Sono tre i discorsi di fine anno che hanno catturato maggiore attenzione in Asia: quello del presidente cinese Xi Jinping, quello della presidente di Taiwan Tsai Ing-wen e quello del leader nordcoreano Kim Jong-un.
Quello di quest’ultimo, come accade spesso, è risultato il più importante, sia per le parole spese da Kim, sia perché per la prima volta le sue dichiarazioni in chiusura d’anno, una mezz’ora circa di discorso, sono state trasmesse anche in Corea del Sud.
SEGNALI DELLA STORIA che avanza, che si fa concreta e permette a certi percorsi di avvicinarsi a risultati positivi: benché in Corea del Sud il tema dei vicini nordcoreani non scateni entusiasmi e curiosità – specie tra la popolazione più giovane – trasmettere le parole del numero uno nordcoreano è un atto simbolico rilevante. A questo va aggiunto che prima del suo discorso Kim Jong-un aveva mandato una lettera piena di buoni auspici proprio a Moon Jae-in, presidente sudcoreano.
Kim Jong-un, il giovane leader che ormai è meno giovane e su cui il 2018 sembra avere agito con uno straordinario effetto calmante, ha speso parole al miele sia nei confronti della Corea del Sud, sia nei confronti di quei paesi socialisti, in primis la Cina, ma non solo, verso i quali la Corea del Nord dovrebbe potenziare le attenzioni. Kim sta tentando di uscire da quell’isolamento autoimposto dalle politiche del padre e dalle sue prime mosse una volta giunto al potere.
MA PROPRIO LUI È DI SICURO il leader nordcoreano che più di tutti ha dimostrato aperture: ha incontrato – ben tre volte – il presidente sudocoreano; a giugno ha incontrato Donald Trump, nello storico meeting di Singapore, e ora apre anche al resto del mondo che – sulla carta – sente più «affine». Il suo discorso di fine anno ha trovato spazio su tutti i media del mondo, però, per i riferimenti al percordo di pace con gli Stati uniti.
In tanti, infatti, si sono chiesti quali saranno i passi successivi riguardo la denuclearizzazione: nel suo discorso di fine anno Kim ribadisce il fatto di essere pronto a incontrare nuovamente il presidente americano Donald Trump, ma ha anche avvertito che Pyongyang potrebbe cercare altre strade – senza specificare quali – se gli Stati uniti continueranno ad abusare della sua pazienza.
«SONO SEMPRE PRONTO a vedere in ogni momento il presidente americano e fare uno sforzo per produrre un risultato che verrà salutato dalla comunità internazionale», ha detto Kim seduto in una stanza nella quale erano ben evidenti due quadri e due foto che immortalano suo padre e suo nonno.
Ma «potremmo non avere altra scelta che cercare un’altra strada se gli Stati uniti non rispetteranno le loro promesse, abuseranno della nostra pazienza, mentre cercano di forzare unilateralmente le cose mantenendo pressioni e sanzioni», ha continuato Kim, chiedendo fra l’altro la cessazione delle esercitazioni militari congiunte fra Washington e Seul.
POCO LONTANO DA PYONGYANG, anche Xi Jinping ha salutato la nazione al termine dell’anno (benché il capodanno cinese non coincida con quello occidentale): nessun riferimento allo scontro commerciale con gli Stati uniti, ma la volontà a far sì che l’epoca delle riforme non «ristagni» nell’attuale Cina.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.