Prima lo stupro, poi il tentativo di nascondere l’episodio e infine la bufera scoppiata sui social network. Alibaba non conosce pace. Dopo la stretta finanziaria del governo cinese, il gigante dell’e-commerce è finito nel mirino del movimento #MeToo.
A sganciare la bomba una dipendente di 27 anni che ha denunciato su Weibo di essere stata vittima di violenza sessuale durante un viaggio di lavoro. Passo dopo passo, ricostruisce la vicenda in un documento di 11 pagine postato sul social media.
Nel suo ufficio di Hangzhou, la 27enne riceve la richiesta dal suo capo di accompagnarlo il 27 luglio a Jinan per incontrare un importante cliente. Alla cena di lavoro scorrono fiumi di baijiu, il distillato cinese. Rifiutare un brindisi è cosa sconveniente in Cina. La dipendente si sente così costretta a non declinare l’invito dei suoi commensali, mentre il capo si compiace per aver portato «una bella donna» al cliente.
Bicchiere dopo bicchiere, la 27enne perde conoscenza. L’indomani si sveglia nuda in una camera d’albergo con vaghi ricordi della sera prima, come le attenzioni sgradite del cliente che l’avrebbe persino baciata.
Spaventata, si rivolge alla polizia di Jinan per ottenere il consenso di vedere le immagini acquisite dalle telecamere dell’albergo. I filmati rivelano quanto temuto: il suo superiore, che alloggia in un altro hotel, ottiene la chiave della stanza della ragazza, da cui entra ed esce quattro volte durante la notte.
Tornata in sede ad Hangzhou, la lavoratrice riporta la vicenda ai superiori e a due addetti alle risorse umane il 2 agosto, chiedendo di licenziare il suo capo. All’iniziale collaborazione segue un vano tentativo di insabbiare il caso.
La ragazza, nella sua denuncia online, racconta che sono proprio i vertici dell’azienda a non dare adito ai racconti della lavoratrice, decidendo così di non prendere provvedimenti nei confronti del supervisore. La donna lo scorso weekend inscena così una protesta nella mensa aziendale, distribuendo volantini con cui denuncia quanto accaduto a Jinan.
I video della singolare forma di protesta diventano virali sui social e arrivano sullo smartphone del Ceo di Alibaba, Daniel Zhang. L’amministratore delegato annuncia con una nota interna il licenziamento del manager, che ha poi ammesso di aver avuto «comportamenti intimi» con la donna mentre era ubriaca, e dei capi delle risorse umane. Non saranno più assunti in Alibaba. Ora il caso è nelle mani della polizia di Jinan.
La vicenda solleva diversi interrogativi sulla condizioni delle lavoratrici in Cina. La donna avrebbe avuto ugualmente giustizia se non avesse denunciato sui social media? Probabilmente no.
A rendere virale l’episodio sono state tante donne che, a loro volta, hanno raccontato di aver chiuso un occhio di fronte a una palpatina o un bacio pur di conservare il posto di lavoro.
Alibaba, con oltre 251mila dipendenti, di cui il 40% donne, non ha ancora adottato una politica per combattere le molestie sessuali. Ma il caso, che potrebbe far inasprire la stretta governativa sull’azienda, spinge Zhang a volere l’apertura di un ufficio per denunciare episodi di violenza e avviare un cambiamento culturale nell’azienda.
Ma è la misoginia e l’oggettificazione della donna a prevalere in questi casi. La mancanza di un meccanismo che ritiene il datore di lavoro responsabile delle molestie sessuali è uno dei motivi per cui l’ambiente di aziende come Alibaba è tossico per le donne.
Con il primo codice civile della Rpc, recentemente entrato in vigore, il governo cinese rilascia una definizione ufficiale di «molestie sessuali», obbligando anche le aziende ad adottare politiche per prevenire e rispondere a tali episodi sul posto di lavoro. Ma l’efficacia della normativa viene compromessa nella fase applicativa.
Il #MeToo colpisce anche la pop star Kris Wu, arrestato lo scorso mese dalla polizia di Pechino, dopo le denunce di molestie sessuali mosse da diverse donne. La tempesta abbattuta su Alibaba potrebbe estendersi ad altre aziende, dove le donne possono trovare il coraggio di opporsi alla radicata cultura sessista.
Di Serena Console
[Pubblicato su il manifesto]Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.