Nascita ed evoluzione dei dormitori universitari, le “città nelle città” che rappresentano una tappa obbligatoria nel percorso di crescita dei giovani studenti cinesi. Il primo appuntamento della serie dedicata alle tendenze giovanili, per la rubrica “Dialoghi: Confucio e China Files”, curata in collaborazione con Istituto Confucio di Milano
宿舍 su she: non è un caso che una delle prime parole nel vocabolario dello studente di lingua cinese in erba sia “dormitorio”. Che ci si lanci in un’esperienza di studio con una borsa di mobilità o che si decida per un corso di studi vero e proprio, si verrà di certo in contatto con l’alloggio di base in uno dei tanti dormitori del campus.
A metà settembre, quando gli studenti hanno avuto tempo per ambientarsi, sui social impazzano i contenuti dedicati a quelle che saranno le loro nuove “case” per gli anni a venire. Contrariamente a quanto succede oltre i confini della Repubblica popolare, i dormitori rappresentano la regola, non l’eccezione. E non è raro che i campus universitari predispongano alloggi anche per il personale docente e amministrativo.
I campus oggi
“Ho rivolto lo sguardo al blocco dei dormitori femminili dove vivevo. L’edificio aveva 48 stanze su ogni piano, con sei persone in ogni stanza. L’area assegnata a ciascuna persona era di circa 2 metri quadrati. La disposizione di ogni piano era la stessa: due bagni pubblici, un distributore di acqua calda, un grande bidone della spazzatura. I corridoi erano stretti e senz’aria, con porte verde militare allineate lungo le pareti, tre rozzi numeri rossi dipinti con spray su ciascuno. Al piano inferiore c’era il bagno pubblico, gestito dalle ayi (la parola cinese spesso usata per le donne di mezza età o anziane, in particolare quelle che lavorano nei servizi) e da un custode”.
A scrivere queste parole è Zhang Jiayu, studentessa dell’Università Renmin di Pechino che ha dedicato un intero progetto fotografico alla vita dei dormitori. Le foto sono diventate virali su internet, tanto da oltrepassare i confini della Repubblica popolare e far conoscere questa realtà anche in paesi dove il concetto dei dormitori è limitato a pochi alloggi, mentre di norma prevale il mercato degli affitti privati. In queste vere e proprie città nella città non mancano minimarket e caffetterie, palestre, aule studio e mense di vario livello nell’offerta. Le luci delle biblioteche rimangono accese fino alle dieci di sera, mentre nella maggior parte degli studentati è previsto un coprifuoco. Non sempre è permesso agli studenti maschi l’accesso ai dormitori femminili, e viceversa.
Nel 2020 il ministero dell’Istruzione cinese ha promesso di estendere l’offerta formativa dei corsi di specializzazione, alzando il numero di posti accessibili all’università. Una notizia che ha avuto un immediato riscontro tra i giovani, con un aumento delle iscrizioni del 28% per l’anno accademico 2022/2023 e una cifra record di 4,57 milioni di iscritti all’esame di ammissione per le lauree magistrali. Ma adattare i campus esistenti a un numero sempre più elevato di studenti non è un lavoro che si completa in pochi mesi – soprattutto in mezzo a una pandemia. Uno studio rileva che nel periodo 2000-2019 la South China University of Technology di Guangzhou ha registrato un aumento medio della superficie abitabile del 3,35% su base annua. Il tasso di crescita medio annuo del numero di studenti di laurea magistrale supera invece il 12%.
Il fattore scarsità non è l’unico ad accendere il dibattito sull’agibilità dei dormitori studenteschi. In alcune strutture i giovani lamentano le condizioni dei servizi sanitari e il pessimo stato di edifici vecchi e che necessiterebbero di rapide ristrutturazioni, mentre altri rivendicano il diritto di poter cambiare alloggio se la relazione con i nuovi coinquilini non funziona.
È altrettanto vero che in alcune università le strutture abitative sono dotate di tutti i comfort. Come quelli per gli stranieri: è opinione comune che gli studenti in arrivo dall’estero se la passino meglio di quelli cinesi. Negli anni le foto delle stanze a loro dedicate (spesso camere singole o doppie, a volte con il bagno privato) hanno scatenato le critiche di giovani del paese che trovano ingiusto che per loro la norma sia vivere con altre cinque persone in uno spazio ridotto e che difficilmente possa garantire momenti di privacy.
