Beautiful China

In by Simone

Il Dragone lancia un suo brand del turismo per attirare gli europei oltre Muraglia. Ma sono molti di più i cinesi che viaggiano all’estero e il vecchio continente sembra ancora poco attrezzato per fare altrettanto. Lo “shock culturale” del cinese in Europa e la sindrome della baojian. “World Heritage in Cina”, “Lungo la Grande Muraglia”, “Tour cinese del Gourmet”, “Folklore etnico”: sono alcune delle offerte di “Beautiful China”, un logo, un’immagine coordinata e un programma. Presentato a marzo alla fiera internazionale del turismo di Berlino, è il nuovo brand con cui il Dragone cerca di vendere se stesso, le proprie bellezze o ciò che ne resta.

Il marchio ha lo stesso nome – “bella Cina” – della campagna lanciata dalla leadership fresca di nomina per restituire ai propri cittadini “cieli azzurri e acque limpide”, come recita la propaganda. Un problema non da poco, puntualmente sottolineato dagli ululati di disapprovazione con cui all’ultima assemblea nazionale del popolo gli stessi delegati hanno salutato il programma della commissione che dovrebbe garantire un ambiente sostenibile.

Tuttavia, nonostante polveri sottili e maiali galleggianti (o forse proprio per il gusto di dare un occhio a questa Cina così “freak”), gli Occidentali accorrono oltre Muraglia e il mercato del turismo tira. Quest’anno è cresciuto del 3,2 per cento e, nel 2012, 57 milioni di turisti stranieri si sono fatti un giro nell’Impero di Mezzo, per una salutare iniezione di ricchezza da 50 miliardi di dollari Usa.

Non a caso, la presentazione di “Beautiful China” è avvenuta a Berlino, capitale di un popolo che notoriamente non lesina sui soldi per le vacanze: “Ci aspettiamo una crescita costante dei visitatori provenienti dalla Germania, un Paese – ha detto alla fiera il capo delegazione, Wu Wenxue – dal quale ogni anno arrivano in Cina già tra le 500mila e le 600mila persone”.

Ma cos’è il turismo “secondo caratteristiche cinesi”? Al di là del fatto economico, l’impressione è che tra Cina e mondo, Europa soprattutto, ci sia ancora un divario culturale da colmare.
E chi prima lo colma, passa a riscuotere.

Chi da europeo in Cina vive, ha senz’altro sbattuto il naso almeno una volta nella “real China experience”, locuzione beffarda, coniata da qualche sarcastico espatriato, che designa la visita guidata all’interno di una comitiva cinese (quello che da noi è lo stereotipo del “gruppo vacanze Piemonte”): viaggi in pullman di dieci ore per visite guidate di una, guide/intrattenitori che non la smettono un secondo di parlare e cantare nel microfono, presunti “scenic spot” che si rivelano totalmente antropizzati, corsi d’acqua creati con la dinamite, acque termali in cui cuociono uova, statue di draghi e fenici nel bel mezzo del deserto, gente che urla, cibo, cibo e ancora cibo.

Proviamo vedere le cose al contrario, con l’occhio del turista cinese che si reca in Europa, e scopriremo che lo stupore, non necessariamente positivo, è reciproco.
Shao Hui è fondatore e presidente di L’Avion, un’agenzia pechinese specializzata in viaggi di lusso in Europa per ricchi cinesi. Ci ha per esempio parlato degli hotel: “In Cina sono molto appariscenti, con grandi stanze. In Europa invece sono spesso piccoli e pieni di storia, per cui i nostri clienti [cinesi] non li capiscono, non gli piacciono”.

Lui parla di vero e proprio “shock culturale” del cinese in Europa, che è del tutto assimilabile a quello dell’europeo che si trova incastrato in una “real China experience”: “I cinesi viaggiano spesso con la famiglia e sono abituati a parlare ad alta voce – racconta ancora Shao – per cui vorrebbero nei ristoranti le baojian [i privé, ndr] come ci sono in Cina. Ma non ci sono, così loro vanno nei ristoranti di lusso e non si controllano, con il risultato che gli europei cominciano a guardarli male e che la nostra guida è costretta a ricordare loro di continuo come ci si deve comportare”.

È una diversa estetica del rumore, un malessere uguale e contrario a quello che prova l’occidentale quando va sui monti Huangshan – quelli ritratti per millenni nelle pitture tradizionali cinesi – e si ritrova in mezzo a fiumane vocianti che, per la sua sensibilità, mortificano la magia dei luoghi. Ed è uno shock apparentemente irrisolvibile, perché qualsiasi europeo considererebbe del tutto inaccettabile tirare giù i muri di un ristorantino a Montmartre per fare posto alle baojian che vorrebbe il cliente cinese per fare baldoria con tutta la famiglia.

Ma allo stesso tempo, aggiunge Shao, “alcuni operatori semplificano troppo il cliente cinese. Gli fanno vedere un paio di luoghi turistici e poi shopping, shopping, e ancora shopping. Nei prossimi anni – conclude il businessman – potrebbe esserci un fuggi fuggi dai viaggi in Europa, perché ai cinesi rischiano di interessare sempre meno”.

C’è poco da fare: chi arriverà prima a colmare il gap, chi mostrerà più spirito di adattamento e capacità di innovazione, passerà all’incasso.
Non sappiamo se “Beautiful China” sia lo strumento più adatto per attirare stranieri in Cina, sappiamo però che in Europa viviamo un po’ sugli allori e fatichiamo a ridurre lo “shock culturale” dei turisti cinesi che viaggiano all’estero. Ricordiamo quanti sono: 82 milioni nel 2012, 200 milioni entro il 2020. Molti più degli stranieri che il nuovo brand del Dragone si propone di attirare oltre Muraglia.

[Scritto per Linkiesta.it]