Secondo Ria Novosti, Pechino si sarebbe accordata con Mosca per esportare le proprie aziende inquinanti nell’immensa e spopolata Siberia. Il progetto farebbe parte di un più ampio pacchetto di cooperazione che gioca sulla complementarietà dei due giganti eurasiatici. Ma non mancano motivi di frizione, nonostante le reciproche dichiarazioni d’amore. Russia e Cina. Alleati davanti alle telecamere e nelle dichiarazioni congiunte, ma non alleati naturali, tant’è che anche quando entrambi i paesi erano socialisti, negli anni Sessanta, non mancarono tensioni e guerricciole di frontiera.
Oggi, i due giganti eurasiatici sembrano riavvicinarsi perché complementari.
La Cina ha bisogno di decongestionarsi e di guadagnare tempo nel suo tentativo di cambiare modello di sviluppo. La Russia, dopo le sanzioni, ha bisogno di investimenti stranieri.
E così, giunge la notizia che Pechino, con il consenso di Mosca, progetterebbe di spostare i propri impianti inquinanti del nord-est cinese nella vicina Siberia. Lo riporta l’agenzia russa Ria Novosti. Ed è quanto stabilito in un accordo raggiunto ai primi di aprile durante la visita a Pechino del ministro russo per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente, Alexander Galushka.
Si tratterebbe di impianti chimici, siderurgici e cementifici responsabili dell’inquinamento che attanaglia le città cinesi, e che prenderebbero ora la via della Siberia orientale. Nonostante le rassicurazioni sia cinesi sia del governo di Mosca sul rispetto degli standard ambientali, gli ecologisti russi criticano questa ipotesi, perché non vedono come la Cina, che non riesce a risolvere il problema ambientale in casa sua, dovrebbe riuscire a risolverlo in casa altrui. E accusano Putin, che fa propaganda contro le infiltrazioni straniere sul suolo patrio e poi lascia comunque infiltrare lo straniero sotto forma di imprese inquinanti.
La cooperazione economica russo-cinese non si ferma certo di fronte a queste proteste e cresce esponenzialmente, forte anche del fatto che gli amministratori russi concedono esenzioni fiscali alle imprese cinesi per attirare investimenti. Durante il San Petersburg International Economic Forum del 2015, Mosca e Pechino annunciarono la firma di ben 29 accordi di investimento del valore di oltre 20 miliardi di dollari. Tra questi, faceva spicco una joint venture da 18 miliardi dollari tra le rispettive compagnie ferroviarie per costruire una ferrovia ad alta velocità che collegherà Mosca e Kazan. Tecnologia cinese per gli enormi spazi russi.
A fine aprile, si è saputo invece che la National Petroleum Corporation cinese (CNPC) vorrebbe acquistare azioni del gigante petrolifero statale russo Rosneft. Infine, si parla da tempo del fatto che le autorità russe starebbero cedendo in leasing terreni agricoli ai cinesi nella regione Trans-Baikal, al confine con la Cina e la Mongolia.
Va detto che Pechino esita a costruire con Mosca un legame troppo stretto, perché non intende inimicarsi troppo l’Occidente. E, sul lato russo, la pressione demografica cinese sulla zona siberiana mantiene un non so che di inquietante.
L’estremo Oriente russo rappresenta il 36 per cento del territorio ed è popolato da soli 6 milioni di persone. Il timore è che quei territori vuoti siano sempre più penetrati dai cinesi: commercialmente, economicamente, lavorativamente, se non militarmente. Giusto pochi giorni fa, le autorità della provincia cinese dello Heilongjiang, al confine sino-russo, hanno approvato la possibilità per le coppie appartenenti a categorie specifiche, di avere tre figli. Insomma, la massa demografica cinese preme su un’immensa Russia spopolata, e non c’è neanche più la politica del figlio unico a frenarla.