“Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione con l’Istituto Confucio di Milano. Questa puntata offre la testimonianza di Martina Bucolo, docente di italiano a Shanghai. Uno spaccato di vita post-Covid.
Il 10 agosto 2022 mi sono trasferita nel condominio il cui nome tradotto in italiano suonerebbe più o meno come “Giardino Jincong”, con un parcheggio al posto del giardino e una fontana perennemente prosciugata. In quanto unica straniera del condominio sono stata subito adocchiata dalla responsabile di turno: mi avvicina per fornirmi un elenco completo dei ruoli degli altri condomini, i turni (tamponi e spazzatura in caso di lockdown) e delle attività interne al nostro complesso, tra cui “tuangou”, mi sembra di sentire. Avendolo incluso tra le 活动 [huódong] (cioè le attività ricreative del condominio) pensavo di aver imparato una nuova parola che si riferisse a un qualche sport di cui non conoscevo ancora il termine cinese, tipo “bocce”. Mi chiede se voglio entrare nel gruppo WeChat per organizzarmi insieme a loro, ma sono arrivata da una settimana e non ho voglia di fare troppe attività. Ho un sacco di scartoffie burocratiche da sistemare, quindi rifiuto gentilmente e le dico che eventualmente, se dovessi cambiare idea, la contatterò su WeChat.
Qualche giorno dopo, tornando a casa, mi ritrovo bloccata fuori dal cancello principale da un signore di mezza età che con un furgone occupa l’entrata. Cerco di sporgermi sulla sinistra, lato di ingresso delle auto, per capire cosa sta facendo e quanto tempo impiegherà per concludere e liberare il cancello pedonale. Scarica merce, tanta merce. Ricordo chiaramente l’ansia e la preoccupazione di quel giorno, convinta stessimo per entrare in lockdown. Probabilmente la Signora Yu, la responsabile, si accorge della mia espressione accigliata. Si trova esattamente al di là del cancello, bloccata dentro.
È così che scopro che quel 团购 [tuángòu] di qualche giorno prima non si riferiva a uno sport ma indicava l’”acquisto di gruppo”, la huodong (attività) che si continua a portare avanti anche adesso, nel periodo post-riapertura. Lei, la signora, è la 团长 [tuánzhǎng], la coordinatrice del gruppo di acquisto. “Durante i mesi più duri del lockdown” mi dice “c’erano alcuni quartieri discriminati e non sempre si riusciva a fare una spesa decente, quindi abbiamo deciso di creare questi gruppi d’acquisto per facilitare tutti, soprattutto gli anziani”. E sono proprio le fasce più anziane della popolazione ad aver apprezzato questa nuova modalità “collettiva”. Funzionava, e funziona ancora, così: si crea un gruppo WeChat con chi è interessato ad acquistare in gruppo e ogni persona comunica cosa vuole comprare e le quantità. La coordinatrice si mette d’accordo con il rivenditore, che consegnerà frutta e verdura il giorno successivo, o due/tre volte a settimana in base agli accordi. In tal modo può smaltire grandi quantità di merce mantenendo anche una continuità settimanale con clienti di fiducia. Questo gli permette, inoltre, di fare sconti vantaggiosi: 各得其所 [gèdéqísuǒ], significa che ogni parte coinvolta ottiene dei vantaggi e sono tutti contenti. La merce viene scaricata all’ingresso del complesso, accanto alla postazione del portiere. Tutto impacchettato ed etichettato con numero di cellulare, numero del palazzo, piano e stanza – una procedura che velocizza le consegne in caso di omonimia. Nonostante da un giorno all’altro sia finito tutto, e la strategia Zero Covid sia stata abolita, gli acquisti di gruppo sono andati avanti. Giorno e notte.
Nella quotidianità di Shanghai, però, c’è una velata ombra di paura che aleggia sempre dietro l’angolo. Nessuno ne parla o sembra volerne parlare. Le restrizioni non ci sono più: niente tamponi, niente codici da scannerizzare, niente quarantena, niente allarmi magnetici alle porte né mascherine. Queste ultime non sono più obbligatorie (sembra…) ma il megafono su ON ti ricorda che è meglio indossarla “为了你的安全” [wèile nǐ de ānquán], “per la tua sicurezza”. La maggior parte delle persone la porta sempre, ad esempio durante gli spostamenti in metro e soprattutto durante le ore più affollate. Dopo la riapertura e gli allentamenti, c’è chi ha semplicemente smesso, gradualmente. All’inizio era dura passare i controlli senza mascherina, ma pian piano si sono arresi pure gli agenti di sicurezza. Un po’ come accaduto con le mascherine in metro, così piano piano la voce che comunicava che non era più necessario indossarla per entrare nei luoghi pubblici ha iniziato a diffondersi. Al centro commerciale iniziano a vedersi i primi volti scoperti, tranne per i dipendenti.
Forse i 保安 [bǎo’ān], gli addetti alla sicurezza, sono quelli che hanno accettano meno la fine di un lungo periodo in cui sono stati investiti da grandi poteri (da cui derivavano grandi responsabilità). Restii nel vedere le persone a faccia scoperta, capita che all’ingresso di ospedali, banche e alcuni uffici governativi continuino a richiamare all’ordine chi non la indossa. Le persone dentro, in fila senza mascherina, lanciano occhiatacce. Spesso qualcuno grida: “现在都什么时候了还戴口罩” [xiànzài dōu shénme shíhòule hái dài kǒuzhào]. Vale a dire: “Non credi sia arrivato il momento di smetterla con ‘sta storia?”
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Shanghai shanghai
Laurea magistrale in relazioni internazionali e comunicazione interculturale all’università di Enna (Kore). Ha insegnato cinese ai bambini di una scuola dell’infanzia tramite un progetto in collaborazione con l’Istituto Confucio di Enna. Dopo la laurea si è trasferita in Cina, dove ha insegnato italiano ai cinesi, prima a Chongqing in una scuola elementare e poi a Chengdu alla Sichuan Normal University.