Cresce il contrabbando di esseri umani in India

In by Gabriele Battaglia

In india si espande il contrabbando di esseri umani; lo rivelano i dati del 2015. A lanciare l’allarme è il National Crime Records Bureau (NCRB), che nel dettaglio riporta un totale di 6.877 casi contro i 4.566 del 2014, di cui la maggior parte concentrata nello stato nord-orientale dell’Assam e nel Bengala occidentale.
Il 2015 è stato un anno nero per il contrabbando di esseri umani in India, in aumento del 25 per cento rispetto all’anno precedente. A lanciare l’allarme è il National Crime Records Bureau (NCRB), che nel dettaglio riporta un totale di 6.877 casi contro i 4.566 del 2014, di cui la maggior parte concentrata nello stato nord-orientale dell’Assam e nel Bengala occidentale. Un elemento spicca su tutti: secondo i dati rilasciati a fine agosto, il 43 per cento delle 9.127 vittime non avrebbe ancora compiuto i 18 anni d’età, con una netta preponderanza di casi concernenti l’induzione alla prostituzione e la riduzione in stato di schiavitù.

Proprio martedì 30 agosto la polizia di Nuova Delhi ha arrestato una coppia con l’accusa di traffico di esseri umani e di aver condotto attività legate al crimine organizzato. Secondo la ricostruzione delle autorità, marito e moglie, rispettivamente 50 e 45 anni, avrebbero adescato le vittime nelle aree più povere del paese, così come nel vicino Nepal, promettendo loro un buon posto di lavoro, salvo poi rivenderle ai bordelli del quartiere a luci rosse di Delhi per 100mila rupie ciascuna, circa 1.500 dollari. Un commercio che, nell’arco di diversi anni, sembra aver coinvolto centinaia di giovani donne.

Mentre gli attivisti attribuiscono la crescita esponenziale e la rilevazione dei casi da una parte ad una maggiore consapevolezza del problema a livello sociale, dall’altra ad una più pronta applicazione delle norme in materia, molti soprusi continuano a rimanere nell’ombra. Specie nelle zone più arretrate del subcontinente, dove a una denuncia spesso seguono forme di emarginazione sociale. «Tutti sappiamo che i numeri sono molto alti e sono destinati a crescere nel corso degli anni», commenta ai microfoni della Reuters Ravi Kant, legale presso la Corte Suprema indiana, nonché fondatore di Shakti Vahini, Ong con base a Delhi. «L’aumento dei casi sta a indicare che le agenzie incaricate di applicare la legge cominciano a trattare la questione del traffico di esseri umani più seriamente».

Secondo le stime del NCRB, nel 2015 sono stati conclusi 2.075 processi, di cui 1.251 terminati con un’assoluzione e 824 con una condanna; oltre 17.600 erano ancora quelli in attesa al volgere dell’anno. Colpa del numero troppo esiguo di tribunali, giudici e pubblici ministeri, spiegano gli attivisti. Negli ultimi anni il secondo paese più popoloso al mondo (1,3 miliardi di abitanti) ha tentato di arginare il problema lanciando una serie di iniziative mirate, dall’inaugurazione di una piattaforma online per la segnalazione di bambini smarriti, alla sigla di accordi bilaterali di cooperazione con nazioni parimenti afflitte dal contrabbando di esseri umani, come Bangladesh e il Regno del Bahrein, l’arcipelago del Golfo Persico dove vittime provenienti dall’Asia Meridionale vengono sottoposte a lavori forzati o indotte alla prostituzione.

Proprio l’Asia Meridionale è da considerarsi tra le principali risorse dei trafficanti. Secondo statistiche pubblicate quest’anno dalla Walk Free Foundation, l’India da sola conta per il 40 per cento delle 45,8 milioni di vittime ridotte in schiavitù a livello mondiale. Lo sa bene il governo del premier Narendra Modi all’opera per presentare la prima legge completa sul traffico di esseri umani: il Trafficking of Persons Bill. Rilasciata il 31 maggio e da sottoporre ad approvazione parlamentare entro fine anno, la bozza non sembra tuttavia soddisfare gli esperti.

Nel mese di giugno il politico ed imprenditore Rajeev Chandrasekhar ne metteva in luce le numerose lacune, soprattutto per quanto concerne la prevenzione, protezione e riabilitazione delle vittime; secondo la legge attualmente in vigore, dopo il salvataggio, la famiglia è tenuta a prendere a proprio carico la vittima entro 28 giorni, termine oltre il quale scatta la detenzione da uno a tre anni all’interno di una struttura adibita all’accoglienza dei minori. La nuova bozza tuttavia – lamentava Chandrasekhar spalleggiato da Ong e ricercatori – non fornirebbe una definizione precisa di quanto si intende per «traffico di essere umani», non sarebbe in grado di tutelare i minori indotti alla prostituzione e ignorerebbe gli emendamenti all’Immoral Trafficking Prevention Act (1956) proposti nel 2006.

[Pubblicato su il Fatto quotidiano online]