Crisi coreana: cosa farà Pechino?

In by Simone

[In collaborazione con AGICHINA24] Nubi sempre più scure sulla penisola coreana e occhi puntati verso le mosse di Pechino: da domenica a mercoledì l’esercito di Seul condurrà esercitazioni militari congiunte con gli alleati americani – che stanno inviando in zona la portaerei George Washington – proprio nelle vicinanze dell’isola di Yeonpyeong, teatro martedì scorso del cannoneggiamento nordcoreano che aveva causato la morte di 4 persone e il ferimento di una quindicina. Le manovre hanno provocato il monito di Pechino, unico alleato di Pyongyang: “Siamo contrari a tutte le esercitazioni militari non autorizzate nella zona, – si legge in un comunicato diffuso oggi dal ministero degli Esteri – la situazione nella penisola coreana è complicata e delicata, e tutte le parti devono mostrare moderazione, operare per il mantenimento della stabilità e della pace e non il contrario”.

Le tensioni all’interno dell’establishment sudcoreano fanno saltare la testa del ministro della difesa; pesantemente criticato sia dalle forze di opposizione sia dal Grande Partito Nazionale per la presunta tardività e inadeguatezza della risposta militare all’attacco nord-coreano, Kim Tae-Young  – le cui dimissioni sono state immediatamente accettate dal presidente Lee Myung-bak-, è stato sostituito da un ex-generale, Lee Hee-Won. Il nuovo ministro, 61 anni, a maggio era diventato consigliere presidenziale per la sicurezza in seguito alla crisi provocata dall’affondamento della corvetta Cheonan.

La Corea del Nord, intanto, avrebbe condotto venerdì 26 tre ore di esercitazioni militari ai confini, diffondendo anche un bellicoso comunicato nel più puro stile “Made in Pyongyang”: “La situazione della penisola coreana si sta dirigendo sull’orlo della guerra – si legge nella nota pubblicata dall’agenzia di stato KCNA – a causa degli sconsiderati piani di quegli elementi che vogliono condurre esercitazioni militari contro di noi”.


Cosa farà Pechino, la cui posizione si fa sempre più imbarazzante con il passare delle ore?

È vero, la Cina è praticamente l’unico alleato della Corea del Nord – spiega ad AgiChina24 il professor Zhang Tiejun, ricercatore specializzato in studi sulla pace presso l’università Jiaotong di Shanghai, a capo della società 3S Consulting – ma quella tra Pechino e Pyongyang è sempre stata una relazione bizzarra, perché la Cina non ha molto controllo sulla Corea del Nord. I nordcoreani detestano subire l’influenza straniera, inclusa quella cinese, e la Cina lo sa bene. Quindi non credo che al momento Pechino possa fare molto”. Le ipotesi su che cosa stia cercando di ottenere esattamente lo “Stato Eremita” si sprecano: “L’incidente di martedì scorso, in sé, non è più serio di quello avvenuto nel marzo scorso, quando i nordcoreani affondarono una nave del sud uccidendo 46 militari – prosegue Zhang – ma è il quadro generale ad essere più complicato. C’è in ballo la successione a Kim Jong Il con il figlio ventisettenne Kim Jong Un e, ovviamente, sappiamo che la Corea del Nord è in possesso di armi nucleari. Probabilmente puntano ad ottenere una posizione più forte dalla quale contrattare con gli altri paesi, ma se intendano ottenere maggiori aiuti economici o un rinnovo del vecchio armistizio con condizioni più favorevoli, o entrambe le cose, è difficile da dire”.

