Corea del Nord e del Sud sono sull’orlo di una nuova crisi, dopo lo scambio di accuse e minacce ieri alla conclusione dell’inchiesta sull’affondamento della nave Cheonan. Per Seoul il verdetto è chiaro: la corvetta Cheonan è stata affondata a fine marzo da un siluro sparato da un sottomarino nordcoreano, che ha provocato la morte di quasi metà dell’equipaggio sudcoreano. Pyongynag, invece, definisce le conclusioni della commissione di inchiesta “imbottite di bugie”, un maldestra messa in scena del ‘traditore’ Lee Myung-bak, il presidente della Corea del Sud a capo di un governo conservatore. Il risultato è che Seoul spinge per punizioni severe a livello internazionale e Pyongyang promette l’uso della forza ed una nuova guerra.
Il duello diplomatico avviene in un momento delicato, proprio quando la Corea del Nord sembrava voler tornare al dialogo internazionale a seguito della visita ufficiale del leader Kim Jong-il a Pechino e le buone intenzioni per la ripresa dei colloqui multilaterali. Per questo motivo Lee Myung-bak si era guardato bene dall’accusare Pyongyang all’indomani dell’incidente. Ha preferito invece affidarsi all’analisi di una commissione composta di esperti internazionali che ha condotto indagini per quasi due mesi. “Sulla base di fatti rilevanti e analisi, abbiamo raggiunto la chiara conclusione che Cheonan è affondata a causa di un’esplosione sottomarina esterna causata da un siluro costruito in Corea del Nord” si legge nel rapporto.
Il 26 marzo la nave del peso di 1200 tonnellate stava pattugliando la frontiera marittima contesa al largo Mar Giallo, il prolungamento in mare del trentottesimo parallelo, è stata colpita ed affondata da un’esplosione esterna; dei 104 marinai a bordo, 46 hanno perso la vita. Da diversi giorni, però, le manovre di sottomarini nordcoreani si erano intensificate lungo il confine conteso. Seul ritiene l’azione premeditata ed intende ora portare il caso alle Nazioni Unite, spingere la comunità internazionale a punire Pyongyang per l’attacco più sanguinoso dalla fine della guerra di Corea.
La Commissione di Difesa Nazionale del Nord ha fatto sapere in un comunicato radiofonico di essere però pronta a riprenderlo quel conflitto, in caso di nuove sanzioni. “Risponderemo con misure dure compresa la guerra” si è sentito nell’etere del recondito paese comunista. Una guerra non mirata o fatta di bombe intelligenti, ma “guerra totale”.
Nella comunità internazionale le reazioni sono tutte a favore di Seul. Barack Obama ha promesso sostegno a Lee Myung-bak nella difesa da ogni ulteriore atto di aggressione; il Giappone ritiene difficile la ripresa del dialogo a sei, e il Segretario dell’Onu Ban Ki-moon si è detto preoccupato. Solo Pechino è spiazzata, non sapendo ancora da che parte stare definisce l’incidente un fatto ‘sfortunato’. Mesi di mediazioni da grande potenza sono stati spazzati via dal gesto incosciente dell’alleato nordcoreano, e la Cina si trova nell’imbarazzo dell’essere la sola a difendere Pyongyang o abbandonare gli sforzi fatti e allinearsi con il resto della comunità internazionale.
La prossima settimana il Segretario di Stato americano Hillary Clinton sarà a Pechino, Seul e Tokyo per decidere sul da farsi. Ma intanto le conseguenze già si abbattono sulla popolazione civile del Nord: compagnie sudcoreane hanno smesso di importare merce prodotta al Nord, Seul ha congelato fondi governativi destinati al Nord, e deciso di privare i nordcoreani della diffusione del prossimo mondiale di calcio in Sud Africa a cui la nazionale di Pyongyang parteciperà per la seconda volta nella storia.