Attenzione a dare giudizi definitivi sulla crisi pandemica. Il Covid-19 ha già dimostrato di poter ribaltare situazioni e considerazioni in breve tempo. All’inizio dell’epidemia a Wuhan, il coronavirus era definito il possibile “cigno nero” per il Presidente Xi Jinping. Poi lo è diventato per Donald Trump, sconfitto alle elezioni presidenziali anche (ma non solo) per la cattiva gestione sanitaria negli Stati Uniti. La Corea del Sud era stata lodata a livello globale per il suo contenimento dei contagi, ma ora il Presidente Moon Jae-in e il suo Governo sono in crisi di consensi (come dimostrato dalle recenti elezioni locali a Seul e Busan) proprio per l’approccio deficitario alla nuova ondata di casi. Alla dura legge del Covid non ha saputo sfuggire neppure Taiwan, che era stata elevata a modello globale per la sua capacità non solo di reazione ma anche di prevenzione della crisi.
Fino a qualche settimana fa, i contagi totali dall’inizio della pandemia erano poco più di mille e i morti dieci. Il tutto senza operare un lockdown stringente come in Cina, ma chiudendosi a riccio all’esterno (quantomeno nella fase iniziale) e restando aperti all’interno. Scuole, ristoranti, cinema, teatri, concerti: Taiwan è rimasta a lungo un’isola felice mentre il mondo si barricava in casa. Quando lo sport mondiale si è fermato, durante la prima ondata, il campionato di baseball (e non solo) taiwanese si era guadagnato l’attenzione degli sportivi in astinenza. Poi, qualcosa è andato storto…
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.