Edgar Snow è stato con tutta probabilità l’uomo occidentale più vicino a Mao Zedong e agli altri grandi leader della “prima era” della Repubblica popolare cinese. A Pechino viene ricordato come una figura eccezionale, in occidente è criticato per la sua indulgenza nei confronti del PCC. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Clicca qui per le altre puntate
Il 1° ottobre del 1970, esattamente 21 anni dopo la fondazione della Repubblica popolare cinese, un uomo occidentale e sua moglie osservano la parata per le celebrazioni del “Giorno della nazione” (guóqìngjié, 国庆节) dalla torre che svetta sopra Piazza Tiananmen. Al loro fianco ci sono Mao Zedong e Zhou Enlai, i due uomini più potenti del paese, rispettivamente presidente del Partito comunista cinese (PCC; Zhōngguó gòngchǎndǎng 中国共产党) e primo ministro. A vederli, sembrerebbe un fotomontaggio. Il 1° ottobre del 1970 manca ancora un anno e mezzo alla visita del presidente americano Richard Nixon in Cina, la normalizzazione delle relazioni tra Pechino e Washington è dunque ancora lontana e la Repubblica popolare è una “terra” praticamente sconosciuta all’occidente. Per un americano, all’epoca, entrare nel paese era quasi impossibile. Non per Edgar Snow.
Snow (Sīnuò, 斯诺) era un “vecchio amico” di Mao e Zhou, che hanno condiviso con lui pranzi, cene, passeggiate, lunghe interviste e conversazioni private. Nato e cresciuto nel Missouri, nel 1928 (a 22 anni) Snow parte per l’Asia alla ricerca di nuove opportunità lavorative, come giornalista. Sfugge alla Grande Depressione e si ritrova in Cina, a Shanghai, ingaggiato dal China Weekly Review, quotidiano in lingua inglese della città. Erano i primi anni della guerra civile tra il Kuomintang (KMT; Guómíndǎng, 国民党) e il PCC, nella Cina nazionalista guidata da Chiang Kai-shek che sarebbe poi stata invasa negli anni Trenta dall’Impero giapponese.
Stella rossa sulla Cina
Snow amava la Cina, ma non quello che vedeva. Descriveva Chiang come «un debole dittatore» (definizione che in seguito avrebbe parzialmente ritrattato) e, nella sua ricerca di un’alternativa tra il Giappone imperialista e la Cina nazionalista, finì con l’interessarsi ai comunisti. Nel luglio del 1936, a pochi mesi dalla fine della “Lunga marcia” con cui le armate comuniste circondate dal KMT si ritirarono nello Shaanxi (durante la quale morirono decine di migliaia di soldati), Snow riuscì a farsi portare nel quartier generale del PCC, nel villaggio di Bao’an, a Yan’an (Yán’ān, 延安). Tra l’altro, lo fece con l’aiuto di Song Qingling, vedova del leader della rivoluzione repubblicana Sun Yat-sen, che poi sarebbe diventata presidente della Repubblica popolare (1968-1972). Anche lei, una sua amica.
Restò lì per quasi quattro mesi, e parlò con tutti. Intervistò centinaia di contadini-soldati dell’Armata Rossa, decine di ufficiali che sarebbero diventati i più grandi quadri del partito e, ovviamente, anche Mao e Zhou. Il resoconto di quelle settimane trascorse con i militanti del PCC venne racchiuso in un libro, uscito nel 1937 e diventato immediatamente un best seller: “Stella rossa sulla Cina” (Hóngxīng Zhàoyào Zhōngguó, 红星照耀中国).
Per molti “Stella rossa sulla Cina” è stato «lo scoop del secolo». In quegli anni del PCC non si sapeva nulla, se non quello che propagandava il KMT, cioè niente di positivo. Per Snow invece i comunisti si rivelarono uomini e donne eccezionali, e vide in loro il futuro della Cina. Raccontare quello che i membri del partito pensavano e vivevano, descrivere le loro giornate e parlare delle loro speranze per il futuro fu di grande impatto, per l’epoca. Le pagine più note del reportage riguardano però la biografia di Mao. Il futuro Grande Timoniere rivelò vari aneddoti sulla sua vita privata a Snow, tanto che alcuni dei racconti presenti nel libro sono utilizzati ancora oggi, nelle biografie più recenti del leader. Il rapporto privilegiato di questo reporter americano con i vertici della Cina comunista nacque dunque così, quasi 90 anni fa, in un villaggio di contadini nello Shaanxi.
Le nuove interviste, le controversie e la morte
Nel 1940 Snow lasciò la Cina, devastata dalla guerra civile e dall’invasione giapponese. Coprì la seconda guerra mondiale occupandosi dell’Unione Sovietica, tra le altre cose, ma successivamente questo suo duplice coinvolgimento nei fatti del comunismo cinese e sovietico gli impedì a lungo di trovare lavoro negli Stati Uniti. Riuscì a visitare la nuova Repubblica popolare solo nel 1960, per la prima volta, poi ancora nel 1965 e nel 1970. In tutti e tre i casi venne accolto da Mao e Zhou, che lo ospitarono nelle residenze ufficiali del partito e gli rilasciarono alcune nuove interviste. A quel punto Snow non era più solo un “amico” personale dei due leader, ma un alleato della Cina comunista. Zhou lo descrisse non a caso come «uno dei più grandi autori stranieri e uno dei nostri migliori amici all’estero».
