Lockdown mirati e tamponi a tappeto. Torna l’incubo del Covid-19 a Wuhan, la città cinese che nel dicembre 2019 rilevò le prime infezioni. I numeri sono ancora contenuti per i nostri standard, ma in Cina, dove ormai il virus sembrava acqua passata, il livello d’allerta è altissimo. Secondo le autorità sanitarie, il 3 agosto si sono registrati complessivamente 71 nuovi casi su tutto il territorio nazionale (il bilancio più alto dal 30 gennaio), di cui sette casi a Wuhan. Era dal giugno 2020 che il capoluogo dello Hubei non riportava nessun contagio a livello locale. Risultati positivi alla variante D, tutti e sette i casi pare siano collegati al focolaio della provincia del Jiangsu, da cui è partita l’ultima ondata. Dal 20 luglio il capoluogo provinciale Nanchino, un importante scalo aeroportuale, ha rilevato almeno 223 infezioni trasmesse localmente.
Stando alla ricostruzione riportata dalla stampa statale, il cluster di Wuhan è riconducibile a un paziente di nome Tang, un lavoratore migrante impiegato in un cantiere edile della città, che lo scorso 27 luglio aveva avuto contatti con persone di Huai’an, nel Jiangsu. L’uomo avrebbe in seguito infettato coinquilini e colleghi.
La risposta delle autorità non si è fatta attendere: 16 blocchi residenziali e undici cantieri sono stati isolati, mentre tutta la popolazione locale è stata sottoposta a un terzo round di test all’acido nucleico. La città ha anche allestito 31.300 stanze per l’isolamento, di cui 26.100 già utilizzate e altre novemila in allestimento. E nella metro è rispuntato l’obbligo della mascherina.
In tutto sono ormai 14 le province cinesi “contaminate” per un totale di 485 casi sintomatici dal 20 luglio: 144 sono le aree considerate ad alto o medio rischio, il numero più elevato dalla primavera del 2020. Per proteggere il cuore politico del paese, le autorità di Pechino – dove sono già state riportate 5 infezioni – hanno cancellato treni, voli e bus in arrivo dalle zone più colpite. Almeno 46 città hanno sconsigliato ai residenti gli spostamenti non indispensabili.
La Cina ha uno dei tassi di immunizzazione più alti al mondo, con quasi 1,7 miliardi di dosi somministrate, un quantitativo sufficiente a vaccinare circa il 60% della popolazione. Ma l’aggressività della nuova variante e la dubbia efficacia dei vaccini preoccupano il governo cinese.
Intanto cominciano a rotolare le prime teste. Venti funzionari di Zhangjiajie, rinomata località turistica, sono stati sanzionati. La lista nera comprende funzionari distrettuali, dirigenti ospedalieri e il personale coinvolto nell’organizzazione dello spettacolo culturale che il 22 luglio si è trasformato in uno dei principali cluster del paese. La scorsa settimana Sun Chunlan, la vicepremier con delega alla Sanità, ha imputato il mancato contenimento del virus al “lassismo ideologico”. Ma, secondo gli esperti, il rapido peggioramento della situazione epidemica dimostra piuttosto l’inefficacia della strategia cinese, basata sul controllo massivo e la chiusura quasi totale agli ingressi internazionali. Il Covid è la nuova normalità: bisogna imparare a conviverci.
Di Alessandra Colarizi
[Pubblicato su il manifesto]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.