Dalla Cina agli Usa: in migliaia scappano attraverso rotta mortale. Non è facile stimare con esattezza la portata dello zouxian. Dai dati sull’immigrazione parrebbe trattarsi quantomeno di un trend in aumento. Ma perché tante persone vogliono lasciare la seconda economia mondiale, anche a costo di rischiare la pelle? China Files ha intervistato per Gariwo Onlus alcune delle persone che sono arrivate negli Stati Uniti e altre che stanno cercando di partire.
“Per favore, qualcuno può aiutarmi? Voglio andare negli Stati Uniti ma non so come arrivarci. Posso unirmi a un gruppo Telegram, WeChat o QQ. Sono una ragazza sola che vuole conoscere il percorso da intraprendere in anticipo!” Wenwen vive a Shenyang, nel Nord-est della Cina, ma il suo sogno è andare in America. “Non posso restare in un paese in rovina come la Cina”, spiega la ragazza su X. “Aiuto”: la parola ricorre diverse volte sul suo account. Ma aiuto di chi?
Wenwen è una delle tante persone di nazionalità cinese a cercare informazioni sul cosiddetto zouxian (camminare lungo la linea), il lungo e impervio viaggio che dalla Cina arriva negli Stati Uniti, passando per il Sud America. Un’impresa che richiede un budget di minimo 5000 dollari e circa due mesi di cammino nella giungla, tra fiumi profondi fino alla cintola e ripidi pendii. Su Telegram, Tik Tok, X, e altre piattaforme digitali, esistono apposite chat in cui chi è arrivato incolume alla fine condivide tutorial e suggerimenti utili: dove cambiare i soldi, come dribblare i controlli delle autorità locali e fare bagagli adatti per la foresta pluviale. Soprattutto come uscire vivi dal Darien Gap, una delle rotte per rifugiati e migranti più pericolose al mondo, che collega la Colombia a Panama attraverso 5.000 chilometri quadrati di giungla. Anche su X – bloccato in Cina ma accessibile con una vpn – sono sempre di più gli account che forniscono informazioni e consigli per i connazionali interessati a compiere il viaggio. “La fine dell’anno è l’alta stagione per il zouxian perché è la stagione secca, le strade sono asciutte e il fiume non è profondo. È molto pericoloso partire nella stagione delle piogge”, scrive @VersoNord, che raccoglie video, foto e resoconti personali di chi è già arrivato sano e salvo a meta. Esito per nulla scontato.
Il percorso è infatti uno dei più pericolosi al mondo: la CNN ha ricostruito dettagliatamente le opzioni di viaggio dalla Cina. L’avventura di solito comincia con un volo per la Thailandia, la Turchia o altri paesi asiatici facilmente accessibili senza visto. Poi prosegue fino a Quito, in Ecuador, dove l’aumento esponenziale degli arrivi cinesi ha incentivato la nascita di servizi in mandarino per facilitare la marcia verso Nord, attraverso il Darien Gap, da soli o in gruppo. Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala e infine Messico: arrivati al confine con gli Stati Uniti basta arrendersi alla polizia di frontiera, trascorrere qualche giorno nelle carceri americane e poi fare richiesta di asilo citando gravi rischi per la sicurezza personale se rispediti in Cina. Quando la domanda viene accettata è finalmente possibile trovare lavoro e costruirsi una nuova vita negli States. Facile a dirsi, meno facile a farsi: le procedure per i rifugiati possono richiedere anni di attesa. Sempre che non si venga fermati dalla polizia o depredati dai malviventi durante il lungo cammino attraverso l’America Latina.
Di questi rischi si percepisce ben poco sui vari account X, che invece paiono voler rassicurare i potenziali fuggiaschi sulla fattibilità del viaggio. Apparentemente anche sminuendone le difficoltà. “Alla frontiera con gli Stati Uniti, gli agenti di pattuglia si stanno dimostrando molto gentili. Quando hanno scoperto gli immigrati clandestini, non solo non sono intervenuti per espellerli. Ma hanno contribuito attivamente a tagliare le recinzioni di filo spinato per fornire comodi canali di ingresso a questi immigrati clandestini. E tutto questo è stato fatto davanti all’obiettivo dei giornalisti. Questo dimostra che si tratta di un processo completamente aperto e trasparente”, si legge in un post di @VersoNord, che include la clip del salvataggio. Scorrendo a ritroso nell’account è anche possibile farsi un’idea della presunta nuova vita americana dei sopravvissuti. “Il guadagno di una settimana derivante dalla gestione di un servizio di consegna di cibo negli Stati Uniti e il duro lavoro possono davvero renderti ricco”, recita un post con allegata la foto di un’app di delivery che indica la cifra di 1900 dollari; quanto incassato tra il 25 e il 31 dicembre scorso. 872 dollari risultano solo di mance.
