I condomini disabitati sparsi per tutta la Cina sono un monito degli effetti di decenni di sregolata corsa al mattone. Ma il nuovo ambizioso piano del governo punta a convertire unità residenziali abbandonate in alloggi pubblici. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Clicca qui per le altre puntate
300 miliardi di yuan. È la somma stanziata da Pechino per risolvere la crisi immobiliare e provare a riconvertire la mole di abitazioni invendute o incomplete disseminate nelle aree urbane e rurali di tutto il paese. Un problema che secondo i dati dell’Ufficio nazionale relativi ad agosto 2023 interessa 648 milioni di metri quadrati di unità abitative. Equivalenti, ha calcolato Reuters, a 7,2 milioni di case grandi in media 90 metri quadrati.
I condomini disabitati sparsi per tutta la Cina sono un monito degli effetti di decenni di sregolata corsa al mattone, che ha reso il mercato immobiliare uno dei pilastri dell’economia, capace di contribuire tra il 25 e il 30% del Pil nazionale. Ma il rallentamento degli investimenti causato dalla crisi pandemica ha esposto i limiti del modello di crescita degli sviluppatori, che si sono indebitati con gli istituti finanziari per avviare progetti di costruzione, con la promessa di ripagare i debiti una volta venduti gli appartamenti. Nel 2020 il governo ha introdotto alcune restrizioni (le tre “linee rosse”, che in seguito sono state allentate) nel tentativo di imporre dei paletti alle emissioni di prestiti finanziari.
La commistione di stretta normativa di Pechino e crescente sfiducia dei consumatori ha scatenato la crisi che porta i nomi di Evergrande, Country Garden e Zhongrong. China Evergrande Group è il colosso dell’immobiliare che ha dichiarato default nel 2021, diventando il simbolo dello scoppio della bolla: dalla fine degli anni Novanta ha accumulato un debito di circa 300 miliardi di dollari e a inizio 2024 ha ricevuto un ordine di liquidazione da un tribunale di Hong Kong. Per valore delle vendite è secondo a Country Garden, lo sviluppatore privato che a inizio 2023 era ancora impegnato nella costruzione di un numero di case quattro volte maggiore rispetto ai progetti di Evergrande prima del default. Ma i quasi 200 miliardi di dollari di passività e l’istanza di liquidazione presentata lo scorso febbraio da un creditore non fanno ben sperare sulla sua sorte. Zhongrong International Trust, uno dei principali attori nel settore dei servizi finanziari integrati che per decenni hanno alimentato il modello di sviluppo del settore, lo scorso anno ha mancato il pagamento di decine di prodotti di investimento legati al mattone.
Le misure che dal 2021 il governo ha introdotto per rilanciare il settore, riducendo i tassi d’interesse ipotecari e degli acconti, non sono servite a infondere fiducia nei consumatori. È necessario un piano più ambizioso, che sia di “portata storica”, come è stato descritto dai suoi promotori. Il 17 maggio, in un briefing con i media, il vicepremier cinese He Lifeng ha dichiarato che il governo stanzierà un fondo di 300 miliardi di yuan (oltre 41 miliardi di dollari) per consentire alle autorità locali di acquistare le case invendute e convertirle in alloggi a prezzi accessibili.
Nel comunicato si legge che la People’s Bank of China fornirà prestiti a un tasso di interesse dell’1,75% a 21 istituti di credito nazionali. Secondo le stime fornite dal vice governatore della Banca centrale, Tao Ling, l’effetto sperato è che le banche si impegnino a erogare prestiti per un totale di 500 miliardi di yuan. Tra le altre misure annunciate rientra la riduzione della percentuale minima di acconto per i mutui per la prima e per la seconda casa rispettivamente al 15% e al 25% (dal 20 e 30% iniziali).
“Le case sono fatte per viverci..”
Dal 2016, in più di un’occasione, Xi Jinping ha riproposto la massima che recita che “le case sono fatte per viverci, non per speculare”. Ma pare che per riempire tutti gli appartamenti completati e rimasti invenduti il paese abbia bisogno di almeno l’equivalente dei suoi abitanti. Altri 1,4 miliardi di persone, per intenderci. Perlomeno secondo quanto dichiarato lo scorso anno da He Keng, ex vice direttore dell’Ufficio nazionale di statistica cinese, durante un evento nella città meridionale di Dongguan.
