Ci si aspettava un discorso “filosofico”, come aveva anticipato il Quotidiano del Popolo. Invece il presidente cinese Xi Jinping, nel discorso di apertura del World economic forum a Davos, ha parlato di globalizzazione e snocciolato dati economici. È stata proprio la sempre più vituperata quanqiuhua – la globalizzazione appunto – il cavallo di battaglia di Xi. L’ha difesa, l’ha cullata, l’ha rilanciata, in una vera e propria filosofia dell’apertura e del libero mercato. «È come il tesoro di Alibaba – ha detto – ma adesso è vista come il vaso di Pandora». Chissà se nel dirlo ammiccava al più grande gruppo mondiale dell’e-commerce, la cinesissima Alibaba, il cui guru-fondatore, Jack Ma, ha incontrato pochi giorni fa Donald Trump promettendogli un milione di posti di lavoro in terra Usa. «Siamo tutti figli della globalizzazione, Don, non fare lo stupido».
Insomma, di fronte alle pulsioni protezionistiche che investono l’Occidente, è il Partito (formalmente) comunista cinese a portare ora lo scettro del libero mercato. Si sapeva già, ma a Davos ne abbiamo vista la consacrazione politica e simbolica. «Fidatevi di noi – è come se avesse detto Xi al gotha del sistema economico globale – il carro continueremo a trainarlo anche per chi si è stancato». Il presidente cinese ha difeso la globalizzazione portando l’esempio del suo Paese che, grazie alle riforme e aperture cominciate con Deng Xiaoping quasi 40 anni, fa ha emancipato dalla povertà 700 milioni di persone. Ma ha anche riconosciuto che bisogna correggere il modello perché sempre più insostenibile e diseguale.
I problemi della nostra epoca sono secondo Xi Jinping la crescita «più bassa degli ultimi sette anni», in un mondo dove «i Paesi emergenti contribuiscono già all’80 per cento dell’incremento globale, ma il sistema di governance internazionale non ha ancora accolto questo cambiamento». Quindi, «è sempre più difficile corrispondere al desiderio della gente di avere una vita migliore». E «la quarta rivoluzione industriale – cioè il prossimo stadio nello sviluppo dell’information technology e dell’automazione – rischia di far crescere la diseguaglianza», espellendo sempre più forza lavoro. Ecco quindi il «gap sempre più ampio tra i rendimenti di capitale e lavoro», in un mondo in cui «l’un per cento più ricco guadagna più del rimanente 99 per cento». Da questo – secondo Xi – dipende la crisi dei rifugiati, dipendono i disordini sociali «in diversi Paesi». La Cina di Xi offre al mondo la sua ricetta che applica già a casa propria: date sviluppo e avrete la pace.
«C’era un’epoca in cui anche la Cina era dubbiosa sulla globalizzazione – ha detto Xi – ma siamo arrivati alla conclusione che l’integrazione è una tendenza storica, bisogna nuotare nel vasto mare del mercato globale. Così abbiamo avuto coraggio e ci siamo buttati, abbiamo incontrato tempeste ma abbiamo imparato a nuotare. Ogni tentativo di costringere questo mare in torrenti e fiumi è impossibile. Non si può scappare dall’oceano». Qui la mente corre alla nascita della civiltà plurimillenaria cinese, che sorge proprio dal lavoro collettivo per contenere la potenza delle acque fluviali. Oggi no, sembra dire il leader della Cina, bisogna navigarle, queste acque della globalizzazione. La Cina di oggi non «contiene», ma si apre al mondo.
Ed ecco quindi una vera e propria roadmap in quattro punti. Primo, risolvere problemi come il cambiamento climatico, l’invecchiamento della popolazione e l’impatto negativo delle scienze informatiche e dell’automazione sul lavoro. Ci vogliono nuove industrie e nuovi modelli di business, per creare nuovo lavoro. Xi Jinping si è speso molto a parlare di innovazione, la chiave di volta per creare nuovi driver di crescita economica.
Secondo, trovare un modello di cooperazione per cui ogni paese abbia il diritto alla crescita e al tempo stesso possa curare i propri interessi, ma non a spese degli altri. Quindi, sì all’apertura e no al protezionismo, «che è come chiudersi in una stanza buia. Si tiene fuori il vento e la pioggia, ma anche l’aria». «Nessuno vincerebbe una guerra commerciale», ha aggiunto Xi lanciando un chiaro messaggio a Donald Trump. Bisogna poi riformare il sistema di governance economica globale, ed è questo il terzo punto. I mercati emergenti – di cui la Cina si considera capofila – devono secondo Xi avere più rappresentanza e voce nelle grandi istituzioni sovranazionali. Infine bisogna trovare un modello di sviluppo bilanciato, «cercando il bene comune e dando uguale accesso alle opportunità».
In questa visione del mondo che continua a puntare sulla globalizzazione, il presidente Xi non rinuncia infine a un tocco cinese, dando centralità a un approccio morale dai tratti spiccatamente confuciani che non dispiacerebbero però anche a un seguace di Calvino: ci vuole «impegno, frugalità e imprenditorialità», ha detto. Rimboccarsi le maniche e remare, solcando il vasto mare.
[Scritto per il Fatto quotidiano online]