La realtà, tuttavia, è decisamente meno rose e fiori. Lasciare la Cina non è così facile. Tantomeno ricostruirsi una quotidianità dall’altra parte del mondo. Per molti il zouxian è un percorso personale doloroso. O almeno così è stato per Li, originario della provincia dello Henan. Dopo aver partecipato alle proteste pro-democrazia di Hong Kong è finito nel mirino del governo cinese. Così un anno fa ha intrapreso un viaggio di 50 giorni per raggiungere gli States passando per il Sud America. Con l’aiuto di un’organizzazione cattolica è riuscito ad avviare una sua attività commerciale a New York, ma non nasconde le molte difficoltà incontrate. A Gariwo racconta che è stato straziante lasciare moglie e figlio di nove anni in Cina. Portarli sarebbe stato troppo pericoloso. Non pensa che la visibilità ottenuta all’estero creerà problemi alla sua famiglia? “L’incubo è già cominciato”, risponde l’uomo. Ciononostante, Li non ha mai provato rimpianto per la scelta. Anzi, definendo l’espatrio una “rinascita”, ci spiega che le difficoltà attraversate negli Stati Uniti sono tollerabili rispetto alla “mancanza di speranza” provata in Cina.
Disperazione: uno stato d’animo diffuso tra chi scappa all’estero. Nonostante i pericoli e le difficoltà, “sono molti i cinesi” reduci dallo zouxian con cui Li è entrato in contatto dal suo arrivo a New York. La maggior parte non è composta da attivisti bensì da gente comune, senza particolare interesse per la politica. Persone non ricche, ma nemmeno povere: i fuggiaschi appartengono alla classe medio-bassa, quella più colpita dal rallentamento della crescita cinese nell’era post-Covid-19. Per loro sono le difficoltà economiche il movente della fuga, sostiene il dissidente senza fornire i numeri esatti dell’insolita diaspora cinese. Wenwen sembra dare voce a questo invisibile esercito di insoddisfatti. “[Merton] Miller ha ragione: il collasso economico di un paese è causato da un settore pubblico troppo forte e da un settore privato troppo debole”, commenta la ragazza su X alludendo alla crescente centralizzazione dell’economia sotto la leadership di Xi Jinping. Contattata da Gariwo, Wenwen motiva il desiderio di espatrio citando problemi sul lavoro. Come responsabile amministrativa presso una grossa azienda di ingegneria elettromeccanica la ragazza ritiene noiose le proprie mansioni, oltre che stressanti. “Sai cosa vuol dire gestire le gare di appalto e i documenti interni di una società così?”, chiede Wenwen per apparire più convincente. Troppo poco per giustificare la disperazione mostrata sui social? Forse no, se come chiarisce, i dipendenti della sua azienda non possono lasciare facilmente il paese. Una misura di sicurezza adottata dall’inizio della guerra commerciale lanciata da Trump nel 2018 le preclude l’espatrio in America con mezzi legali. “Andare in Europa sarebbe più semplice, ma non ne vale la pena considerati i bassi salari”, spiega la ragazza.
Dal particolare al generale: c’è chi attribuisce la popolarità dello zouxian a un mix di molteplici fattori. “La Cina ha una popolazione numerosa, salari bassi, prezzi immobiliari alti e poche donne [rispetto agli uomini]”, ci dice uno studente di nome Wang che, una volta laureato, ha in programma di trasferirsi negli Stati Uniti o in Giappone. “In Cina devi fare turni fino a tardi e non ci sono tanti posti di lavoro come in altri paesi”, aggiunge il ragazzo. Henry invece parla di mancanza di libertà. Conosciuto su uno dei vari gruppi Telegram, non sembra convintissimo di partire per il Sud America. Piuttosto, dopo una breve chiacchierata, sta cominciando a valutare di venire in Italia. L’importante è andare via dalla Cina, dice ripetendo più volte il termine “democrazia”. Lo ha segnato l’esperienza di un amico portato via dalla polizia e pestato per cinque giorni solo per aver scaricato Telegram sul cellulare.
