Il rinnovato interesse per quell’area e per il continuo mix etnico, culturale, religioso che avviene nei crocevia lungo l’antica (e moderna) Via della Seta, non devono però nasconderci che parlare genericamente di “Asia Centrale” può indurre a cliché e generalizzazioni, data l’estrema complessità storica, politica e sociale della regione. Ciò nonostante, esistono similitudini nella storia recente dei cinque Paesi maggiori dell’Asia Centrale — Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan — che ci suggeriscono alcune tendenze condivise.
Il primo elemento è il condiviso passato sovietico da cui, con la dissoluzione dell’Urss nel 1991, nascono le repubbliche indipendenti. Il secondo è l’emergere proprio dalle macerie dell’Unione Sovietica di un ceto politico locale di “uomini forti” che ha contraddistinto il successivo quarto di secolo. Il terzo è il risorgere di una versione contemporanea del Grande Gioco ottocentesco di cui scriveva Peter Hopkirk a inizio anni Novanta. Un Grande Gioco che però oggi non si svolge più tra due giocatori — Russia e Gran Bretagna — ma si è allargato a tre: Russia, USA e Cina. Il quarto elemento è il modo in cui le élite locali si sono inserite in questo scenario, interagendo con le potenze globali al fine di garantire la propria permanenza al potere. Infine, ecco la comparsa della minaccia jihadista, che affonda le radici nel collasso post-sovietico, passa attraverso la guerra afghana e si aggiorna con le più recenti vicende iracheno-siriane.
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