Dragonomics – Alibaba e i 46 milioni (di utenti)

In by Simone

Il leader dell’e-commerce si allea con il numero uno del microblogging, in una guerra contro nemici sia esterni sia interni. Posta in gioco: i sistemi operativi per il mercato mobile. Ma c’è anche un risvolto di grande finanza. Se entri nel più peculiare luogo di aggregazione cinese, il gabinetto pubblico, quasi sicuramente ti imbatterai in qualche giovanotto con cresta el-shaarawiana e sigaretta in bocca che, in posizione complicata e altrove imbarazzante, digita tranquillamente sul proprio smartphone, del tutto indifferente ai due anziani nei box limitrofi che, mentre espletano le medesime funzioni, chiacchierano invece di famiglia, nipoti, acciacchi e amici che hanno raggiunto gli antenati.
Nulla come questa immagine rende l’idea di come sia cambiata la comunicazione in Cina, dove su 564 milioni di utenti internet, 420 milioni si connettono via mobile (più o meno l’equivalente numerico della popolazione statunitense sommata a quella messicana) per una media di venti ore a settimana.

Il nostro amico accovacciato sta probabilmente scrivendo qualcosa sul suo account Weibo, il Twitter “secondo caratteristiche cinesi”; oppure flirta con la fidanzata attraverso WeChat, l’instant messenger che va per la maggiore oltre Muraglia.
Il luogo di aggregazione dove un tempo i cinesi si raccontavano ciò che altrove era meglio tacere, si è dunque trasformato nell’ennesimo nodo di una rete che attraversa l’intero corpo del Dragone.

Una rete che produce valore. Così, in una Cina sempre più connessa e più mobile, Alibaba e Weibo convolano a nozze. Il primo, numero uno dell’e-commerce cinese, ha investito 586 milioni di dollari per acquisire il 18 per cento di Sina, la compagnia che gestisce il microblog più famoso oltre Muraglia. In futuro, la quota potrebbe arrivare al 30 per cento.
È una partnership incentrata sul cosiddetto social commerce, cioè la capacità di utilizzare le tue chiacchiere online per vendere merce, magari a te stesso; l’intento è quello di far incontrare i venditori di Alibaba con gli utenti di Weibo.

Per dare un’idea di cosa ciò significhi, va spiegato che i 46,2 milioni di frequentatori giornalieri del microblog avranno un accesso più immediato ai servizi del “venditore” (Alibaba) che emette oltre il 60 per cento delle fatture in Cina e il cui sito-ammiraglia, Taobao, ha 500 milioni di utenti registrati.
È un’economia della relazione dove il confine tra comunicazione e commercio non esiste più. Ed è un ecosistema che si amplia: il 54 per cento dei netizen cinesi sono già attivi microblogger, nel 2012 sono aumentati del 58 per cento e gli esperti prevedono anche per gli anni a venire tassi di crescita a doppia cifra.

Così la partnership dovrebbe generare da subito almeno 380 milioni di dollari in ricavi pubblicitari e vendite online, secondo previsioni degli analisti. Ma la posta in gioco riguarda anche la connettività tra gli account, lo scambio di dati, i pagamenti e il marketing on-line, in una dimensione che è inevitabilmente sia economica sia politica.

Il primo fronte che si apre riguarda in “nemico esterno”.
Per Alibaba, si tratta infatti di usare Weibo come rampa di lancio per il proprio sistema operativo destinato agli smartphone, in un mercato ora dominato da Google e dal suo Android, che ne controlla l’80 per cento. Il 10 per cento è di IOS (Apple), mentre il nuovo Alibaba Mobile OS (AMOS) avrebbe al momento una fetta inferiore all’uno per cento. Una sfida impari? Per niente.