A ciò si aggiungono le case incompiute, che secondo le stime dell’impresa finanziaria giapponese Nomura si aggirano tra le 20 e le 30 milioni in tutto il paese. In cinese li si chiama edifici dalla “coda marcia” e sono il simbolo dei problemi economici di molte famiglie, che hanno investito i risparmi di una vita per aprire mutui per l’acquisto di abitazioni che non hanno mai visto. Per Pechino servirebbero più di 440 miliardi di dollari per completarle. Alcuni analisti citati dal Wall Street Journal sostengono che per sbloccare il mercato paralizzato servirebbe uno sforzo ben maggiore di qualche centinaio di miliardi erogati in cinque anni, ma qualcosa come 5 mila miliardi di yuan disponibili tutti e subito.
Intanto, le città cinesi sperimentano i mutamenti del tessuto produttivo. Proprio Dongguan, per decenni uno dei simboli della Cina “fabbrica del mondo”, si è ormai lasciata alle spalle il suo momento di gloria: gli strascichi della crisi pandemica sono evidenti nell’eccedenza di spazi industriali e commerciali, con la conseguente riduzione dell’organico di molte aziende e l’aumento del numero di case sfitte, come si legge in questo reportage.
Ma più che per contrastare il graduale spopolamento di alcune aree a favore di altre (per esempio, le città di seconda e media fascia, meno care delle metropoli più note), le misure intraprese dal governo puntano a convincere i cittadini che è il momento di tornare a spendere. Le recenti direttive seguono la scia di politiche già applicate a livello locale, come quella nominata “riconoscere le case, non i prestiti”, a cui hanno aderito da settembre 2023 molte grandi città tra cui Shanghai, Pechino e Guangzhou: i residenti intenzionati a comprare una seconda casa hanno potuto accedere alle condizioni di prestito favorevoli (in genere, acconti ridotti) che vengono applicate a chi acquista il primo immobile, a patto di aver estinto il precedente mutuo. Nella capitale, ad esempio, l’acconto richiesto agli acquirenti di seconda casa era pari al 60% del prezzo di acquisto, mentre ora è sceso alla metà.
Ma i dati mostrano che far ripartire i consumi è una sfida ardua. Nel primo quadrimestre di quest’anno gli investimenti immobiliari sono diminuiti del 9,8% rispetto al 2023. Ad aprile, secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica, i prezzi medi delle nuove case hanno registrato il maggior calo mensile degli ultimi dieci anni, segnando un meno 0,58% rispetto al mese precedente. La questione si lega a un declino a lungo termine della domanda, difficile da invertire: da una parte, le stime della People’s Bank of China del 2019 riportano che il 96% delle famiglie urbane in Cina è già proprietaria di almeno una casa; dall’altra, le condizioni di precarietà economica che interessano le giovani generazioni rendono quasi impossibile accedere a un mutuo.
La messa a disposizione di alloggi pubblici a prezzi calmierati per famiglie e giovani a medio e basso reddito è un obiettivo che il governo si è prefissato da anni. A inizio 2022 Pechino ha lanciato un piano per la costruzione di 6,5 milioni di unità abitative da mettere in affitto a prezzo agevolato. Una mossa che rientra negli obiettivi promossi dalla cosiddetta “nuova strategia di urbanizzazione incentrata sulle persone”, che punta allo sviluppo dei centri urbani nelle province rurali e interne della Repubblica popolare. Nuove misure sono state varate lo scorso agosto, quando il governo ha dichiarato che avrebbe ampliato gli investimenti per promuovere il sano sviluppo del mercato immobiliare, di pari passo con la politica “riconoscere le case, non i prestiti”. Serve ora capire come far coincidere queste due matrici, evitando di cementificare altro suolo e convertendo i progetti residenziali vuoti e fatiscenti. Sulla scia di città come Hangzhou e Nanjing, che hanno già messo in pratica piani per acquistare o ristrutturare case private e trasformarle in alloggi pubblici.
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.