Cosa ci dice la Siria sull’egemonia di stampo cinese

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In Siria la Cina conferma la sua politica di non intervento, ma l’interesse è forte. Pechino ha ottimi rapporti con Assad e ha inviato nel Paese un corpo militare. E come in Iraq, punta al grande affare della ricostruzione post-bellica. Per poi far passare da Damasco la Nuova via della Seta.


Non sarà sicuramente Pechino a soffiare sul fuoco della già delicata situazione siriana: la Cina si mantiene fedele al proprio assunto di non intervenire nelle vicende interne di altri Stati. L’obiettivo è molto chiaro, come già avvenuto in Iraq, e con un’aggiunta: la Cina punta a intervenire a guerra finita, in sede di ricostruzione.

E ora come ora anche la Siria potrebbe rientrare nel più generale piano della Nuova via della Seta, la nuova bussola geopolitica cinese, e svelarne ancora di più alcune caratteristiche egemoniche, per quanto differenti dall’egemonia di stampo americano a cui siamo stati abituati nel secondo dopoguerra.

Questo atteggiamento, del resto, è giustificato da alcuni elementi: la Cina è già concentrata sulla ricostruzione della Siria, ha già ampi rapporti con l’attuale regime di Assad e ha già un proprio corpo militare in Siria, per addestrare la polizia di Damasco soprattutto in funzione anti-terroristica, con un occhio al proprio problema interno dello Xinjiang.

Partiamo dai rapporti con Assad. Nel marzo del 2017 una televisione cinese, la Phoenix tv — emittente di Hong Kong ma visibile sia nell’ex colonia, sia nella Cina continentale — ha intervistato proprio Assad. Oltre a temibili domande, come «Non è che ha costretto lei suo figlio a studiare il cinese?» — i cinesi sono sempre molto orgogliosi quando scoprono studiosi della loro lingua in luoghi impensati — nel corso della chiacchierata Assad, oltre a ribadire le sue concezioni sull’aggressione della Siria da parte di potenze occidentali, ribadiva l’ottimo rapporto tra la Cina e la Siria.

Pechino sa quando spingere e quando andarci cauta. Sapendo della ovvia presenza russa e dei rapporti di Mosca con Damasco, ha provato a muoversi sui canali che predilige, quelli economici. Senza scendere così nel dettaglio di un appoggio incondizionato ad Assad — ma ricordiamo che durante la guerra in Libia Pechino riceveva un giorno gli emissari di Gheddafi, un giorno i ribelli — la Cina ha saputo far sentire la propria, importante, presenza al regime.

Nel 2017 Qin Yong — l’emissario cinese — ha fatto almeno quattro viaggi in Siria. Come vicepresidente della China-Arab Exchange Association, ha dichiarato — riportato da Bloomberg — di «vedere un fiorente interesse per le compagnie cinesi». Avrebbe anche raccontato di ricevere richieste ogni giorno: «Ci dicono di non andare, non domani, ma stanotte» ha raccontato. Secondo Qing «per la Cina in Siria ci sono enormi potenzialità commerciali, perché l’intero Paese deve essere ricostruito».

E l’entusiasmo sarebbe ricambiato, anche perché nel novembre del 2017 la Cina ha consegnato 1.000 tonnellate di riso alla Siria come parte del suo piano di aiuti alimentari. Secondo i media statali cinesi, già nel novembre 2017, la Cina aveva firmato tre accordi con il governo siriano per fornire aiuti umanitari alla Siria per oltre 40 milioni di dollari nella prima metà del 2017.

A settembre, sempre del 2017, il ministro degli Esteri cinesi, mentre partecipava all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, ha anche chiesto direttamente al vice primo ministro siriano e ministro degli Esteri di unirsi al mega progetto di Nuova via della Seta: «La Siria» ha detto «è un nodo importante nell’antica via della Seta e la costruzione di strade può costituire un’importante opportunità per la cooperazione bilaterale in futuro».

In risposta, ha osservato The Diplomat, la Siria ha dimostrato entusiasmo anche per attrarre denaro cinese. Ad esempio, “all’inizio di luglio 2017, la China-Arab Exchange Association e l’ambasciata siriana a Pechino hanno organizzato un evento speciale, invitando 1.000 rappresentanti di aziende cinesi a investire sulla ricostruzione della Siria. Durante l’evento, l’ambasciatore siriano a Pechino ha affermato che le il leader di Damasco dovrebbero svolgere un ruolo importante nella futura fase di ricostruzione e il governo siriano darà la massima priorità alle società cinesi in materia di investimenti e ricostruzione”.

Tra gli ipotetici 250 miliardi che servirebbero alla ricostruzione siriana, oltre alla Siria e all’Iran, una bella fetta di circa 40 miliardi potrebbe toccare proprio alla Cina, che nel frattempo ha già chiuso un contratto di oltre due miliardi di dollari per infrastrutture e reti elettriche. Proprio come in Iraq, dunque, la Cina lascerebbe il campo militare alle focose potenze che si contendono il medio oriente guerreggiando, aspettando il proprio momento propizio.

L’esempio iracheno è importante: oggi la Cina importa 270 milioni di barili di petrolio all’anno — nel 2007 erano zero -, ovvero l’8% della totale importazione cinese: è il frutto di anni di liquidità immessa nel mercato iracheno della ricostruzione. L’Africa è un altro buon esempio della metodologia cinese.

Ma in Siria non ci sono solo mire di ricostruzione: la Cina teme che i circa 500 — anche se i numeri non sono chiari — uiguri che dallo Xinjiang sono andati lì a combattere contro Damasco e tra i jihadisti, possano tornare indietro e mettere a repentaglio la pace sociale — già ampiamente compromessa — della regione nord occidentale cinese.

Come sottolinea Middle East Eye, dallo scorso marzo, “la Cina ha schierato le proprie truppe in Siria. I soldati, secondo i funzionari cinesi, hanno addestrato membri dell’esercito siriano, offrendo consigli su medicina e logistica”. Mossa signficativa se non storica: è la prima volta che la Cina ha inviato truppe in Medio Oriente. E già che sono lì, chissà che non debbano rimanere se mai partirà la ricostruzione? E se rimanessero, a quel punto, anche oltre perché ci sarà da proteggere lo snodo siriano della Nuova via della Seta?

Il rapporto tra Cina e Siria, dunque, spiega molto del piano di Nuova via della Seta: ci dice che Pechino andrà a elaborare strategie sempre più sofisticate in Medio Oriente e non è detto che anche queste mosse non portino a dissidi — ora improbabili — con Putin e la Russia; racconta coma la Nuova via della Seta, oltre a essere un piano commerciale spacciato per “win-win” dai cinese, nasconda anche una nuova tipologia di egemonia che la Cina sembra ricercare in ogni zona del mondo.

di Simone Pieranni

[Pubblicato su Eastwest]