La comunità transgender in Cina ha poco spazio di azione. Le discriminazioni iniziano nel contesto familiare e interessano ogni ambito della vita quotidiana: sul web non c’è spazio per la fluidità di genere, le risorse mediche sono carenti e per le revisione di genere sui documenti ufficiali è ancora necessaria la transizione chirurgica completa. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione con l’Istituto Confucio di Milano.
In Cina l’omosessualità è stata decriminalizzata nel 1997, e l’apparizione in televisione di personaggi noti da decenni come la ballerina e coreografa transgender Jin Xing potrebbe trasmettere l’idea di una opinione pubblica ormai a proprio agio con questi temi. Ma i membri della comunità LGBTQ+ del paese non possono ancora beneficiare di tutele legali che li proteggano dalle discriminazioni in famiglia, a scuola e a lavoro.
Una indagine condotta nel 2017 dalla ong Beijing LGBT Center (Beijing tongzhi zhongxin, 北京同志中心) insieme al Dipartimento di sociologia dell’Università di Pechino ha rivelato che l’11,8% delle persone trans intervistate è disoccupato. E circa il 25% ha ammesso di trovarsi di fronte a un “ambiente di lavoro ostile”. Nel 2020 una donna transgender della capitale ha vinto la causa contro la piattaforma cinese di e-commerce Dangdang, dopo che l’azienda aveva deciso di licenziarla dopo aver preso un congedo per l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso. In vari scambi di mail i suoi superiori avevano fatto misgendering (avevano quindi definito in modo errato il suo genere di appartenenza), anche arrivando a definirla “malata di mente”.
Casi di questo genere, seppur importanti, restano isolati. Le battaglie che coinvolgono i membri della comunità hanno inizio nel contesto familiare e si protraggono in ogni aspetto della vita quotidiana.
Camminare in punta di piedi
A pesare sulla loro rappresentatività c’è anche il controllo su internet e media da parte degli organi governativi, che da tempo puntano il dito contro modelli considerati “non allineati” alla visione del Partito. Le star considerate “troppo effeminate” sono state eliminate dall’industria dell’entertainment, sia per ostacolare quelle che vengono definite come “influenze maligne” dei paesi occidentali che per salvaguardare la netta divisione dei generi a favore di famiglia tradizionale.
Nell’estate del 2021 diversi gruppi LGBTQ+ si sono visti bloccare gli account WeChat “senza alcun preavviso”, e qualche mese dopo la ong LGBT Rights Advocacy China è stata costretta a porre fine a tutte le sue attività. Va evidenziato, tuttavia, che nell’ultimo anno è emerso uno spazio di sfogo su Xiaohongshu, una piattaforma che potrebbe essere descritta come un ibrido tra un social media e una piattaforma di e-commerce.
Rispetto agli altri social della Repubblica popolare, il “piccolo libretto rosso” accoglie sempre più post dove i membri della comunità trans parlano di transizione di genere, discriminazioni sul lavoro e in famiglia. Da solo l’hashtag #跨性别 (#Transgender) conta oltre 4,2 milioni di visualizzazioni. I motivi della proliferazione di questo genere di contenuti, riporta un articolo di Rest of World, sono vari: la base di utenti prevalentemente giovane e originaria da un contesto urbano (oltre l’88% sono donne), e il funzionamento dell’algoritmo di raccomandazione che consente la formazione di micro-comunità che possono facilmente trovare contenuti di nicchia.
Fuori dallo schermo, tuttavia, le associazioni a supporto della comunità hanno messo da parte le questioni che riguardano la rappresentazione delle soggettività tutte e la visibilità pubblica. Da tempo hanno abbracciato un approccio più moderato, più “privato”: note organizzazioni no-profit come la “rete di volontari” di Guangzhou Trans Well-being Team (Kuar xinli xiaozu, 跨儿心理小组) e il noto Beijing LGBT Center sono attive principalmente nel supporto psicologico trans-friendly e nella divulgazione sulla salute sessuale.
Essere minori transgender
Se in Cina il tema della transessualità è entrato tardi nel discorso pubblico, passi importanti sono stati fatti dalle strutture mediche specializzate. La prima clinica dedicata è nata nel 2017 nella capitale, all’interno del prestigioso Terzo Ospedale dell’Università di Pechino (Beijing Daxue di san yiyuan, 北京大学第三医院). La Clinica generale per le persone transgender (kuaxingbie zonghe menzhen, 跨性别综合门诊) e il suo fondatore Pan Bailin accolgono ogni anno centinaia di bambini e adolescenti transgenere.
