Nelle ultime settimane gli Stati Uniti hanno minacciato di bloccare l’app cinese Tik Tok sul territorio virtuale americano e hanno mandato due portaerei nel mar cinese meridionale; si tratta di due eventi che cristallizzano il confronto tra Cina e Usa: digitale e in Asia, in particolare nel Pacifico.
L’epidemia ha finito per sviluppare ampie riflessioni sul confronto tra Cina e Stati Uniti, riportando in auge la guerra fredda tra Usa e Urss che ha caratterizzato il secondo dopoguerra fino al crollo sovietico. In realtà l’attuale situazione è completamente differente da quella di un tempo. Intanto non c’è uno scontro ideologico come in passato, in secondo luogo Usa e Urss avevano economie completamente sganciate una dall’altra e oggi per Stati uniti e Cina non è più così, sono entrambe inserite all’interno dei meccanismi del capitalismo globale con Pechino a farsi baluardo del libero mercato contro il protezionismo di Trump.
Sulla guerra fredda incombeva inoltre l’incubo del nucleare, dello scontro finale, che oggi non si registra, benché non manchino rischi militari veri e propri. Yan Xuetong – professore dell’Istituto di relazioni internazionali dell’università Tsinghua di Pechino – sul magazine cinese Caixin ha ricordato che nella prima metà della guerra fredda «i paesi erano stati classificati in quanto occidentali, orientali o terzo mondo. Nella seconda metà, gli Stati sono stati identificati come sviluppati o in via di sviluppo. Nei prossimi decenni, i paesi saranno classificati in quanto digitalizzati o poco digitalizzati e poco connessi».
La rivalità tra Usa e Cina, infatti, ha ormai acquisito una nuova dimensione che finirà per influenzare altri settori e per cambiare la geografia «politica» dell’intero pianeta. Sul Financial Times, John Thornhill ha scritto che «Se la guerra fredda 1.0 ruotava attorno all’hardware militare e alla minaccia di annientamento nucleare, allora la guerra fredda 2.0 riguarda più l’innovazione tecnologica. Internet sta emergendo come una tecnologia di controllo, non solo di comunicazione». Chiunque gestisca l’Internet delle cose globali, collegando miliardi di dispositivi, avrà un vantaggio geostrategico.
E la Cina sta rafforzando la sua posizione, basti pensare al ruolo di Huawei. Nell’articolo del Ft è citato Robert Atkinson, presidente della Information Technology and Innovation Foundation, un think tank con sede a Washington, secondo il quale «la Cina sta diventando più potente tecnologicamente e può facilmente superare gli Stati Uniti se non reagiamo». La reazione, secondo Atkinson, è lo sviluppo di una strategia industriale nazionale, persa a causa della sottrazione del ruolo statale nei finanziamenti a ricerca e sviluppo.
Oggi infatti, il governo federale americano spende meno in ricerca e sviluppo «in proporzione al prodotto interno lordo rispetto al 1955». L’ironia – conclude Thornhill, «è che i leader cinesi potrebbero aver imparato dalla storia americana e dalla sua vittoria nella prima guerra fredda molto più di quanto non abbia imparato la classe politica americana. L’innovazione tecnologica è una questione di sicurezza nazionale».
A questo proposito, la forza tecnologica non si misura ormai solo in termini di profitti e sicurezza, ma anche in termini di influenza perché anche lo scacchiere virtuale si sta delineando verso forme di sovranismo o «alleanze» digitali. E anche in questo caso la Cina costituisce un esempio che molti seguiranno, adattando di fatto il concetto di sovranità territoriale anche al suo spazio virtuale. Per capirci, Trump sta replicando quanto Pechino fa ormai da decenni.
O ancora, pensiamo all’India che blocca Tik Tok, o all’indecisione di molti paesi europei su come arginare o accettare l’offerta tecnologica cinese in tema di 5G: la nuova divisione in blocchi sarà conseguente alle scelte di natura tecnologica che ogni paese farà. C’è poi un aspetto militare che contribuisce a rendere profondamente diversa l’attuale situazione rispetto alla guerra fredda tra Usa e Urss: il suo centro di gravità geografico è l’Asia, non più l’Europa, perché – come scrive Alan Dupont su The Diplomat – «l’epicentro del commercio globale si è spostato dall’Atlantico al Pacifico, riflettendo l’ascesa dell’Asia e il declino dell’Europa. Gli Stati Uniti e la Cina sono entrambi potenze del Pacifico, quindi la loro rivalità si farà sentire più acutamente in quell’area» con mar cinese meridionale, Taiwan e Hong Kong come nuove aree di conflitti possibili.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.