Secondo le ultime stime i cittadini che abitano nelle città di terza fascia soffrono meno le incerte prospettive economiche rispetto ai residenti delle metropoli come Pechino, Shenzhen e Shanghai. Inoltre, attraggono giovani sempre meno propensi alla vita frenetica della grande città. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Qui per le altre puntate.
Chi vive a Shanghai o a Pechino potrebbe passarsela peggio di chi abita a Xining, città di circa 2 milioni di abitanti della remota e vasta provincia di Qinghai. La convinzione che la capitale della Repubblica popolare o le popolose città delle sue provincie costiere possano offrire le migliori opportunità di vita e lavoro sembra ormai un lontano ricordo. A dirlo sono le stime degli ultimi anni, secondo cui sulle condizioni di vita nelle metropoli di prima fascia pesano costi della vita sempre più inaccessibili e margini di crescita sempre più ridotti. In questo scenario, le città più marginali della Repubblica popolare sembrano godere di buona salute: chi ci vive è meno soggetto alla pressione finanziaria e l’andamento generale dei consumi è migliore rispetto ai principali centri urbani del paese. Inoltre, rappresentano una nuova opportunità per i giovani stanchi della vita frenetica.
Grandi metropoli e carovita
Nel terzo trimestre l’economia cinese è cresciuta del 4,6% su base annua, superando le aspettative degli analisti, che stimavano un 4,4%, ma segnando la percentuale più bassa dell’ultimo anno. Ottobre ha registrato un’impennata delle vendite al dettaglio al 4,8%, la più alta da febbraio 2024, che tuttavia è legata alle spese fatte nel periodo di vacanza e motivate dalle promozioni del Guanggun Jie, il giorno dei single.
L’obiettivo di Xi Jinping di trasformare la Cina in una società dei consumi non sembra sostenuto nelle principali città del paese, le cui prestazioni nell’ultimo anno sono state piuttosto magre: stando ai dati dell’ufficio municipale di statistica, nei primi nove mesi del 2024 le vendite al dettaglio di beni di consumo a Pechino sono calate dell’1,3% su base annua, per poi registrare un leggero miglioramento nel mese di ottobre. A giugno, Shanghai ha segnato un crollo delle vendite al dettaglio del 9,4%, il peggior risultato dal tragico periodo di quarantena del 2022. I residenti delle principali città del paese stanno tirando la cinghia, riducendo l’acquisto di beni di grande valore, come automobili e case, ma anche limitando i beni di prima necessità.
L’incremento dei costi degli affitti è al centro delle discussioni sul caro vita e interessa in Cina circa 145 milioni di affittuari urbani, impattando in misura maggiore i giovani e i lavoratori a basso reddito. Secondo il China Real Estate Index System, nel 2023 ben 19 delle 50 principali città del paese hanno visto aumentare il prezzo degli affitti. A Shanghai, quasi il 60% degli affittuari spende oltre il 30% del proprio reddito mensile per la casa. Un problema che il governo centrale ha affrontato chiedendo alle autorità locali di acquisire appartamenti vuoti da sviluppatori immobiliari in difficoltà finanziarie e convertirli in alloggi a prezzi accessibili (una mossa che va di paro passo con quella di convertire unità residenziali abbandonate in alloggi pubblici. Ne avevamo parlato in questa puntata di Dialoghi). In alcuni casi ciò ha sortito gli effetti sperati, con la nascita di strutture abitative a prezzi calmierati per le fasce più fragili della popolazione. Ma in altri casi, per far fronte ai costi ingenti dovuti alla manutenzione continua di questo genere di alloggi, alcuni governi locali hanno aumentato il costo dell’affitto di parte di queste proprietà.
Nelle città più piccole si spende di più
Nelle città cinesi più piccole, invece, si respira un’aria diversa. Nei centri urbani di terza fascia o di livello ancora inferiore, dove abita circa il 63% della popolazione totale del paese, i dati più recenti riportano una rapida crescita del reddito pro capite e dei consumi. Nella prima metà del 2024, delle 35 città che rientrano nella categoria “di terza fascia” ben 26 hanno registrato un aumento dei consumi. Da un rapporto pubblicato a settembre dalla società di consulenza McKinsey, la fiducia nei consumatori raggiunge l’82% nelle città di terza e quarta fascia, mentre si ferma al 74% delle città di prima e seconda fascia.