Una categoria particolarmente a rischio, anche visti gli enormi cambiamenti fisici e mentali legati alla pubertà. Storie di autolesionismo e profonda depressione ricorrono con frequenza in un lungo articolo pubblicato a gennaio di quest’anno nel profilo WeChat The Truman Story (in cinese Zhenshi gushi jihua, 真实故事计划), poi tradotto per intero in inglese dalla newsletter Ginger River Review (GRR) a cura del giornalista Jiang Jiang). Intervistato dagli autori, Pan Bailin ha elencato le numerose difficoltà che i giovani “visitatori” della clinica devono affrontare nel contesto familiare.
Da un rapporto del 2016 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo è emerso come quasi il 58% degli oltre 28 mila intervistati nella comunità LGBTQ+ ha detto di subire una “scarsa accettazione” o perfino il “completo rifiuto” dei familiari. Molti pensano che quella dei figli sia solo una fase o un capriccio temporaneo, e temono i giudizi della società. La situazione di sconforto e smarrimento in cui riversano i genitori di adolescenti transgender è un aspetto spesso troppo tralasciato.
Privi di supporto e sostegno psicologico, non è raro che decidano di imporre violenza sui propri figli. Le conseguenze sono spaventose: adolescenti accusati di essere “deviati”, picchiati e cacciati di casa. O anche rinchiusi nei “centri di conversione”, strutture che si propongono di “correggere” l’orientamento sessuale ricorrendo ad agopuntura, ipnosi, uso di sostanze stupefacenti o perfino all’elettroshock. Secondo Reuters, nel 2019 ne esistevano 96 sparsi in tutti il paese.
La clinica di Pan, come anche quella multidisciplinare nata qualche anno fa nell’Ospedale pediatrico dell’Università di Fudan, a Shanghai, si configura come un “rifugio sicuro” dove i giovani transgender possono esplorare il proprio corpo e decidere il proprio percorso di affermazione di genere. Luoghi necessari per evitare che bambini e adolescenti, a casa, soli e discriminati, si arrendano ad azioni estreme: non sono rari i casi di giovani che si castrano seguendo tutorial su internet, o che sono costretti a procacciarsi gli ormoni per la terapia nel mercato nero.
Un lungo percorso verso la terapia ormonale
Dal rapporto del 2017 del Beijing LGBT Center è emerso che su 2100 intervistati solo il 6% non ha avuto difficoltà a ottenere ormoni dagli ospedali. Il 33% ha dichiarato di essersi affidato al mercato nero, con i rischi che ciò comporta, dalla qualità dei farmaci stessi agli errori nel dosaggio.
Il problema, quindi, non riguarda solo i minori. Di fatto, in Cina, le persone trans incorrono in ostacoli di vario genere ben prima di accedere alla terapia. Come spiega un lungo approfondimento di The China Project, ad oggi per sottoporsi al trattamento ormonale i cittadini cinesi devono superare valutazioni psicologiche e ricevere una diagnosi di disforia di genere, una condizione medica derivante da un conflitto tra il sesso assegnato alla nascita e la propria identità di genere.
Se è vero che le persone della comunità sono ad alto rischio di problemi di salute mentale come conseguenza della discriminazione e dei traumi subiti, tale requisito è “intrinsecamente stigmatizzante e patologizzante”. Inoltre, i pazienti sono obbligati a sottostare a un periodo di “osservazione” che in alcuni casi può durare fino a due anni. Le terapie psichiatriche risultano spesso un passaggio doloroso, visto che, secondo le parole di un intervistato a The China Project, “gli psichiatri trans-friendly nel paese sono davvero pochi”. E una volta superate le valutazioni psicologiche capita che i medici si rifiutino di prescrivere gli ormoni.
Riassegnazione forzata
Vittorie saltuarie, spazi del web che fuggono alla censura del Partito, una (forse) maggiore presenza del dibattito pubblico: sviluppi di questa portata sono vani se ad oggi la Repubblica popolare deve ancora fare passi avanti per riconoscere il pieno diritto all’identità di genere. Per richiedere la revisione sui documenti ufficiali (carta d’identità, ma anche diplomi di laurea) le persone transgender in Cina devono ancora completare la transizione attraverso un intervento chirurgico irreversibile. E la legge afferma che a sottoporsi alla chirurgia di affermazione del genere possono essere solo persone non sposate che hanno più di vent’anni, che possono vantare una fedina penale pulita e che hanno il consenso dei familiari più stretti.
La difficoltà, com’è ovvio, risiede nel fatto che non tutte le persone transgender considerano l’intervento chirurgico come una parte fondamentale del loro processo di transizione. La discriminazione assume anche la caratteristiche di una differenziazione sociale. I costi sono a carico del “paziente”, e sono proibitivi: il prezzo per la procedura chirurgica si aggira attorno ai 60 mila-80 mila yuan (dagli 8 ai 10 mila euro).
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.