Lo dimostra l’attenzione per le “relazioni nei dormitori”: solo sul social Xiaohongshu i contenuti con hashtag #宿舍关系 (sushe guanxi) hanno collezionato oltre 580 milioni di visualizzazioni. In alcune realtà universitarie si sta sperimentando la scelta “a monte” dei compagni di stanza (prima, quindi, di andarci a vivere) mentre in altre è ora possibile chiedere un cambio di alloggio se la relazione con i coinquilini non funziona.
Ciononostante, le tecnologie più avanzate hanno fatto il loro ingresso anche nella vita universitaria. In pochi anni i campus universitari sono passati dal garantire i servizi essenziali a fornirsi di telecamere di ultima generazione, mentre in sempre più strutture gli accessi vengono monitorati dal riconoscimento facciale. La Beijing Normal University è stata tra le prime a adottare tecnologia di ultima generazione: nel 2017 ha installato un sistema di riconoscimento vocale capace di comprendere 26 dialetti e di identificare i nomi degli studenti quando vengono chiamati. In alcuni casi il riconoscimento facciale ha sostituito completamente i badge universitari, permettendo agli studenti di accedere alle mense e pagare i pasti con la sola scannerizzazione del volto.
I campus nella storia della Repubblica popolare
La nascita dei dormitori risale ai tempi delle prime grandi università, come l’università Peiyang (1895, oggi Tianjin University), la Peking University (1898) e la Tsinghua (1911) situate nella capitale, o la Fudan a Shanghai (1905) – la prima facoltà finanziata da privati. La riforma dell’educazione di allora, ispirata da quegli intellettuali che diventeranno le colonne portanti della cultura cinese contemporanea, assegnava una certa importanza al valore della collettività.
Il Movimento del 4 maggio 1919 ha poi contribuito a rafforzare l’idea che una nuova Cina avesse bisogno del sostegno del suo popolo, che quindi doveva poter accedere all’istruzione universale. Forte la fascinazione per le pratiche pedagogiche sperimentali in Europa. Tra le principali, quelle attuate dal direttore delle scuole pubbliche di Monaco Georg Kerschensteiner, che in quegli anni aveva elaborato un modello educativo a metà tra l’educazione e la vita collettiva. Il concetto di Arbeitsschule, “scuola del lavoro”, nasceva per promuovere un lavoro sulla disciplina nelle comunità scolastiche per “contribuire al progresso e alla crescita dello Stato”.
La pervasività delle collettivizzazioni maoiste ha poi contribuito al rafforzamento del continuum tra vita privata e vita universitaria all’interno dei campus. Con la vittoria dei comunisti nel 1949 furono poste le basi di una rivoluzione educativa. “Diventa assolutamente necessario che ogni educatore comprenda chiaramente questa differenza essenziale tra la vecchia e la nuova educazione, perché la nuova educazione e la vecchia educazione sono due diversi riflessi socioeconomici, e la differenza tra loro è la differenza tra la natura dell’educazione semi-feudale e semi-coloniale e la natura della nuova educazione democratica”, scriveva il politico Ma Xulun nel suo rapporto a chiusura della prima Conferenza sul lavoro educativo. Presto vennero messe al bando le fondazioni private, tra cui quelle gestite dai missionari stranieri.
Durante la Rivoluzione culturale le università vennero ridotte a poche classi, i curriculum di studio vennero integrati con maggiori lavori di utilità sociale, mentre prevalse l’ideale dell’istruzione “pratica” per giovani e insegnanti mandati nelle campagne per uno scambio concreto con i contadini.
Negli anni è nata una definizione a sé stante: la “cultura del campus (学院文化, xueyuan wenhua)”, da intendere come una serie di modi di vivere lo spazio funzionali allo sviluppo di un insieme coerente di valori e pratiche quotidiane per la vita in società. Questa espressione emerge per la prima volta in Cina in occasione del primo “incontro teorico sulla cultura del campus” promosso dalla sezione shanghainese della Lega della gioventù comunista, nel 1986. Tutt’ora i campus vengono dipinti come una prima esperienza di vita in comunità, un luogo dove sviluppare l’indipendenza dalle cure dei genitori e il senso di comunità.
Di Sabrina Moles