L’ambiguità strategica di Pechino sull’attuale conflitto in Ucraina non smuove la narrativa del Cremlino sulla Cina, ma le relazioni russo-cinesi non sono immuni all’entropia dell’universo. In Ucraina, Mosca rischia di autoannientarsi due volte. La prima sul campo nella guerra per procura contro l’Occidente. La seconda, in mancanza di alternative, consegnandosi alla Cina.
È il 27 marzo 2007. Ormai da tempo si respira aria di cambiamenti alle corti di Pechino e di Mosca. L’anno della Russia in Cina si è concluso il dicembre precedente, lasciando spazio all’anno della Cina in Russia. Scambio culturale e grande sintomo di una nuova era. Poco fuori dalla capitale russa, sulle rive della Moscova, si sta per aprire una mostra internazionale dedicata alla Cina, uno degli eventi sociali più in voga della stagione. Ad inaugurare l’esposizione insieme al capo di stato russo, Vladimir Putin, c’è un ospite d’eccezione: Hu Jintao, Segretario generale del Partito comunista cinese. Nel suo discorso d’apertura, il leader cinese si rivolge all’affollata platea augurandosi una grande amicizia da tramandare di generazione in generazione, oltre che una cooperazione mutualmente vantaggiosa.
Quindici anni dopo, è il Cremlino a rimarcare l’auspicio espresso dal sesto Presidente della Repubblica popolare cinese. Ormai tre mesi fa, a poche ore dalla cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici allo Stadio nazionale di Pechino, Xi e Putin si promettevano un’amicizia senza limiti. Nemmeno tre settimane dopo quel giuramento solenne, le prime truppe russe attraversavano i confini ucraini, capovolgendo completamente non solo gli equilibri europei, ma anche quelli mondiali. Ribaltamenti dai quali l’amicizia senza limiti non è destinata a rimanere indenne.
I confini di questo partenariato sono sempre stati lapalissiani. E l’attuale conflitto in Ucraina non ha fatto altro che portarli ancora una volta in superficie. In queste settimane, Pechino non ha certo risparmiato critiche agli Stati Uniti. Più per convenienza che per ingraziarsi la cerchia di Putin in realtà. Al di là della retorica, quando è arrivato il momento di scegliere seriamente da che parte stare, la fedeltà di Pechino ha iniziato a vacillare e non poco. Ma a Mosca continuano imperterriti a magnificare la Cina come un “vero partner strategico”.
Nella disavventura ucraina i russi hanno infatti trovato la conferma definitiva sulla natura delle proprie relazioni con l’Impero di mezzo. Perché nel cataclisma ucraino non è solo la Cina ad osservare azioni e reazioni dell’Occidente. È anche la Russia stessa a prendere appunti sul proprio vicino orientale. In Ucraina si scrive infatti anche il futuro delle relazioni russo-cinesi.
Le parole pronunciate dal capo del Pentagono Lloyd Austin sulla volontà statunitense di indebolire la Russia affinché non sia più in grado di compiere aggressioni simili fanno intendere una linea di sostanziale continuità con Pechino. La campagna d’Ucraina asfissia Mosca non solo da un punto di vista economico e militare. La lascia attonita di fronte ad un’Alleanza atlantica più forte che mai ai propri confini. Chiuso ormai da un pezzo ogni spiraglio di dialogo con l’Occidente, il nemico del nemico resta l’unica vera arteria vitale. Le strade russe e cinesi, cementate proprio sull’onnipresenza di un rivale comune, continueranno ad incrociarsi ancora per un bel tratto. Seppur con qualche riserva.
Più che le parole, a contare sono i fatti. Si può fare affidamento su Pechino, ma fino ad un certo punto. La Cina non sarà l’ancora di salvataggio per una Russia che affonda. O almeno non del tutto. Probabilmente gli strateghi del Cremlino non si aspettavano un’operazione così lunga e dolorosa. Di conseguenza, non avevano previsto di arrivare al punto di doversi prostrare ai piedi di Xi pur di mettere qualche toppa ai danni delle sanzioni occidentali. Se l’Europa dovesse formalizzare l’embargo energetico nei confronti di Mosca, quest’ultima sarebbe costretta a ripiegare sulla Cina anche per il gas e probabilmente a concederlo a prezzi stracciati, ritrovandosi così umiliata e alla mercè di Pechino. Inoltre, a fronte della minaccia di sanzioni secondarie, diverse aziende cinesi hanno già sospeso le proprie attività con l’Orso russo. È il caso del colosso dei droni DJI, accusato di aver fatto affari con la Russia non solo per meri scopi civili. È lo scotto da pagare per aver portato avanti un’amicizia a metà dettata solamente dalle circostanze.
Mosca, in fondo, spera ancora invano di non doversi rifugiare del tutto nelle braccia cinesi. Uno, perché i fantasmi dell’assoggettamento da parte della Cina sono sempre dietro l’angolo. Due, perché una grande potenza degna di tale nome non dovrebbe mai ritrovarsi a far affidamento su un gigante quale Pechino, pena la perdita di quello status tanto agognato. Pur non volendo ammetterlo a sé stesso, il Cremlino sa di star ineluttabilmente scivolando nell’orbita cinese….OTTIENI IL NOSTRO EBOOK PER CONTINUARE A LEGGERE
Di Camilla Gironi