. Insomma, il caos ai cinesi non piace neanche un po’. Due giorni fa si è scomodato perfino il premier Li Keqiang per ricordare ad Alexis Tsipras che gli investimenti cinesi in Grecia vanno protetti.
Il fatto è che – osserva il Financial Times – la vittoria di Syriza in Grecia, piuttosto che una voragine nelle finanze del Messico o i risultati nelle elezioni in Sri Lanka sono vicende globali che in Cina sono raggruppate alla voce “disordine”. Chi per esempio sostiene che Pechino e la sua economia energivora siano le massime beneficiarie del calo dei prezzi del petrolio non tiene conto di un fatto: i cinesi preferiscono pagare un po’ di più, ma avere la situazione sotto controllo, senza rischi all’orizzonte. Così, il beneficio di oggi può divenire il disastro di domani, se i prezzi del greggio troppo bassi danneggeranno irreparabilmente partner strategici come Iran e Russia.
Sono soprattutto le grandi imprese di Stato (SOE) che investono all’estero a volere stabilità e prevedibilità, due parole chiave nella visione del mondo cinese. Fino a poco tempo fa, vigeva la ragion politica: le SOE andavano soprattutto a caccia di materie prime in Asia, in Africa, in Sud America, ovunque.
Poi – pur non tralasciando il vecchio obiettivo – hanno sempre più virato su investimenti orientati al profitto, basati sulla costruzione di infrastrutture come ferrovie, ponti, canali e autostrade all’estero, partecipazioni, M&A. Quella delle infrastrutture è una politica doppiamente utile, perché consente ai grandi conglomerati di Stato di piazzare all’estero le proprie eccedenze nella produzione di acciaio e cemento. Fin qui tutto bene, almeno in teoria, ma ultimamente non tira una buona aria all’interno dei consigli d’amministrazione delle SOE.
È stato infatti appena annunciato da Pechino che 26 tra di loro saranno il prossimo obiettivo della campagna anticorruzione condotta dalla Commissione di Ispezione e Disciplina, guidata da quel "Savonarola" d’Oriente che è Wang Qishan (tra i cui pregi si enumera il fatto che non abbia figli, cioè qualcuno da piazzare). Quello imminente è il più grande giro di ispezioni nelle imprese pubbliche mai annunciato e riguarda le principali compagnie del petrolio e dell’energia, dell’elettricità, delle telecomunicazioni, dei trasporti, dei materiali, minerarie e delle costruzioni.
Sono tutte nella lista Global 500 di Fortune, sono sia le ambasciatrici della Cina nel mondo, sia enormi sacche di corruzione e poteri costituiti, che spesso si oppongono alle riforme volute da Pechino. Da tempo si parla di una riforma in direzione del mercato e di proprietà miste pubblico-privato.
Tutto ciò significa che non possono permettersi errori negli investimenti globali, proprio mentre la situazione politica internazionale si complica e i processi di adattamento a scenari esteri in continua mutazione danno i capogiri a Pechino, dove non c’è ancora un corpo politico-diplomatico dotato di abbastanza esperienza per gestire just-in-time i trambusti di politica internazionale. Mentre il mondo si complica, la Cina continua però a metterci di tasca sua miliardi di dollari.
La strategia win-win forse non basta più. La sua versione per la vicina Asia, che avevamo chiamato "win-win alle porte di casa", forse neppure.
Prendiamo ancora la vittoria di Syriza, che ha cancellato la privatizzazione del porto del Pireo da 950 milioni di dollari. In linea di principio, la Cina è d’accordo al cento per cento con il nuovo governo greco, perché anche Pechino non molla ai privati le proprie infrastrutture strategiche, ma il più grande gruppo armatoriale cinese, Cosco, aveva già fatto la sua offerta per aggiudicarsi la porta d’ingresso nel mercato europeo. E ora? Ecco l’accorato appello di Li Keqiang.
Poi c’è il Messico, dove il calo del greggio mina così tanto le casse statali che un progetto di alta velocità ferroviaria da 3,7 miliardi di dollari è stato improvvisamente rimandato a data da destinarsi. E la China Railway Construction Corporation era praticamente l’unica concorrente per la gara d’appalto, dopo che imprese cinesi avevano già investito parecchi soldi nelle fasi preparatorie.
Andiamo infine in Sri Lanka, dove una nuova città portuale appaltata alla China Communications Construction dovrebbe far parte della “collana di perle”, una serie di basi commerciali cinesi sulla via della seta marittima, in direzione dell’Europa. Ebbene, qui il nuovo governo ha confermato l’appalto da un miliardo e mezzo di dollari, ma ha immediatamente aggiunto di guardare per il futuro più all’India di Modi che alla Cina.
Insomma, l’imprevedibilità del mondo non piace a Pechino, dove il caos non è creatore come da noi e si dice hun luan, cioè "miscuglio di disordine".