Google ha infatti vita difficile in Cina. All’origine dei suoi guai, c’è sicuramente il conflitto con il governo di Pechino che risale al 2010, quando la compagnia di Mountain View decise di non censurare più i risultati del motore di ricerca secondo i criteri locali. In seguito, Google ha trasferito ila propria search a Hong Kong e oggi molti dei suoi servizi – come Gmail e Google Maps – non sono disponibili sui dispositivi Android della Cina continentale.
Non potendo accedere a Google Play Store, molti utenti cinesi e non (chi scrive lo sa per esperienza) possono ottenere applicazioni solo da locali negozi online simil-Google. Così, se hai uno smartphone di fabbricazione cinese con Android come sistema operativo, ti trovi spesso nell’impossibilità di scaricare applicazioni tranquillamente accessibili altrove e non necessariamente “sensibili” politicamente. Un esempio? Una app innocua come Hangping, il dizionario cinese-inglese, è disponibile in Cina solo in versione “classic” (gratuita), mentre quella “pro” non è scaricabile. Così, chi magari ha acquistato la versione a pagamento all’estero e si trova nella necessità di scaricarla nuovamente per reinstallarla in Cina, non può farlo.

È evidente che AMOS non avrebbe gli stessi problemi. Così, grazie all’alleanza con Sina (e quindi con Weibo), Alibaba punterebbe a “piazzare” il proprio sistema operativo a un certo numero di produttori di smartphone cinesi, scavalcando progressivamente Google nel mercato. Il che gli darebbe accesso a moltissimi dati, utilizzabili poi per affinare di continuo la propria offerta commerciale. Un circolo virtuoso.

L’altra sfida riguarda il “nemico interno”.
Il rivale di Weibo, in questo mercato, è Tencent, che negli ultimi due anni ha messo a segno un bel colpo lanciando il WeChat di cui parlavamo prima: un servizio di messaggistica paragonabile all’occidentale “WhatsApp” ma, come nel caso di Weibo rispetto a Twitter, forse più robusto dal punto di vista “social”, cioè della condivisione di file e, come si dice di “esperienze”. Ormai a Pechino quasi nessuno ti chiede il numero di telefono o l’email, bensì se sei su WeChat.
Ora, l’alleanza Alibaba-Weibo dovrebbe rosicchiare spazi di mercato a Tencent. Ovviamente, in questo caso il mercato è quello del traffico e, quindi, della pubblicità.

C’è infine un fronte tutto finanziario.
Alibaba, che ricordiamolo, è un “venditore”, sta da tempo cercando di surrogare alle deficienze del sistema del credito cinese, incentrato sulle banche di Stato, con una propria piattaforma di microcredito lanciata nel 2010: Ali-loan. In pratica il leader dell’e-commerce garantisce per i privati presenti nel proprio database – businessmen e piccole imprese che si servono di Alibaba per vendere i propri prodotti – quando devono accedere a qualche prestito bancario: “Il signor Wang è affidabile, i clienti a cui da cinque anni vende pentole Wok lasciano sul nostro sito valutazioni positive”.
Da tempo, si pensa che il prossimo passo sarà la diretta erogazione di prestiti da parte di Alibaba, che diventerebbe quindi una vera e propria banca privata online. È chiaro che i 46 milioni di utenti Weibo giornalieri, così integrati in futuro con i vari Taobao, Tmall, Aliyun, Juhuasuan, eTao – tutti servizi della compagnia – potrebbero trasformarsi automaticamente in clienti della neonata banca.

L’alleanza Alibaba-Sina è fatta per scavalcare la fase della navigazione tradizionale per passare direttamente a quella successiva, del mobile: un futuro che è già il presente.
L’appoggio politico c’è. Il governo cinese spinge per promuovere sistemi operativi domestici, in un contesto in cui il fatto commerciale e quello politico sono indistinguibili.
Lo scorso marzo, il ministero dell’Industria e dell’Information Technology ha pubblicato un libro bianco in cui ha criticato la dipendenza del paese da Android, mentre Apple ha chiesto scuse formali a inizio aprile dopo una violenta campagna dei media che accusavano Pingguo (“la mela”) di discriminazioni verso i clienti cinesi.

“Se sei una grande azienda Internet e hai abbastanza ambizioni nel settore mobile, devi fare qualcosa di più che semplici applicazioni”, ha detto il capo della strategia aziendale di Alibaba, Zeng Ming, commentando l’acquisizione della quota di Sina. “In caso contrario, sei solo una piccola specie in un ecosistema controllato da altri”. Nell’ecosistema del mobile cinese, il nuovo gigante bicefalo promette di essere il predatore al vertice della catena alimentare.

[Scritto per Linkiesta.it]