Le autorità distrettuali di Chaoyang, una delle divisioni amministrative di Pechino, vogliono innalzare “la qualità della popolazione” che abita il centralissimo distretto della capitale cinese e attrarre “cittadini più civili”. L’annuncio risale al 25 marzo scorso. Centinaia di migliaia di lavoratori migranti saranno trasferiti in altre aree della città. “Hanno contribuito molto allo sviluppo di Chaoyang”, ha spiegato al quotidiano Global Times Ju Zhengyi, capo dell’ufficio distrettuale per la popolazione migrante, “oggi, però, occorre migliorare la struttura della popolazione”. Tutto sembra essere ricondotto a una questione di ordine sociale. È lo stesso Ju, intervistato dal China Daily, a collegare i migranti con “i problemi di sicurezza e l’inquinamento”. Verranno perciò demoliti tra i 40 e i 70 agglomerati in prevalenza abitati dai migranti.
Secondo le cifre ufficiali sono 1 milione e 800 mila le persone regolarmente registrate nel distretto e in possesso dell’hukou, il permesso di residenza introdotto nel 1958. Mentre gli irregolari sono invece oltre 2 milioni, il 25 per cento dell’intera popolazione migrante della capitale cinese. “Il governo demolisce vecchi e fatiscenti edifici che verranno sostituiti da nuove costruzioni, per dare alla città un’immagine moderna” ha ripetuto Ju. Ma l’idea che sembra muovere il progetto poggia sulla convinzione che un lavoratore migrante in grado di pagare un affitto di 1500 yuan (150 euro circa) sia più “civilizzato” di uno che può permettersi un affitto di soli 150 yuan. Immediata è arrivata la risposta delle associazioni per la tutela dei diritti umani. “Il governo di Pechino sembra più interessato ai progetti di ingegneria che a rispettare la legge” ha denunciato Sophie Richardson, direttore per l’Asia di Human Rights Watch.
Le demolizioni forzate e il ricollocamento della popolazione sono un argomento scottante per il governo cinese. Un problema salito agli altari della cronaca in occasione delle Olimpiadi del 2008, quando migliaia di cittadini furono costretti a lasciare le proprie abitazioni, distrutte per far posto alle infrastrutture olimpiche. E ancora lo scorso febbraio, quando a sfilare per le strade di Pechino furono una ventina di artisti guidati dal blogger e attivista Ai Weiwei. Tutti appartenenti al Zhengyang Creative Art zone, gli artisti hanno da tempo ricevuto un ordine di sfratto e vivono ormai senza acqua e luce, staccati dalle autorità per far pressione sui creativi affinché lascino gli stabili in attesa di demolizione. Negli scorsi mesi cinque giuristi dell’Università di Pechino, il più prestigioso ateneo della Cina, hanno lanciato una proposta per rivedere la legge nazionale sulla demolizione delle abitazioni. Tra i punti più controversi della legge spicca la norma che affida ai costruttori l’obbligo di risarcire i proprietari e pagare per la ricollocazione dei cittadini espropriati. Accordi spesso difficili da raggiungere perché ai costruttori è permesso iniziare le demolizioni prima di aver legalmente acquistato il terreno.
[Pubblicato su Interprete Internazionale – Foto Norman B.]