Pechino acquista. Non solo in Italia, ma in tutta Europa. Le motivazioni si riscontrano nella necessità di trovare, dove ci sono, know how nell’industria, nella moda, nei settori energetici, nell’entertainment. Si tratta di una strategia storica della Cina, preparata da anni e richiesta esplicitamente dalla dirigenza al vertice della piramide politica, economica e finanziaria: uscire e diversificare gli investimenti.
Enel, Eni, Pirelli, Ansaldo, Telecom, Krizia, Ferragamo. È solo parte del portafoglio cinese «italiano», sintomo di un rinnovato interesse di Pechino per l’Italia. Acquisizioni, quote di minoranza, soldi, tanti. Si tratta solo di una fetta di un generale progetto che prevede l’«uscita» dal proprio territorio nazionale delle grandi aziende statali cinesi. Non solo in Italia, ma in tutta Europa. Le motivazioni si riscontrano nella necessità di trovare, dove ci sono, know how nell’industria, nella moda, nei settori energetici, nell’entertainment. Si tratta di una strategia storica della Cina, preparata da anni e richiesta esplicitamente dalla dirigenza al vertice della piramide politica, economica e finanziaria: uscire e diversificare gli investimenti. E da qualche anno, per Pechino, è anche una necessità.
Andare all’estero
La Cina è da anni al centro di un cambiamento totale di paradigma, per quanto riguarda la sua economia. Da paese dedito alla produzione a basso costo e concentrato sull’esportazione (la nota «fabbrica del mondo») a causa della crisi occidentale del 2008 e delle contraddizioni emerse in questi anni di «riforme», Pechino ha dovuto modificare la propria mira: il Pcc si è così concentrato sul mercato interno e il tentativo di spingere sull’innovazione. Analogamente, all’estero, dopo aver cercato per lo più accordi che garantissero alla Cina il proprio fabbisogno di materie prime e risorse (con importanti operazioni in Africa e in America Latina) il paese è ora alla ricerca di asset finanziari e know how, che permettano alle aziende cinesi di diventare veri e propri player globali.
Per questi motivi, unitamente alla necessità di diversificare il proprio portafoglio di investimenti, Pechino ha espressamente indicato alle proprie aziende di rivolgersi ad altri mercati. Per fare questo non sono mancati finanziamenti e documenti ufficiali del Consiglio di Stato (il «governo» cinese) che indicavano alle aziende di Stato la necessità di cominciare a sondare mercati internazionali. Così, anche per questioni puramente geopolitiche, l’Europa è diventata un obiettivo primario. C’erano da «sistemare» due cose: contrapporre al pivot to Asia obamiano un’azione in Europa capace di limitare la forza americana nel Vecchio continente e prepararsi ad affrontare l’eventualità della firma del Ttip tra gli Usa e i paesi europei.
Ou Zhou
Cosa comprano i cinesi in Europa (Ouzhou, in mandarino)? Solo nel corso del 2014 il totale degli investimenti da parte delle imprese cinesi verso gruppi finanziari europei è schizzato a 3,96 miliardi di dollari dai 304 milioni dollari nel 2013 (i dati sono di Dealogic). Allo stesso modo, gli investimenti immobiliari cinesi all’estero sono cresciuti di 25 volte per un valore di 15 miliardi di dollari nel periodo 2009-2014. Spagna, Portogallo, Grecia, Italia: Pechino investe nei paesi più colpiti dalla crisi in Europa. E ha deciso di farlo in due modi: in «punta di piedi» nel mondo della finanza e in modo più determinato nel settore immobiliare. Si tratta di un segnale inequivocabile: i cinesi si avvicinano a quei paesi, vedi la Grecia, che potrebbero avere presto bisogno di un «ombrello finanziario».
Finanza
Come spiegava il Wall Street Journal lo scorso febbraio, «la Industrial & Commercial Bank of China ha recentemente acquistato una quota di maggioranza nel business dei mercati globali di Standard Bank Group Ltd. a Londra, in un accordo al ribasso. E Fosun ha pagato 98,5 milioni di euro per diventare il secondo più grande azionista del creditore tedesco Bhf-Bank. Fosun, in una nota, ha specificato che l’accordo avrebbe dato accesso ai centri finanziari di Londra e Francoforte, nonché a miliardari e imprese familiari». La recente raffica di affari cinesi, secondo il quotidiano economico e finanziario, avrebbe scatenato la speranza tra i regolatori bancari e gli investitori che un tanto atteso afflusso di investimenti cinesi nel martoriato settore finanziario europeo sarebbe ormai iniziato.
