La “diplomazia dei panda” è uno strumento di politica estera che la Cina utilizza fin dall’epoca imperiale come simbolo di amicizia e cooperazione. Dopo alcune critiche, dovute alla commercializzazione dell’animale, il successo nella conservazione dei panda è diventato nel corso dei decenni uno dei punti di forza della Repubblica Popolare. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Clicca qui per le altre puntate
C’è un episodio che si menziona spesso quando si parla di “diplomazia dei panda” (xióngmāo wàijiāo, 熊猫外交), a metà tra storia e leggenda. Risale al 1972, nei giorni della storica visita del presidente americano Richard Nixon in Cina. Durante una cena tra i più alti funzionari cinesi e la delegazione statunitense, così si racconta, la first lady Pat Nixon avrebbe esclamato: «Che dolci!», riferendosi ai panda raffigurati nel logo di un pacchetto della famosa marca di sigarette cinese Xiongmao, appoggiato sul tavolo. Il premier cinese Zhou Enlai, seduto vicino alla moglie di Nixon, le promise allora che presto avrebbe potuto vederli dal vivo, negli Stati Uniti. Due mesi dopo lo zoo Smithsonian di Washington accolse Ling-Ling (femmina) e Hsing-Hsing (maschio).
È una storia che viene ricordata perché da sola riesce a racchiudere tutti i punti salienti della diplomazia dei panda. Gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese avevano appena cominciato a parlarsi, dopo oltre vent’anni di tensioni, e la donazione dei panda simboleggiava la volontà di Pechino di aprirsi al dialogo con Washington. Non valeva solo sul piano metaforico. Inviare i panda allo Smithsonian era anche un modo per avviare una prima forma di cooperazione scientifica tra le parti, volta a favorire la tutela della specie, che si sarebbe poi rafforzata nei decenni successivi.
Esisteva inoltre tutto un ragionamento legato al soft power, che vale ancora oggi. I panda sono «dolci», carini, adorabili. Spedirli all’estero permetteva alla Cina di presentarsi con un’immagine molto diversa da quella di pericolosa “minaccia comunista”, come la ritenevano gran parte degli Stati occidentali, suscitando al contempo nella popolazione locale una certa curiosità riguardo il paese, la sua storia, la sua cultura.
Ling-Ling e Hsing-Hsing sono forse i due panda più famosi mai inviati dalla Cina agli Stati Uniti, ma non sono stati i primi. A precederli furono due esemplari che Chiang Kai-shek, leader nazionalista della Repubblica di Cina, spedì in America nel 1941 come forma di ringraziamento per l’ingresso di Washington nella seconda guerra mondiale. Ma la democrazia dei panda ha radici che vanno ben oltre il periodo repubblicano. Secondo diverse fonti storiche, la pratica di regalare i panda in segno di amicizia venne sdoganata dall’imperatrice Wu Zetian (Wǔ Zétiān, 武則天), della dinastia Tang (Tángcháo, 唐朝; 618-907), che ne inviò un paio all’Impero giapponese intorno alla fine del settimo secolo.
Se è vero che donare ai propri “amici” una delle specie animali più rare al mondo (l’areale dei panda giganti è limitato ad alcune zone della Cina centrale) rappresenta da secoli uno strumento di politica estera per la Cina, con la nascita della Repubblica Popolare nel 1949 le cose sono un po’ cambiate. Mao Zedong, presidente del Partito Comunista Cinese fino alla sua morte, nel 1976, ha trasformato i panda in uno dei simboli della “nuova Cina”, rendendo per la prima volta riconoscibile in tutto il mondo l’associazione tra Pechino e questa particolare tipologia di orso.
Nella Cina comunista i panda hanno iniziato a essere raffigurati su qualunque cosa, dalle sigarette – dove li notò Pat Nixon – ai cartoni del latte, passando per monete e francobolli. Durante i suoi primi anni al potere Mao ne inviò diversi esemplari in Unione Sovietica e Corea del Nord, vicine sul piano ideologico a Pechino, prima di allargare le donazioni anche ad altri sette paesi, tra cui gli Stati Uniti, appunto. Va poi sottolineato che quelli in epoca maoista erano veri e propri regali: oggi la Cina non dona più i suoi panda, ma li presta.
