Donazione d’organi: resiste la barriera culturale

In by Gabriele Battaglia

Entro la fine di questo mese la Cina si sarà dotata di un sistema di donazione volontaria d’organi. Già in sperimentazione dal 2010, sta avendo molto successo. Tuttavia, i donatori sono ancora una percentuale minima rispetto alle persone in attesa di trapianto. E la cultura rimane l’ostacolo principale alla donazione. Entro la fine di giugno metà della Cina avrà un sistema di donazione volontaria di organi. Il registro dei volontari sarà aperto questo mese proprio per facilitare e velocizzare i trapianti. È quanto afferma un funzionario della Croce rossa cinese al China Daily, l’organo di stampa più vicino al Partito comunista cinese.

“Basterà riempire un formulario online, e si diventerà donatori volontari dopo la propria morte” ha spiegato Liu Weixin, vicedirettore del Centro che amministra la donazione di organi su territorio nazionale. E aggiungono altri funzionari di livello minore, una volta iscritti i potenziali donatori potranno sempre aggiornare le informazioni personali e revocare il consenso.

Un punto importante di questa riforma è che gli organi di un individuo non potranno essere trapiantati senza l’esplicito consenso suo e della sua famiglia.

Un passo importante in un paese in cui la Commissione per la salute e la pianificazione famigliare denuncia che ogni anno a fronte di circa 1,5 milioni di pazienti che hanno bisogno di trapianti di organi per sopravvivere, solo 10mila riescono ad ottenerlo. Gli stessi funzionari del Centro per la donazione sottolineano che negli Stati Uniti la percentuale è molto più alta: ce la fa uno ogni quattro pazienti.

La Repubblica popolare sta sperimentando il sistema di donazione di organi dal 2010, e poiché nelle aree che hanno avviato la sperimentazione sta funzionando entro la fine di giugno saranno escluse solo le vaste (ma poco popolate) regioni del Tibet, Xinjiang, Qinghai e Ninxia. Durante questo mese saranno avviati corsi di formazione per i coordinatori del progetto su tutto il territorio nazionale.

Un progetto importante che si inserisce nel piano governativo che mira ad abolire l’utilizzo a fini medici degli organi dei condannati a morte entro il 2017. Sì, perché il pragmatismo cinese è arrivato a tanto. Ma le associazioni per la difesa dei diritti umani hanno sempre criticato Pechino per la scarsa trasparenza in materia di donazioni di organi e soprattutto per la pratica di espiantare gli organi da soggetti condannati a morte.

Secondo gli ultimi dati forniti dal China Daily, i condannati a morte forniscono i due terzi di tutti gli organi da trapianto. E la Cina, anche se il numero delle pene capitali è coperto dal segreto di stato, è secondo gli ultimi dati di Amnesty International il paese che ne esegue di più.

Il punto è che i cinesi sono culturalmente restii a donare gli organi. Nonostante sessant’anni di comunismo la popolazione continua ad avere un approccio tra il filosofico e il religioso alla morte e l’idea di donare gli organi di una persona cara che sta morendo non piace quasi a nessuno. Secondo diversi medici chirurghi, in molti si rifiutano anche di contemplarne la possibilità a parole.

Da quando è cominciata la sperimentazione i numeri sono sì in crescita, ma rimangono cifre ridicole se comparate al numero degli individui che ne hanno bisogno. I dati della Commissione nazionale per la salute e la pianificazione famigliare parlano chiaro: nel 2010 ci sono stati solo 33 donatori, nel 2011 131, nel 2012 420 e 243 nei primi cinque mesi del 2013. Dal punto di vista governativo, è chiaro che la popolazione cinese va ancora sensibilizzata sull’argomento.

[Scritto per Lettera43; foto credits: china.org.cn]