L’affaire Prism arriva improvviso a indebolire la posizione di Obama. Xi Jinping invece è carico: accordi commerciali in Sud America, successo diplomatico in Corea del Nord e, su tutto, il sogno cinese. E questa volta non si può neanche accusarlo di spiare i suoi concittadini.
Molti americani, ma anche l’attivista cinese riparato in Usa Chen Guangcheng, avevano chiesto a Obama di procedere a torchiare Xi Jinping sull’aspetto dei diritti umani, nel corso del loro incontro californiano iniziato ieri.
Lo scandalo sul controllo a tappeto di telefonate degli americani e degli stranieri attraverso internet da parte dell’Agenzia di Sicurezza americana, però, gioca un brutto scherzo ad Obama, in termini di credibilità interna e internazionale. Xi Jinping infatti arriva al summit forte e determinato, Obama debole e sotto un tiro di critiche da ogni parte.
E il paradosso è che tra i due leader, per una volta quello ossessionato dal controllo dei suoi cittadini, non sembra risiedere a Pechino, bensì a Washington.
In generale – ancora prima dello scandalo «Prism» – la sensazione era che alla vigilia dell’incontro, Xi arrivasse in pompa magna, ebbro dei successi cinesi e con la volontà di sedersi allo stesso livello di Obama al tavolo delle trattative.
I cinesi hanno rimarcato la necessità di un summit informale, con tanto di first lady al seguito (per questo hanno criticato la mancata partecipazione di Michelle Obama alla due giorni californiana), pur sottolineando la necessità di chiarire alcuni punti a Washington: il Presidente Xi Jinping arriva all’incontro fiducioso dei propri punti di forza.
Con il doppio scandalo della National Security Agency e quello rinominato «Prism», invece, Obama se possibile arriva ancora più debole al confronto, depotenziato da una vicenda che va ad intaccare quanto di più sacro gli americani hanno sempre detto di avere e di voler difendere, la privacy.
Gli scoop del Guardian e del Washington Post dei giorni scorsi hanno fornito una foto impietosa dell’Agenzia di Sicurezza americana, da anni impegnata a setacciare le telefonate degli utenti della compagnia americana Verizon e non solo, dato che la seconda figuraccia riguarda il controllo dei server di grandi compagnie americane come Facebook, Google, Apple, Yahoo e altre, per scovare potenziali terroristi anti americani anche all’estero.
I media hanno svelato 41 pagine di un PowerPoint che dovrebbe spiegare al personale interno dell’Agenzia di Sicurezza nazionale la bontà dell’operazione «Prism» e che indicano impietosamente un controllo totale e generale degli utenti, attraverso l’analisi di foto, video, log di chat (una sorta di memoria di quanto due persone si dicono scrivendosi in privato su internet). Da almeno sei anni.
Ci sono due ordini di ragionamento a proposito: di solito quando ad un analista straniero, o perfino cinese, viene chiesto quale sia il punto debole di Pechino, viene sempre risposto «il tentativo di controllare la sua popolazione», ovvero l’ansia di un controllo che trasmette in realtà una debolezza, focalizzata sulla ricerca di qualcosa che non si capisce, lo stato d’animo della propria gente.
Questo scandalo quindi mette Obama in una difficile situazione a livello di politica interna, perché va ad intaccare la sua credibilità, come ha specificato il New York Times, e perché ricorda il peggior Bush (da cui il programma è stato ereditato e portato avanti tanto che l’Huffington Post ha titolato «George W. Obama»).
Naturalmente ci sono delle ripercussioni anche internazionali, perché la notizia è venuta a galla proprio il giorno prima l’inizio dell’incontro tra Obama e il Presidente cinese.
Come se non bastasse, mentre Obama arriva con un fardello enorme, Xi Jinping invece si presenta tronfio di un successo diplomatico che ha finito per togliere da una situazione stagnante la questione coreana.
Xi Jinping, infatti, oltre al carico «emozionale» del sogno cinese, arriva in California con un punto a favore non da poco: proprio ieri la Corea del Nord ha riattivato le comunicazioni con la Corea del Sud e entrambe le parti hanno deciso per la prima volta dopo la guerra degli anni 50, di procedere a colloqui.
Domani quindi l’area di Kaesong, il polo industriale nel quale lavorano insieme nord e sudcoreani e riaperto in questi giorni, ospiterà i primi incontri preparatori in attesa di un futuro incontro ufficiale.
Inutile specificare che Pechino, primo alleato di Pyongyang metterà in evidenza il suo sforzo diplomatico al riguardo: tutti sanno che solo i cinesi possono riportare ad una riflessione e una posizione politica internazionale credibile i coreani.
E la Cina ormai, desiderosa di instaurare «il nuovo rapporto tra grandi potenze» potrebbe usare questo successo, su cui Obama durante la crisi coreana si era molto speso, per chiedere agli Stati Uniti di utilizzare una politica più soft in Asia.
Tradotto significa che la Cina non vuole che gli Usa interferiscano su questioni di contese territoriali con i rivali storici di Pechino, il Giappone, Taiwan e con nuovi problematici stati asiatici come il Vietnam.
Infine l’affaire «Prism» non consentirà forse grande agibilità ad Obama rispetto alle accuse nei confronti dei cinesi, di violare i sistemi informatici nazionali. Le carte dello scandalo, infatti, dimostrano che a cercare informazioni all’estero, su cittadini stranieri e via web, era proprio Washington, con il beneplacito dello studio ovale.