Il dodicesimo congresso del 2016 era stato uno scontro feroce tra due fazioni contrapposte. Il tredicesimo congresso appena conclusosi è stato una celebrazione, con qualche ombra finale. Dopo un 2020 denso di successi economici e diplomatici, raggiunti nonostante il Covid-19, il Partito comunista del Vietnam lancia il suo prossimo quinquennio (che culminerà nel 2025 con il cinquantesimo anniversario della riunificazione) rieleggendo come suo segretario generale Nguyen Phu Trong, protagonista di quella battaglia di cinque anni fa che lo vide prevalere sull’allora primo ministro Nguyen Tan Dung.
La nomina, anticipata dalle indiscrezioni sulle scelte del Comitato centrale, è di portata storica. Trong, 76 anni e condizioni di salute da più fonti definite “precarie”, diventa il leader più longevo del Vietnam dai tempi di Le Duan, successore di Ho Chi Minh, e dal Doi Moi, il programma di riforme e aperture lanciato nel 1986. Accantonato il limite dei due mandati, visto che Trong è segretario generale dal 2011. Segnale che non è stato trovato un accordo sul possibile erede, ma anche completamento di un processo di accentramento di poteri iniziato già all’alba del suo primo mandato, quando la direzione del comitato centrale anticorruzione è passata dal primo ministro al segretario. Strumento utilizzato da Trong, subito dopo il congresso del 2016, per lanciare la campagna della “fornace ardente“, con la quale ha accresciuto la propria popolarità e si è sbarazzato di alcuni rivali politici. Parallelamente all’offensiva “politica” si è intervenuti anche sulla società civile. Per restare agli scorsi mesi, sono stati arrestati Pham Chi Dung, presidente dell’Associazione dei giornalisti indipendenti poi condannato a 15 anni di carcere, e altri due reporter che dovranno scontare 11 anni. Poco prima era stato condannato anche il poeta Tran Duc Tach. Mentre sempre più vietnamiti hanno accesso a internet e ai social (Facebook ha superato i 60 milioni di utenti locali), il governo ha inoltre rafforzato la sua sovranità digitale. Facebook ha cancellato il 95% dei post ritenuti “sovversivi” dall’esecutivo, youTube il 90%.
Dalla morte di Tran Dai Quang avvenuta nel 2018, Trong è anche presidente, carica che dovrebbe lasciare nelle prossime settimane all’attuale primo ministro Nguyen Xuan Phuc, che era considerato uno dei favoriti alla poltrona di segretario anche per i successi del suo governo sul piano internazionale, con gli accordi commerciali sottoscritti con Unione europea e Regno Unito. Gli ultimi due ruoli dei cosiddetti “quattro pilastri” su cui si poggia il sistema politico vietnamita, cioè primo ministro e presidente dell’assemblea nazionale, dovrebbero essere ricoperti da Pham Minh Chinh e Vuong Dinh Hue, altri due uomini della fazione “settentrionale”. Un’altra prassi, la rappresentanza di regioni del nord e del sud nelle cariche apicali, verrebbe così accantonata.
Durante il congresso è stato anche messo a punto il nuovo piano quinquennale, che prevede di portare il reddito pro-capite da 2500 a 4mila dollari annui. Tra il 2002 e il 2018, oltre 45 milioni di vietnamiti sono usciti dalla povertà assoluta e tra il 2015 e il 2019 la crescita annua non è mai scesa sotto il 6%. Nel 2020 Hanoi è cresciuta del 2,9%, il dato più basso degli ultimi decenni ma comunque più alto di Taiwan e Cina (le uniche altre due economie asiatiche col segno più). Si tratta comunque di un successo, visto l’impatto della pandemia, raggiunto soprattutto grazie a un aumento dell’export superiore al 5%: effetto della guerra fredda tecnologica tra Stati Uniti e Cina e della rilocalizzazione di linee produttive in un paese meno esposto politicamente e con un costo del lavoro più basso. Le esportazioni verso gli Usa sono aumentate del 24%, col surplus commerciale che è passato da 47 a 63 miliardi di dollari. Ma l’economia vietnamita, che nel 2021 dovrebbe tornare a crescere tra il 6,5 e l’8%, dipende troppo dalle esportazioni, trainate dalle multinazionali straniere. Per questo la nuova strategia economica dovrebbe stimolare i consumi interni e i campioni nazionali come Vingroup.
I risultati del 2020 sono stati favoriti da una efficace gestione sanitaria (i morti sono a oggi ufficialmente 35), che è stata utilizzata, insieme alla presidenza di turno Asean culminata con la firma del mega accordo commerciale Rcep, come slancio geopolitico. Seppur in misura minore rispetto a Pechino, Hanoi ha attivato una sua “diplomazia delle mascherine”, con l’invio e la vendita di materiale sanitario che ha raggiunto anche l’Italia. Ciò non significa che il 2021 sia senza ombre. Proprio durante il congresso, si è sviluppato un focolaio nei pressi della capitale, il più serio dall’inizio della pandemia. In pochi giorni sono stati registrati oltre 200 nuovi contagi e l’evento politico ha dovuto chiudersi con un giorno di anticipo.
Sul piano diplomatico dovrebbe proseguire la politica bifronte sulla Cina: confronto anche deciso su dossier politicamente delicati come il mar cinese meridionale e il delta del Mekong, ma allo stesso tempo strettissima cooperazione economica. Dopo la normalizzazione dei rapporti bilaterali del 2015, che ha portato tra le altre cose Hanoi a diventare la sede di uno dei vertici fra Donald Trump e Kim Jong-un, il Vietnam ha continuato a resistere ai tentativi di “arruolamento” di Mike Pompeo. Con Joe Biden potrebbe nascere qualche problema sul fronte dei diritti umani e del lavoro forzato. Allo stesso tempo, Hanoi continuerà nel suo processo di rafforzamento dei legami (anche difensivi). con le potenze medie asiatiche come India e Giappone
[Pubblicato su Il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.