Crisi e Congresso: rispunta il numero 8

In by Simone

«E’ l’anno più difficile e in Cina, un paese in pieno sviluppo con una popolazione di 1,3 miliardi di persone, è essenziale mantenere un certo tasso di crescita economica per aumentare i posti di lavoro dei residenti in città e nelle campagne, per incrementare i loro redditi e per garantire stabilità sociale». E’ questo l’obiettivo di Pechino per il 2009, come affermato dal premier Wen Jiabao ieri, all’apertura dei lavori del parlamento cinese. E per farlo c’è il consueto numero magico e fortunato per i cinesi, l’8. La Cina è di fronte a «difficoltà senza precedenti a causa della crisi economica internazionale, ma – ha concluso Wen Jiabao – è in condizione di mantenere nel 2009 un livello di crescita economica dell’8%».

E’ il succo di un discorso in linea con le problematiche del paese e con i segnali che i vertici del partito avevano già lanciato mesi fa. Anche durante la chattata effettuata sabato scorso, rispondendo alle domande dei navigatori cinesi, il premier Wen Jiabao aveva dettato le linee guide della Cina: risolvere i problemi nelle campagne, gestire la disoccupazione crescente e sostenere la spesa interna con manovre in grado di creare un argine alla crisi economica. Risposte on line, ribadite, con tanto di previsioni di crescita e moniti al paese, durante l’apertura della sessione annuale del Parlamento cinese.

Una Pechino blindata, con una ingente presenza di forze dell’ordine, ha ospitato l’apertura dei lavori: un’assemblea composta da circa tremila membri, di cui si trovava traccia, durante la giornata, ad ogni angolo, in ogni televisione sparsa tra le vie e le strade, nonché palazzi, ascensori, corridoi, ovunque, ma di cui i cinesi sembrano davvero non occuparsi. Eppure ieri il premier Wen Jiabao ha tracciato le linee guida per il paese: ridimensionamento e tenuta. Innanzitutto la crescita non sarà, almeno per il 2009,  a doppia cifra. La Cina prevede di attestarsi intorno all”8%, grazie al raddoppio degli investimenti pubblici e il sostegno alle famiglie cinesi: «è necessario sottolineare – ha detto il primo ministro – che nel prevedere un +8% del pil abbiamo preso in considerazione sia le nostre esigenze, sia la nostra possibilità di sostenere lo sviluppo». Di ulteriori fondi, come i già stanziati 586 miliardi di dollari di sostegno all’economia, Wen Jiabao non ha parlato, cogliendo di sorpresa chi si aspettava un’altra cifra da capogiro.

Oltre all’aumento delle spese militari del 14,9%, annunciate il giorno prima, sono previsti numerosi sostegni allo sviluppo del mercato interno. E’ necessariamente questa la vera strategia difensiva contro la crisi da parte del gigante asiatico. Già in novembre la storica riforma agraria aveva dato indicazioni in proposito, sancendo una vera e propria rivoluzione. I contadini cinesi avranno la possibilità di affittare a terzi il proprio affitto trentennale – la terra infatti continuerà ad appartenere allo stato – creando una sorta di profitto da utilizzare reinvestendolo o semplicemente spendendo di più. La riforma inoltre permetterebbe la creazione di concentrazioni produttive più grandi e dunque più sicure e più facilmente controllabili, in termini di qualità, con la volontà di evitare scandali come quelli del latte contaminato.

La crisi degli Usa, un mercato fondamentale per le esportazioni cinesi, ha reso necessario pensare a risolvere la faccenda in casa propria. Ed ecco gli aumenti del budget del governo locale per venire incontro alle difficoltà, soprattutto, delle zone rurali: un ulteriore sostegno all’attuazione della riforma di novembre, complicata da un sistema politico che pare favorire i fenomeni di corruzione (campagne cinesi si attua una sorta di autonomia locale: a livello di villaggio, il capo e il comitato vengono scelti tramite elezioni). Le spese per le campagne aumenteranno del 20%, così come quelle per il welfare, circa il 17%, con investimenti nell’educazione (aumento di stipendio per alcune categorie di insegnanti), assistenza medica e assicurazioni. Aumento del mercato interno, senza dimenticare le esportazioni: si privilegeranno le importazioni di prodotti tecnologici avanzati, risorse e materie prime, «senza rallentare i nostri sforzi per incentivare le esportazioni», ha specificato Wen Jiabao.
Un riferimento anche alla condizione dello yuan, la moneta cinese: «miglioreremo il regime di scambio dello yuan – ha detto – e lo manterremo sostanzialmente stabile a un livello appropriato e bilanciato». Una frase che non sembra rassicurare nessuno, eccetto i cinesi.

Infine un riferimento alla questione di Taiwan: «siamo pronti a discuterne in termini politici e militari e collaborare per favorire un processo di pace tra le due parti». Dopo sessant’anni di ostilità, dal 1949, nel corso dell’ultimo anno le relazioni tra i due paesi sembrano essere notevolmente migliorate. Lo aveva dimostrato, lo scorso maggio, la visita del presidente del Kuomintang, Wu Poh-hsiung, nel corso di una cerimonia a Pechino. Allora incontrò il presidente cinese Hu Jintao e non a caso l’incontro avvenne appena dopo la vittoria nelle elezioni di marzo del leader del Kuomintang Ma Ying-jeou, caro a Pechino, che sconfisse il candidato del Partito Democratico Progressista (Dpp), favorevole invece all’indipendenza dell’isola. E ieri Wen Jiabao, a margine delle considerazioni economiche, ha ribadito l’apertura ad una nuova fase nei rapporti tra Cina e Taiwan.

[pubblicato da Liberazione, il 6 marzo 2008]

[foto da Xinhua]