Metropoli come Pechino, Shanghai, Shenzhen o Guangzhou vengono scavalcate da altri centri in termini di prestazioni economiche. L’indice Best-Performing Cities China del Milken Institute classifica Hangzhou come la città cinese tra quelle di prima e seconda fascia con le migliori performance del biennio 2023-2024. Centro chiave della zona economica del fiume Yangtze e polo emergente dell’e-commerce, Hangzhou ha beneficiato di ingenti investimenti nel settore tech e vanta un costante afflusso di talenti che si laureano in istituti di eccellenza come la Zhejiang University.
Nello stesso indice, Wuhan, Jinan (capitale della provincia dello Shandong), Changsha (Hunan) e Chengdu (Sichuan) si attestano rispettivamente al secondo, terzo, quarto e quinto posto. Pechino e Shenzhen occupano l’ottava e la nona posizione. Nella classifica dedicata alle città di terza fascia, menzione d’onore per Dazhou e le opportunità legate al porto di Yangpu, nell’isola di Hainan, che punta a diventare un hub logistico internazionale.
Consumi “sommersi” e nuovi trend
Come si legge in un approfondimento che la newsletter Baiguan ha dedicato al tema, «con il mutare delle dinamiche demografiche, cambiano anche le idee, le abitudini e gli stili di vita delle persone». I mercati rurali stanno cambiando proprio perché «i giovani che si trasferiscono dalle metropoli alle città delle province rurali importano le abitudini di consumo delle “grandi città” in queste località più piccole». Si fa riferimento al caffè, ormai di moda in tutto il paese: note catene come Luckin Coffee stanno espandendo la sua quota di mercato anche nelle province interne.
Alcuni brand hanno dimostrato anche di riuscire a orientare le proprie strategie di marketing specificatamente sui mercati rurali: è il caso di Lululemon, multinazionale americana di abbigliamento sportivo, che oltre ad essere stata capace di aderire a un mercato come quello cinese, non sempre comodo per i brand stranieri, ha anche messo a punto la propria conoscenza dell’ecosistema dei social media. Negli ultimi due anni il marchio ha cambiato il proprio target, migrando dal ceto medio urbano a una fascia di popolazione più ampia e variegata grazie a Douyin: tra gli spettatori del live streaming figurano un numero crescente di utenti da città di terza e quarta fascia come Taizhou (nello Zhejiang) e Weifang (nello Shandong).
Se non è ancora il caso di parlare di una “migrazione di ritorno”, vale la pena considerare le motivazioni che spingono alcuni giovani originari delle aree rurali a tornare dalle proprie famiglie dopo aver trascorso un periodo in città. Sixth Tone ha tradotto un estratto del libro di Wang Defu, professore della School of Sociology alla Wuhan University, che nel suo nuovo libro “L’età delle masse” (群众的时代, qunzhong de shidai) affronta le differenze generazionali: se i nati negli anni Ottanta tornano nei luoghi di origine per lo più per prendersi cura dei propri genitori, i nati nei Novanta (ancor di più quelli post-1995) sono spinti da fattori occupazionali, vale a dire che scelgono di tornare per avviare un’attività o per perseguire le carriere tramandate nella famiglia. Il valore che assume la città, inoltre, sta mutando. Vivere nelle metropoli non è più considerato universalmente come una scelta migliore e il senso di inferiorità di chi abita nelle città più periferiche sembra essersi attenuato in modo importante.
Con un mercato occupazionale in cui è sempre più complesso dare forma alle proprie aspirazioni, un fallimento dal punto di vista lavorativo ha un peso maggiore se si deve far fronte a costi della vita inaccessibili. «Una volta tornati a casa, i giovani si reinseriscono nelle loro reti familiari e nei sistemi di sostegno locali», scrive il professor Wang Defu. Se a Shanghai si fa difficoltà a permettersi un monolocale, le case in campagna nelle province interne sono ben più accessibili. Su Baiguan, Elena Wang e Nina Chen intervistano una coppia che nel Guangdong rurale è riuscita ad accaparrarsi una villa di 320 metri quadri a 570 mila yuan. Alla stessa cifra, nei quartieri centrali di Shanghai o di Pechino, avrebbero potuto acquistare poco più di un posto auto.
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.