Diritti umani negati ai dissidenti

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24)
Yang Maodong, attivista per i diritti umani è uscito dal carcere dopo cinque anni. Ha dichiarato di essere stato imprigionato ingiustamente e di non essere mai stato interrogato a proposito dei supposti affari illegali per cui era finito dentro. Gli avrebbero chiesto solo delle sue attività a favore dei diritti umani e lo avrebbero sottoposto a pratiche che "superano l’immaginazione umana".
Detenzione illegale” così come si legge racconta al massimo di una serratura chiusa, di giorni passati stesi su un letto o – ottimisticamente – davanti alla televisione: è una versione eterea della realtà che fa comodo al governo cinese ed alla sua polizia, interessata a barattare la libertà ritrovata del detenuto col suo silenzio, lasciando l’opinione pubblica ad indignarsi nel mondo delle parole. Ma la scorsa settimana il silenzio è stato spezzato tre volte.
 
Yang Maodong, avvocato – conosciuto anche con lo pseudonimo letterario di Guo Feixiong – ha finito di scontare i suoi cinque anni di detenzione, condannato per “attività economica illegale”. Cosa significa “attività economica illegale”? Non importa, è uno di quei cavilli del mondo delle parole che non ci devono interessare più.
 
Il signor Yang riacquista la sua libertà e decide di infrangere il patto stretto col braccio della legge cinese e raccontare la sua verità a Human Rights In China, una Ong newyorkese. Il rapporto dell’organizzazione americana trova immediatamente spazio nella stampa occidentale.
 
Secondo la Ong, Yang Maodong è stato interrogato per 13 giorni consecutivi senza poter dormire, è stato legato ad un letto per altri 42 giorni, nel carcere di Meizhou (Guangdong) è stato malmenato da un altro detenuto mentre altri 200 guardavano senza muovere un dito e – arrivano i colori, gli odori, i suoni – è stato appeso al soffitto, mani e piedi legati, mentre alcuni ufficiali di polizia gli friggevano i genitali con scariche elettriche ad alto voltaggio.
 
Il resto dei dettagli ci è risparmiato, raccolto nella dichiarazione della moglie del signor Yang, Zhang Qing, che dal suo esilio americano ha detto: “La polizia del Guangdong e di Shenyang lo ha torturato usando mezzi abominevoli”.
 
Nonostante tutto il signor Yang ha dichiarato ad Ap di non essere cambiato, di essere rimasto lo stesso Yang Maodong di cinque anni fa, finito in carcere per aver aiutato dei contadini del Guangdong a denunciare la corruzione del proprio leader locale e aver difeso in tribunale un altro dissidente speciale, Gao Zhisheng, a sua volta sparito nel 2010. Lo stesso Yang Maodong perseguitato per crimini politici e deciso a promuovere, oggi come allora, una tanto agognata riforma politica nella Cina degli anni 2000, recentemente di nuovo sulle labbra del sempre meno ascoltato Wen Jiabao.
 
Jiang Tianyong, avvocato, si è occupato di delicate cause per conto di minoranze religiose. Sparito durante la finta primavera araba esportata in Cina, è riemerso dopo due mesi e ha deciso di descrivere la sua detenzione al quotidiano South China Morning Post, sede ad Hong Kong.
 
Il signor Jiang veniva svegliato alle sei di mattina e obbligato a ripetere incessantemente una serie di canzoni patriottiche – le famose Red Songs dell’eccentrico Bo Xilai – finché non ne avesse imparato a dovere i testi. Poi veniva fatto sedere davanti ad un muro per “riflettere”, interrogato per almeno cinque giorni senza dormire, obbligato a rimanere seduto senza muoversi fino a 15 ore consecutive e malmenato dai suoi carcerieri in divisa. Chiedendo spiegazioni per un trattamento così disumano, l’aguzzino gli risponde: “Tu non sei un essere umano”.
 
Sette contadine del Sichuan che cercavano di raggiungere il vicepresidente americano Joe Biden in visita alla Chengdu University il mese scorso – un gesto disperato: come possono comunicare sette contadine del Sichuan e Joe Biden? – per denunciare l’esproprio terriero subìto dalle autorità locali, sono state fatte sparire dagli agenti in borghese dispiegati nella capitale del Sichuan per la speciale occasione. Non sapendo a chi altro appellarsi, le sette detenute speciali nuovamente tornate in libertà hanno deciso di scrivere un esposto ufficiale alla polizia locale, chiedendo giustizia e un’adeguata compensazione per i giorni lavorativi persi per cause di forza maggiore.
 
Il documento, pubblicato su 64TianWang.com – sito cinese per la difesa dei diritti umani violati, oscurato in Cina – elenca i soprusi subiti dalle sette petitioners, come si usa dire adesso: niente cibo, legate a sedie o panchine senza poter dormire, cellulari sequestrati, famiglie non avvisate, ricoveri in ospedale (a carico del detenuto) per curare le ferite ai polsi e alle caviglie.
 
Le storie di Yang Maodong, Jiang Tianyong e delle sette contadine del Sichuan non sono state né smentite né confermate dalle autorità cinesi.
 
Nell’attesa – probabilmente vana – di una smentita ufficiale, di un chiarimento o di un qualsiasi segnale che evidenzi l’estraneità di Pechino a questi avvenimenti, non ci rimangono altro che i colori, i suoni e gli odori delle detenzioni illegali in Cina, ad immaginare la macabra realtà che ogni giorno vivono oggi decine e decine di dissidenti cinesi.

[Foto credits: sfexaminer.com]