L’agenzia Ansa aveva anticipato la decisione del Tribunale arbitrale dell’Aja circa il ritorno di Salvatore Girone in Italia per tutta la durata del procedimento arbitrale, che con ottimismo è stimata durare almeno altri due anni e mezzo.
Ci siamo quindi ritrovati a commentare e giudicare una decisione che, nel telefono senza fili della politica indiana e italiana, viene riportata dai rispettivi esponenti politici ponendo l’accento su dettagli assolutamente superflui secondo l’opinione pubblica italiana, ma dirimenti nell’ottica della vera materia discussa all’Aja: chi tra Italia e India avrà la giurisdizione per processare i due marò.
Ieri l’ordine della Corte arbitrale è stato pubblicato, quindi possiamo provare a parlarne con un minimo di cognizione di causa.L’ordine – 30 pagine in inglese – lo potete leggere qui. È un documento interessante poiché riepiloga le posizioni italiane e indiane nel merito della richiesta di misure provvisorie di semilibertà per il fuciliere Salvatore Girone, chiosandole infine con le valutazioni della Corte.
Partiamo dalla fine, cioè da cosa la Corte ha stabilito (all’unanimità).
a) Italia ed India dovranno cooperare, incluso durante i procedimenti di fronte alla Corte suprema indiana, per ottenere un rilassamento delle condizioni di libertà provvisoria del sergente Girone così da rendere effettivo il concetto di umanità, così che il sergente Girone, rimanendo sotto l’autorità della Corte suprema indiana, possa fare ritorno in Italia per il periodo dell’attuale arbitrato.
b) Il Tribunale arbitrale conferma l’obbligo dell’Italia a far rientrare il sergente Girone in India se il Tribunale accorderà all’India la giurisdizione dell’ incidente "Enrica Lexie"
c) Il Tribunale arbitrale decide che Italia e India debbano entrambe fare rapporto al Tribunale circa l’applicazione di queste misure provvisorie, e autorizza il presidente a richiedere informazioni dalle parti se i rispettivi rapporti non saranno pervenuti al Tribunale entro tre mesi dalla data dell’ordine e, in seguito, ogni qual volta lo ritenga appropriato.
Significa che il ritorno di Girone, salvo colpi di testa suicidi da parte indiana o italiana – altamente improbabili, a questo punto – è cosa fatta e che il Tribunale dell’Aja ha accolto la richiesta italiana formulata su basi umanitarie, rilevando che al momento – coi procedimenti in India congelati per effetto della sentenza dell’Itlos – «pare che la presenza fisica di Girone in India non sia di alcun interesse legale». Ma riaffermando l’autorità indiana sul destino di Girone (e tale rimarrà anche per Latorre, fino alla fine dell’arbitrato), obbliga le due parti a un passaggio formale davanti alla Corte suprema indiana, dando di fatto l’ultima parola ai giudici indiani.
C’è rischio che il ritorno non venga accordato? No.
Tanto che l’agente indiano al Tribunale dell’Aja durante il dibattimento aveva detto chiaro e tondo:
«Signor presidente, l’India non chiede nulla di più oneroso di quanto fissato dalla Corte suprema indiana, e alcune di quelle condizioni sono già state indicate dallo stesso consiglio italiano nella giornata di ieri. L’India vuole essere sicura che, in caso il Tribunale arbitrale le riconosca la giurisdizione del caso, la presenza di Girone [in territorio indiano] sia garantita.»
E l’Italia si era detta più volte disposta a dare le garanzie necessarie alle autorità indiane.
I giudici dell’Aja consigliano alcune garanzie che, se accordate dalla Corte suprema indiana, permetterebbero il ritorno di Girone in Italia senza che la posizione legale indiana venga compromessa: l’Italia dovrebbe prendere in consegna il passaporto di Girone e proibire che esca dall’Italia a meno che la Corte suprema indiana non decida altrimenti; Girone dovrebbe fare rapporto a un’autorità italiana che deciderà la Corte suprema indiana; l’Italia dovrà fare rapporto alla Corte suprema indiana ogni tre mesi, aggiornandola sulla condizione di Girone.
In definitiva, Italia e India si trovano d’accordo nell’inutilità assoluta di tenere Girone fermo a New Delhi (lo stesso dice addirittura la vedova di Jelastine al Times of India) e, «incoraggiati» dal Tribunale dell’Aja, hanno ora la strada spianata per gestire la trattativa diplomatica e il passaggio in Corte suprema indiana.
Il fuciliere italiano, secondo le stime italiane, dovrebbe rientrare in Italia «tra alcune settimane». E qui finisce la valutazione legale di quello che è successo all’Aja.
I cavilli legali importanti per New Delhi
Ci sono poi valutazioni da fare circa la diatriba a mezzo stampa di ieri, con politici della maggioranza che – giustamente, politicamente parlando – rivendicavano un grande successo mettendo mediaticamente il carro davanti ai buoi. Dai tweet di Filippo Sensi che ritraevano un Matteo Renzi à la House of Cards di spalle al telefono con Salvatore Girone ai battibecchi tra maggioranza e opposizione, quest’ultimo passaggio legale che si concluderà col rientro di Girone in patria ha avuto il sapore della vittoria finale dell’esecutivo Renzi. E nell’ottica dell’opinione pubblica italiana lo è, avendo in gran parte avuto come obiettivo ultimo del caso quello del «ridateci i nostri marò».
Per l’India, che di «tenersi i marò» per il gusto di averli a New Delhi da anni non ha più alcun interesse, la narrazione festante dell’Italia non riportava alcuni dettagli invece molto importanti per New Delhi, il cui obiettivo sul lungo termine è un altro, e ritengo lo sia sempre stato.
In tutta questa vicenda l’India ha avuto a cuore – e tutt’ora ha – due aspetti: non fare la figura dei deboli e sottomessi all’ingerenza occidentale indebita nei propri affari (e due morti indiani a 20 miglia nautiche dal Kerala lo sono) e, soprattutto, tutelare l’estensione della propria giurisdizione al largo delle proprie coste, da dove in passato – ben prima delle petroliere italiane – arrivarono e potrebbero di nuovo arrivare terroristi pakistani e contrabbandieri.
Per questo, se è indubbio che all’Aja abbiano finalmente dato ragione alle motivazioni di carattere umanitario avanzate dall’Italia per Girone (ricordando, come hanno fatto i legali indiani all’Aja e come ha sottolineato lo stesso Tribunale arbitrale, che la Corte indiana ha sempre accolto qualsiasi richiesta di carattere medico e umanitario pervenuta dai legali italiani), quest’ultima decisione del Tribunale arbitrale di certo non indebolisce la richiesta indiana di avere la giurisdizione finale del caso, riaffermando chiaramente che Girone (e lo stesso Latorre, in Italia da oltre un anno per effetto di cinque rinnovi della licenza di carattere medico accordati dalla Corte suprema indiana) seppur in Italia rimangono entrambi «sotto la Corte suprema indiana», di fatto non ledendo l’autorità indiana sul caso.
Dopo quattro anni, pare che grazie alla mediazione dell’Aja India e Italia abbiano trovato una via d’uscita rispettivamente onorevole – e senza contraccolpi accessori sulle rispettive opinioni pubbliche – per uscire dall’impasse. Col ritorno di Girone, con ogni probabilità anche in Italia si smetterà di speculare su un caso di carattere assolutamente tecnico, lasciando che il caso venga discusso nelle sedi appropriate e, tra qualche anno, si possa decidere dove aprire questo benedetto processo.
[Scritto per Eastonline]