Il debutto degli e-sport ai Giochi asiatici 2023 ha visto la Cina dominare la competizione. Ma molti sostengono che le autorità del paese siano incapaci di riconoscere la validità di questo genere di sport. Il secondo appuntamento della serie dedicata alle tendenze giovanili (qui per recuperare il primo, dedicato ai dormitori cinesi), per la rubrica “Dialoghi: Confucio e China Files”, curata in collaborazione con Istituto Confucio di Milano
Gli Asian Games di Hangzhou hanno tenuto impegnata tutta l’Asia dal 23 settembre all’8 ottobre. Una edizione, la 19esima, che ha confermato quanto lo sport si faccia carico degli sforzi di costruzione di una precisa identità culturale, o ancora rispecchi le tensioni politiche tra paesi (ne abbiamo parlato nel primo contenuto della nuova stagione di “Dialoghi” ma anche e soprattutto nel nuovo ebook). Ma che ha anche segnato una importante prima volta: dopo essere apparsi nell’edizione del 2018 in Indonesia come evento dimostrativo, gli e-sport, le competizioni di videogiochi a livello agonistico, hanno debuttato ai Giochi asiatici come disciplina ufficiale.
Tra le sette diverse piattaforme in cui si è gareggiato nella competizione asiatica figurano titoli piuttosto noti, come Fifa e il noto videogioco MOBA (Multiplayer Online Battle Arena) League of Legends. Un’altra selezione operata a livello internazionale ha invece generato non poche polemiche. Lo scorso giugno Singapore ha ospitato l’evento inaugurale delle Olympic Esport Series e in tale occasione il Comitato olimpico internazionale (IOC) ha ammesso giochi meno conosciuti, tutti controparti digitali degli sport fisici: tra questi, Tic Tac Bow, un mix tra il classico gioco del tris e il tiro con l’arco, ma anche WBSC eBASEBALL: Power Pros e Zwift, che permette di godersi il ciclismo grazie a un insieme tra setup digitali e fisici.
La postura dell’IOC è stata delineata già durante un summit del 2017. Il presidente Thomas Bach (che alla cerimonia di apertura della competizione è comparso tramite ologramma a fianco della ex presidente di Singapore Halimah Yacob) ha chiarito che la condizione necessaria per far sì che gli e-sport approdino alle Olimpiadi è di fare a meno di titoli tradizionali come League of Legends, ma anche lo sparatutto multiplayer Counter-Strike e il videogioco di strategia DotA (Defense of the Ancients, perché troppo violenti.
Ma il debutto ai Giochi asiatici non poteva fare a meno dei titoli più noti. Anche perché l’Asia è un mercato di eccellenza per questo settore, e conta più della metà dei 3,4 miliardi di giocatori sparpagliati per il mondo. Prima della competizione, il presidente della Asian Esports Federation Huo Qigang ha detto ai media che nel continente gli e-sport “sono diventati un’industria fiorente, che libera un enorme potenziale e mette in contatto persone provenienti da contesti, culture e paesi diversi”.
Ad oggi Pechino si aggiudica il primo posto al mondo per grandezza del mercato in termini di fatturato e fan. Nel 2022 ha raggiunto i 400 milioni di adepti e un valore di mercato di oltre 445 milioni di dollari. Vista la loro popolarità, i biglietti per l’arena predisposta per i Giochi asiatici, la China Hangzhou Esports Center, dotata di 4500 posti e schermi giganti e nota come “l’astronave”, sono stati venduti attraverso una lotteria a sorteggio. Secondo i dati dell’associazione olimpica, più di cinque milioni di persone hanno partecipato al ballottaggio. A Insider uno spettatore ha detto che poter finalmente guardare i gamer gareggiare a livello agonistico è stato “intenso ed emozionante”. Anche e soprattutto perché, ha aggiunto, in Cina gli e-sport “sono ancora una grave piaga per la maggior parte dei genitori“.
Le preoccupazioni delle vecchie generazioni rispetto all’utilizzo irresponsabile dei videogame da parte dei giovanissimi sono state accolte dalle autorità del paese, che nel 2021 hanno deciso di interrompere per la seconda volta la concessione di licenze per nuovi titoli di giochi. Nei sei mesi successivi all’imposizione delle restrizioni, circa 14 mila tra studi, case di produzione di videogame e aziende che lavorano nella pubblicità e in altre settori collegati hanno dovuto sospendere le attività.
A queste sono state affiancate altre misure dedicate alla difesa delle giovani menti (ne avevamo parlato qui): gli under 18 sono dovuti scendere a patti con una legge che ha limitato a tre ore alla settimana (nel weekend e nei festivi) il tempo da dedicare ai videogiochi. Molti dei diretti interessati hanno risposto facendo ciò che ci si potrebbe aspettare da un adolescente: aggirando le regole con ciò che ha a disposizione. Il variegato ecosistema di Internet offre video di gameplay (si guarda gli altri giocare), ma anche metodi per prendere in prestito account di utenti maggiorenni. Ad agosto di quest’anno le ore permesse sarebbero scese a non oltre un paio a settimana.
Serkan Toto, fondatore della società di consulenza Kantan Games, ha detto a Reuters che “la posizione del governo sul gaming è ambigua”. Il tentativo di limitare l’esposizione ai videogiochi si accompagna a una sorta di indulgenza per i grandi tornei, che intrattengono e offrono un modo “più passivo” per sperimentarli. Il China Media Group, a guida statale, ha anche creato di recente un istituto di ricerca ad hoc, per indagare le potenzialità degli e-sport di contribuire all’ “economia digitale” del paese.
Malgrado le restrizioni imposte dall’alto, l’emittente statale ha garantito la copertura di alcune delle partite giocate. Sulle piattaforme social i fan hanno raccontato di essersi presi permessi dal lavoro per non perdersi l’emozione di vedere gli e-sport calcare un palcoscenico così importante. I festeggiamenti delle migliaia di tifosi sparsi per il paese hanno raggiunto il picco quando Pechino si è aggiudicata la prima medaglia d’oro vincendo 2-0 contro la Malesia.
A calcare la mano della commozione generale è stato anche il fatto che il gioco in questione è cinese: si tratta di Arena of Valor, la versione internazionale di Honor of Kings. A svilupparlo è Tencent, colosso tech che dipende per il 26% del proprio fatturato proprio dal settore del gaming. Il videogioco vanta tutti gli elementi che ne garantiscono il successo nella Repubblica popolare: è un gioco pensato per le piattaforme mobile (ci si gioca tramite account creato con l’app di messaggistica QQ di Tencent o con WeChat), è di tipo MOBA, offre match rapidi di non oltre 20 minuti, è stato accolto con interesse da migliaia di streamer seguitissimi. Dal debutto della versione internazionale nel 2020 è considerato il gioco più redditizio del pianeta (alcune stime parlano di oltre 10 miliardi di dollari di fatturato).
Dopo le quattro medaglie d’oro con cui i gamer cinesi professionisti hanno concluso le Olimpiadi asiatiche (seguono la Corea del sud con due e la Thailandia con una), resta da capire se Honor of Kings e le orde di fan del paese saranno in grado di convincere Pechino ad abbassare la guardia e fare uno sforzo per riconoscere la validità di questo genere di sport a livello nazionale.
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.