«Quest’anno i banchieri cinesi e gli analisti si aspettano che le offerte si estenderanno dal Portogallo verso l’Italia e il Regno unito, mentre le società finanziarie del continente cercano di privarsi delle imprese non rilevanti e rafforzare i loro bilanci, mentre i contanti dei gruppi cinesi «hanno messo il loro capitale al lavoro». James Tye, partner del team delle operazioni di servizi finanziari presso PricewaterhouseCoopers LLP, ha specificato di aspettarsi, per quest’anno, un aumento delle acquisizioni cinesi. Gli acquirenti cinesi «hanno i loro uomini in campo, i loro consulenti di fiducia in posizione e sono pronti ad eseguire rapidamente». Si era partiti dal Portogallo, con il conglomerato cinese Fosun International Ltd. che aveva già espresso interesse nel Novo Banco del Portogallo, fondato dopo il crollo del Banco Espírito Santo SA.
Jim O’Neil, capo del gruppo di istituzioni finanziarie globali della Bank of America Merrill-Lynch, aveva spiegato che «le istituzioni finanziarie cinesi stanno valutando attentamente le loro opportunità in Europa. Sono consapevolmente entrati nel mercato prima di approfittare delle grandi opportunità e scappare». Ci sono poi acquisizioni in Olanda, Belgio, Gran Bretagna, a compiere una sorta di ciclo: da un lato le banche europee, specie quelle dell’Europa mediterranea, sono alla ricerca di nuovi capitali, dall’altro il governo di Pechino ha chiaramente indicato alle proprie aziende di uscire dal territorio nazionale e investire all’estero.
Mattone
In Cina, come forse poteva accadere in Italia negli anni Settanta, il mattone è ancora la bussola economica privilegiata. Nel 2013 il giro d’affari legato alle proprietà immobiliari era di circa 30 triliardi di dollari. È in quel mercato che è nata quella schiera di uomini (il business è prevalentemente maschile) etichettati come i «nuovi ricchi cinesi». Il South China Morning Post ha spiegato nei mesi scorsi, che si starebbe ormai osservando una nuova tendenza da parte dei cinesi: investire in Europa nel settore immobiliare.
«Gli investitori cinesi – ha scritto il quotidiano di Hong Kong – hanno comprato immobili europei negli ultimi anni, soprattutto dopo che la crisi economica ha spinto nazioni come il Portogallo e la Spagna ad offrire la residenza agli stranieri che intendono investire importi minimi specificati». Zhang Kesong, un agente cinese che si occupa di facilitare gli acquisti cinesi in Europa, ha spiegato al Scmp che la caduta dell’euro avrebbe favorito gli affari. Non solo costerebbe meno i palazzi, o gli alberghi, ma anche i voli per recarsi spesso in Europa. hang ha raccontato che un suo cliente, avrebbe acquistato 11 appartamenti nella città spagnola di Almeria per 2 milioni di euro, con l’obiettivo di trasformarli in un hotel a conduzione familiare e realizzare un profitto del 10 per cento.
«L’euro in caduta ha ridotto in modo significativo il costo del viaggio per investire in Europa, e sempre più persone sono tentate di investire lì», ha detto. Ad esempio, una proprietà di 500mila euro in Spagna, che è costato circa 4,1 milioni di yuan a maggio sarebbe costata solo 3,5 milioni di yuan il mese scorso, ha ribadito Zhang. I cinesi sono diventati – in questo modo – il singolo gruppo di investitori stranieri più grande negli immobili residenziali di Usa, Gran Bretagna e Australia. A marzo 2014, gli acquirenti cinesi rappresentavano quasi un quarto di tutti gli acquirenti stranieri di immobili residenziali negli Stati uniti, con una spesa di circa 22 miliardi di dollari, rispetto ai 12,8 miliardi di un anno prima, secondo la Us National Association of Realtors. I canadesi, il secondo gruppo, hanno speso 13,8 miliardi nello stesso periodo.
Entertainment
Recentemente il gruppo cinese Wanda ha acquisito il 20 per cento dell’Atletico Madrid, importante club della Liga spagnola. Nei giorni scorsi alcune voci davano per certo l’acquisto da parte di una cordata cinese di quote di maggioranza del Milan di Berlusconi, così come un altro gruppo cinese avrebbe acquisito il 49 per cento della Giochi Preziosi, proprietaria del Genoa. Si tratta anche in questo caso di un piano ben congegnato da parte di Pechino, che insieme allo shopping estero punta a fare del calcio, una passione ampiamente nota del presidente Xi Jinping (così come lo fu di Deng Xiaoping) un punto di orgoglio per la «nuova nazione cinese». Il Consiglio di Stato il mese scorso ha approvato piani che prevedono di aumentare il numero di scuole che offrono formazione nel calcio da 5mila a 50mila entro il 2025 e la costruzione di due grandi centri di formazione nazionali. «Il calcio diventerà uno sport importante», ha spiegato all’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, Wang Dengfeng.