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Non è facile stimare con esattezza la portata dello zouxian. Dai dati sull’immigrazione parrebbe trattarsi quantomeno di un trend in aumento: se nel 2022 l’Ecuador ha documentato l’arrivo di circa 13.000 cittadini cinesi, nei primi undici mesi del 2023 il numero è salito a oltre 45.000. Nello stesso periodo di tempo più di 31.000 cittadini cinesi sono stati fermati dalle forze dell’ordine mentre attraversavano illegalmente la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Un incremento considerevole rispetto alla media dell’ultimo decennio, quando le detenzioni erano state grossomodo 1.500 all’anno. Tanto che, secondo la CBS, i flussi migratori in arrivo dalla Repubblica popolare sono quelli in più rapida crescita.
Secondo i dati del Dipartimento per la Sicurezza interna americano, nel 2022 quasi il 13% delle richieste di asilo accettate proveniva dalla Cina. Una quota sostanziosa se rapportata al totale, ma non molto in termini assoluti: poco più di 4500 cinesi sono riusciti a stabilirsi in America quell’anno. Più indicativo è invece l’incremento del numero di cinesi ad aver fatto richiesta di asilo politico a livello mondiale: dai quasi 25.000 del 2013 – anno di inizio della presidenza Xi Jinping – si è passati agli oltre 120.000 del primo semestre 2023. Il fatto è che se fino a qualche anno fa ottenere un visto studio o di lavoro per l’America era abbastanza facile, le crescenti tensioni geopolitiche hanno reso i cittadini cinesi meno benvenuti nel paese. Per molti lo zouxian sembra l’unica opzione praticabile per raggiungere gli Stati Uniti.
A Pechino la faccenda è ben nota. Interpellato dalla CNN, il Ministero degli Esteri ha dichiarato che il governo cinese “si oppone e reprime risolutamente qualsiasi forma di attività di immigrazione illegale”. Questione su cui “è disposto a impegnarsi attivamente con la cooperazione internazionale”. Internamente, però, qualcosa già si muove. A Lianjiang, nella provincia meridionale del Fujian, le autorità hanno anticipato un primo giro di vite sugli espatri illegali. “Sembra che ci siano troppe persone ad attraversare il confine, e questo ha causato un certo shock”, spiega un utente su X allegando la foto di un avviso che preannuncia controlli serrati sullo zouxian esposto in un luogo pubblico non identificato. Da mesi il governo cinese è impegnato a combattere le frodi online in diversi paesi asiatici; un traffico internazionale di enorme portata che rischia di intersecare la rete assistenziale del “camminare lungo la linea”. Alcune delle richieste (nonché delle offerte) di aiuto comparse in rete hanno tutta l’aria della truffa. Cercando di contattare su X un utente che sponsorizzava la vendita di visti per cinesi, chi scrive si è visto bloccare temporaneamente l’account. La conversazione con altri sedicenti aspiranti viaggiatori si è invece conclusa con l’offerta di informazioni riservate in cambio di un “adeguato compenso”.
Per ragioni diverse, anche sull’altra sponda del Pacifico lo zouxian è sotto la lente delle autorità. In vista delle presidenziali statunitensi di novembre, gli arrivi dalla Cina sono finiti nello spinoso dossier dell’immigrazione illegale. Secondo CNBC, la Casa Bianca è sul punto di concludere un ordine esecutivo che – se confermato – darà al presidente americano il potere di “chiudere il confine” con il Messico anche senza il placet del Congresso. Ciò gli consentirà, tra le altre misure, di sospendere la procedura di asilo una volta che il numero di attraversamenti di migranti supererà un certo limite. È “l’insieme di riforme più dure e giuste per proteggere il confine che abbiamo mai avuto nel nostro paese”, ha dichiarato Joe Biden.
*Sono stati utilizzati pseudonimi per tutelare le fonti
Di Alessandra Colarizi
[Pubblicato su Gariwo]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.