Di sicuro, secondo Zhang, la situazione lede numerosi interessi cinesi, anche per via dell’arrivo dei militari americani che teoricamente potrebbero giungere fino al cortile di casa del Dragone: “Prima di tutto, la Cina ha un trattato di alleanza con la Corea del Nord, e se qualcosa, qualsiasi cosa, dovesse andare male, Pechino deve intervenire a sostegno di Pyongyang. Inoltre, la Corea del Nord è una delle poche nazioni comuniste rimaste, e questo vincolo significa ancora qualcosa, quantomeno a livello simbolico. Quindi, la crisi lede gli interessi cinesi in termini di credibilità verso i suoi alleati e in termini ideologici, oltre che per questioni strategiche. Se facciamo un confronto con un altro tipo di situazione, ad esempio quella nel Mar Cinese Meridionale, che la Cina considera parte integrante del proprio territorio in opposizione a numerose altre nazioni come Vietnam, Thailandia, eccetera, ecco, ritengo che sullo scenario coreano Pechino si muoverà in maniera multilaterale, tentando di risolvere la situazione attraverso i negoziati a sei, come peraltro ha già affermato. Non c’è spazio per un bilateralismo, come invece nel caso del Mar Cinese Meridionale”.

I colloqui a sei per il disarmo costituiscono la via principale per mantenere la stabilità nella zona e realizzare la denuclearizzazione della penisola” ha dichiarato giovedì il premier Wen Jiabao riferendosi ai “six party talks”, i negoziati tra le due Coree, Cina, Russia, USA e Giappone per sospendere il programma atomico di Pyongyang dai quali i nordcoreani si sono definitivamente ritirati nello scorso anno (leggi questo articolo). “Da più parti si legge che su di un alleato così scomodo come la Corea del nord la Cina avrebbe un’influenza limitata”, commenta con AgiChina24  Marina Miranda, professore di Storia della Cina Contemporanea presso la Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Roma ‘La Sapienza’. “Come abbiamo visto, è quanto afferma Zhang Tiejun ed è quanto sostiene, tra gli altri, anche Cai Jian, docente di studi coreani dell’Università Fudan di Shanghai, sulle pagine dell’International Herald Tribune il 23 novembre scorso. Concordo invece con quanti sostengono che, nonostante le dichiarazioni ufficiali, è assolutamente poco chiaro quale sia in realtà il margine di manovra che Pechino ha nei confronti di Pyongyang; ed è proprio in questo raggio di possibile intervento che possiamo ipotizzare si inseriscano le dinamiche interne alla leadership del Pcc e ai vertici militari dell’Esercito popolare. Un conflitto armato assolutamente non serve alla Cina, ma sicuramente le è ancora utile la ripresa dei cosiddetti “colloqui a sei”; negoziati che, come è noto, dal 2003 al 2007, hanno fortemente contribuito a consolidare il peso diplomatico a livello internazionale della Repubblica popolare”

Pechino non ha alcun interesse ad assistere a un repentino crollo del regime nordcoreano per diversi motivi: con la fine improvvisa della dittatura di Pyongyang, milioni di profughi nordcoreani si riverserebbero ai confini cinesi provocando un’emergenza umanitaria che la Cina non intende affrontare da sola. L’innalzamento della tensione causa inevitabilmente un aumento delle forze militari USA presenti nell’area, e in un eventuale processo di unificazione Seul prenderebbe facilmente il sopravvento sulla capitale di uno stato fallito quale è Pyongyang, facendo avanzare così i soldati americani fino al cortile di casa dei cinesi. Infine, per quanto la Corea del Nord costituisca un alleato imprevedibile, occupa comunque un posto di rilievo nel delicato sistema di pesi e contrappesi che caratterizza il fragile equilibrio di questo quadrante: non più tardi di un anno fa Pechino ottenne dall’establishment militare nordcoreano lo sfruttamento di una base marittima che costituisce per la Cina un prezioso sbocco diretto sul Mar del Giappone. La Cina si trova in queste ore ad affrontare una crescente pressione internazionale per intervenire sulla Corea del Nord, ma anche dopo l’investitura del ventisettenne Kim Jong Un a successore del padre, il “Caro Leader” Kim Jong Il, le manovre militari dello “Stato Eremita” appaiono difficilmente controllabili dall’esterno.

[Pubblicato su AGICHINA24 il 26 novembre 2010]