La Cina investe sul genio d’importazione. La trasformazione dell’economia richiede innovazione, ma in questo campo Pechino deve fare ancora i conti con un ecosistema non all’altezza. Così, la municipalità della capitale lancia un programma per fare ponti d’oro ai "talenti stranieri". Cervelli cercasi. La municipalità di Pechino lancia un programma per reclutare 677 esperti stranieri entro la fine di quest’anno, “al fine di promuovere l’innovazione e lo sviluppo nel campo della scienza e dell’industria”, ha dichiarato il settore Risorse Umane della capitale cinese. Dei 677 tiancai (geni) stranieri, 280 saranno esperti di tecnologia destinati alle università, agli istituti di ricerca e alle imprese. Dovranno essere in possesso di almeno un dottorato di ricerca. Saranno presumibilmente ben stipendiati e – per l’invidia di migliaia di expat sparsi per la Cina – avranno probabilmente un visto “R”, quello specificatamente dedicato ai “talenti stranieri”. La metà dei 280 “eletti” sarà pescata in settori considerati strategici ed emergenti: ricerca medica, tecnologie dell’informazione, nuove fonti energetiche e scienza dei materiali, tutela ambientale e ingegneria.
Il bisogno della Cina di tecnologie avanzate e innovazione è ormai proverbiale.
Pechino deve superare la cosiddetta “trappola del reddito medio”, cioè l’ormai assodata insostenibilità del modello di sviluppo basato su produzione di massa e bassi salari. È il momento in cui un’economia emergente supera la fase "basso costo del lavoro-alta competitività dell’export" senza essere però ancora in grado di produrre merci ad alto valore aggiunto per competere a un livello più elevato.
La Cina si trova proprio lì, a metà del guado, e tutti i recenti sforzi della leadership sono intesi ad azionare le leve necessarie a fare il salto di qualità: non più accendini e tostapane, ma software, biotecnologie e così via.
Tuttavia, l’ambiente giusto per produrre intelligenza non si inventa dall’oggi al domani, specie in una società dove il pensiero creativo, cioè anche critico (ogni invenzione nasce dalla capacità di dire “no” a quanto è esistito finora), è visto ancora spesso come un problema.
E allora, nel frattempo, la soluzione trovata oltre Muraglia consiste nell’acquisire intelligenza dall’estero, grazie alle ingenti risorse economiche e con una programmazione che ricorda un piano quinquennale.
Inoltre, la zona tecnologica di Zhongguancun – a ridosso del quarto anello nord della capitale – accoglierà altri 60 “esperti imprenditori stranieri” per facilitare la nascita di start-up ad alta componente di intelligenza. È questo il modello dei parchi tecnologici, che la Cina sta già esportando nei Paesi in via di sviluppo, come per esempio l’Iran. Si concentrano le imprese più innovative in un solo luogo, dove possano creare sinergie. Resta comunque il sospetto che questa commistione tra tecnologie e cemento sia il volto più aggiornato della speculazione edilizia.
Ma perché la Cina deve “importare” intelligenza? Il 25esimo anniversario di Piazza Tian’anmen ci può forse offrire qualche spunto, alla voce “perdita di talenti”. Il massacro degli studenti, considerati all’epoca l’orgoglio e il futuro della patria, lasciò un vuoto non tanto numerico – alla fine, senza voler apparire cinici, furono alcune centinaia, al massimo migliaia – quanto morale e psicologico. Lì fu chiaro che pensare criticamente non conveniva. Meglio il pensiero pragmatico, teso all’obiettivo economico rapido e indolore. E questa è la Cina di oggi.
La leadership di Pechino ha gestito molto bene l’indomani di Tian’anmen, promettendo benessere in cambio di consenso e promuovendo una crescita record lunga trent’anni (in realtà era cominciata infatti prima dell”89), ma la contraddizione di oggi è quella mancanza di pensiero critico all’interno della società che è anche una mancanza di pensiero innovativo, vitale per trasformare ancora l’economia e la società. Questo è il nodo che viene oggi al pettine.