A partire dalla fine degli anni settanta Deng Xiaoping, successore formale di Mao, ha consolidato e burocratizzato la diplomazia dei panda, creando la forma di contratto di prestito utilizzata ancora oggi da Pechino. Di fatto i panda vengono affittati in coppie (un maschio e una femmina) dai paesi che li ricevono: tendenzialmente la durata del prestito va dai 10 ai 15 anni, con varie opzioni di prolungamento, e costa allo Stato ospitante fino a 1 milione di dollari all’anno. Ci sono poi altre clausole. Una di queste prevede che tutti i cuccioli nati dalla coppia siano di proprietà cinese, come i genitori, e che debbano essere portati in Cina entro i 4 anni di età.
Con Deng sono mutati anche i criteri utilizzati nella scelta degli Stati ai quali cedere in via temporanea l’animale simbolo del paese. Secondo una ricerca dell’Università di Oxford, oggi la diplomazia dei panda è rivolta soprattutto agli Stati con cui la Repubblica Popolare ha (o vorrebbe stringere) forti legami commerciali. In passato questo tipo di commercializzazione dei panda ha pure suscitato una certa indignazione, legata in particolare ai “prestiti brevi”: fino agli anni ottanta, in alcuni casi, Pechino affittava degli esemplari anche solo per qualche mese, prima di farli rientrare in patria.
Da tempo l’approccio cinese è molto cambiato e la tutela del benessere animale è diventata centrale in ogni contratto di prestito. Gli scienziati e funzionari cinesi controllano scrupolosamente lo stato di salute dei propri panda all’estero, e lo stesso fa l’opinione pubblica cinese. I paesi a cui si decide di prestarli vengono selezionati anche in funzione delle strutture e del tipo di cura che possono garantire, visto che mantenere i panda è molto costoso e che metterli nelle condizioni di riprodursi è piuttosto complicato.
La ragione che ha portato a una maggiore attenzione in tal senso è stata la presa di coscienza, negli anni ottanta, che la specie fosse ormai a rischio estinzione. Da allora diverse associazioni si sono attivate per la tutela del panda – come il World Wide Fund for Nature (WWF), che ne ha fatto il suo simbolo –, supportando le attività di conservazione e riproduzione messe in atto dal governo cinese. In quarant’anni il numero di panda in natura, secondo i dati dello stesso WWF, è aumentato da 1.100 a 1.894 esemplari, mentre quelli in cattività sono circa 700 (erano 161 nel 2002).
Nel 2016 l’International Union for Conservation of Nature (IUCN) ha cambiato la classificazione dei panda da specie “in pericolo” a “vulnerabile”, valutazione che ha adottato anche la Cina nel 2021. L’aver dato nuovo vigore a una specie sull’orlo dell’estinzione rappresenta oggi un punto di forza per la Repubblica Popolare di Xi Jinping. Alla luce del suo nuovo status di “superpotenza”, nell’ultimo decennio la Cina è tornata, almeno in parte, a legare la diplomazia dei panda più all’amicizia che ai rapporti commerciali. Dal 2014 Xi ha inviato oltre 20 panda all’estero, di cui 14 in Europa, ma soprattutto ha iniziato a negare il rinnovo dei prestiti ai paesi più “ostili” nei confronti di Pechino, come Regno Unito, Australia e Stati Uniti.
A novembre del 2023 lo Smithsonian di Washington ha rimandato in Cina i suoi ultimi due esemplari, e da allora gli unici quattro panda rimasti negli Stati Uniti risiedono nello zoo di Atlanta, in attesa di viaggiare verso la Repubblica Popolare entro la fine del 2024. Sembrava la fine (almeno momentanea) della diplomazia dei panda tra Cina e Stati Uniti, ma a maggio lo Smithsonian ha annunciato che nei prossimi mesi Pechino invierà allo zoo due nuovi esemplari, Bao Li e Qing Bao. Dopo un periodo complicato, la decisione sembra sottolineare come le relazioni tra Cina e Stati Uniti siano tornate a vivere una fase di maggiore stabilità.
Gli stessi media cinesi hanno enfatizzato molto questo ritorno della diplomazia dei panda, che vengono comunemente dipinti come degli “ambasciatori” il cui compito è migliorare la visione della Cina all’estero e favorire la connessione tra culture diverse. Ma l’importanza simbolica del gesto è stata rilevata anche alla Casa Bianca. 52 anni dopo Pat Nixon, un’altra first lady, Jill Biden, ha festeggiato su X l’imminente arrivo degli «adorabili e gioiosi» panda a Washington.
We are excited for children near and far to once again enjoy the giant pandas’ adorable and joyful adventures at our @NationalZoo. 💕 https://t.co/wZAWdYcJ3n
— Jill Biden (@FLOTUS) May 29, 2024
A cura di Francesco Mattogno