Gli articoli e i libri di Snow che seguirono quelle sue visite durante gli anni Sessanta rappresentano secondo molti una macchia nella vita del giornalista. Quando il reporter tornò per la prima volta nel paese la Cina era nel pieno del Grande balzo in avanti, il programma di industrializzazione maoista che causò la morte di decine di milioni di cinesi. All’epoca non si era a conoscenza della portata della tragedia, ma già circolavano alcune voci su quanto stesse accadendo. Snow le smentì dicendo che in Cina la gente moriva «allo stesso tasso che in altre parti del mondo», e lodando invece il progresso portato dal PCC nelle campagne cinesi, che gli parvero molto più prospere rispetto a vent’anni prima. Di quello che (non) vide parlò nel libro “L’altro lato del fiume”, uscito nel 1962.
Nel 1970 però Snow iniziò ad avere dei sospetti. Non descrisse mai le purghe degli intellettuali “di destra” e dei quadri di partito ostili a Mao, né parlò in termini espliciti di quello che pensasse della Rivoluzione culturale (nelle note della sua conversazione con Mao di quell’anno Snow si è autocensurato), ma sollevò dei dubbi quando gli dissero che i suoi vecchi amici del partito, spariti da mesi, fossero «in vacanza». Capì poi che la sua presenza nel paese era strumentale quando a dicembre di quell’anno Mao gli rivelò che Nixon avrebbe visitato la Cina. Il fatto che Snow fosse sul balcone in Piazza Tiananmen era un simbolo di apertura all’occidente.
Comunque, questo non bastò a fargli mettere in discussione la genuinità del suo rapporto con Mao o le politiche del PCC. In segno di amicizia, dopo essersi ammalato di cancro nel 1971, il Grande Timoniere inviò tre medici, quattro infermieri e un interprete ad assistere Snow nella sua residenza in Svizzera fino al giorno della sua morte, il 15 febbraio del 1972. Ironicamente, solo sei giorni dopo Nixon sarebbe atterrato a Pechino.
Il lascito di Snow
In Cina oggi Snow viene raccontato dalle autorità come un “idolo”, una figura quasi mitologica. In occasione del centenario dalla fondazione del PCC, nel 2021, i media di Stato gli hanno dedicato vari speciali, tradotti in diverse lingue (italiano compreso). Il China Daily ha intitolato a suo nome una sezione del quotidiano, la Edgar Snow Newsroom, finalizzata ad “allevare” gli eredi dello storico reporter americano (anche se pare sia stata dismessa nel 2023). E su di lui, anche in occidente, sono usciti film, documentari, libri. Nel 1988 John Maxwell Hamilton ha scritto una sua biografia, ritenuta piuttosto indulgente, mentre da 40 anni all’interno dell’Università del Missouri esiste la Edgar Snow Memorial Foundation, un’associazione che ricorda la carriera del reporter.
A pensarci oggi, il rapporto tra un giornalista occidentale come Snow e un grande della storia come Mao fu incredibile, unico. E sono in molti a chiedersi se le mancanze di Snow nel descrivere i problemi delle politiche maoiste fossero dovute a connivenza o ingenuità. Di certo i suoi familiari, così come vari accademici e colleghi, rifiutano la prima ipotesi. La sua seconda moglie (Lois Wheeler Snow), con lui al fianco di Mao e Zhou a Piazza Tiananmen nel 1970, negli anni ha tagliato tutti i ponti con il partito. Sua figlia, Sian, ha detto che Snow era «tutt’altro» che un amico di Mao, e che non era comunista. C’è poi chi rifiuta la visione unidimensionale di Snow come “propagandista” del PCC: lui stesso si descriveva come un “americano medio”, e non ha mai detto di rifiutare i valori occidentali. Durante il periodo trascorso come professore di giornalismo alla Peking University, negli anni Trenta, Snow ha aiutato più volte i suoi studenti nelle manifestazioni anti-giapponesi, e si è fatto promotore di iniziative progressiste per riformare il paese.
Che sia stato “incastrato” da Mao è plausibile, secondo qualcuno. Il giornalista Paul French ha scritto che «non c’è dubbio che la visita di Snow a Yan’an sia stata programmata dal PCC» per mostrare una faccia più umana al resto del mondo. La colpa del giornalista è stata «non vedere per 30 anni le intense e a volte mortali lotte tra fazioni interne al partito», e non credere alle storie sui lati più oscuri della Cina maoista. Anche per cause di forza maggiore (in quegli anni si sapeva molto poco del PCC), Snow non ha mai messo in discussione quello che nel 1936 gli dissero Mao e gli altri quadri del partito, né la loro sincerità negli anni a venire. Questo, insieme alla sua genuina ammirazione per quegli uomini e donne «eccezionali» che aveva incontrato a Bao’an, potrebbe aver offuscato il suo giudizio.
A Snow va però riconosciuto il fatto di essere stato il primo ad aver tentato di mettere in comunicazione due mondi considerati inavvicinabili come l’occidente filo-americano e il comunismo cinese. L’idea dietro il suo libro del 1962, “L’altra sponda del fiume”, è stata riassunta così da una recensione dell’Atlantic dell’anno seguente: «La Cina comunista esiste e dobbiamo imparare a conviverci». Dopo la sua morte, Snow è stato il primo occidentale a essere commemorato nella Grande Sala del Popolo di Pechino e oggi metà dei suoi resti sono conservati alla Peking University, che gli ha dedicato una targa all’interno del campus. «Dite che ho amato la Cina» è una delle ultime volontà che Snow ha lasciato scritte nel testamento.
A cura di Francesco Mattogno