Per sfuggire alla campagna anticorruzione lanciata dal presidente Xi Jinping , i componenti della nomenklatura preferiscono che la propria progenie venga al mondo direttamente oltremare: un escamotage per trasferire in modo sicuro i propri beni nel Paese del Sol Levante.
Mentre la campagna anticorruzione lanciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2012 continua a fare vittime tra i ranghi del Partito, le «mele marce» sono costrette a ripiegare su nuovi escamotage per mettere al sicuro i propri averi oltreconfine; dall’ottobre 2014, ammontano a 124 i corrotti estradati in Cina da 34 paesi e regioni. Un tempo si parlava di funzionari «nudi», alludendo all’usanza in voga tra i quadri di spedire moglie e figli all’estero con le fortune occulte di famiglia per aggirare i controlli. Oggi c’è chi preferisce che la propria progenie venga al mondo direttamente oltremare, per meglio depistare la Commissione incaricata di mantenere la disciplina ai vari livelli del Partito.
Secondo un’inchiesta realizzata dal quotidiano nipponico Mainichi, le nuove frontiere della corruzione cinese si estendono fino al Giappone, dove da alcuni anni la nomenklatura cinese si sta affidando al mercato nero della maternità surrogata per assicurarsi una prole giapponese. Nel Sol Levante, infatti, non soltanto non esiste una legge che vieti esplicitamente la gestazione per altri, ma è anche possibile che il nuovo nato ottenga la cittadinanza della madre surrogata indipendentemente dalla nazionalità dei genitori biologici, con tutti i vantaggi del caso. Avere un figlio con passaporto nipponico dà la possibilità (a tutta la famiglia cinese) di trasferire in modo sicuro i propri beni in Giappone o in un Paese terzo, oltre a facilitare la compravendita di immobili e l’apertura di società nel vicino asiatico.
Una delle fonti intervistate dal Mainichi, una trentenne di Pechino avvicinata nel quartiere del business di Hong Kong grazie alla mediazione di un broker, racconta – dopo alcune resistenze – di essere stata indotta ad affittare un utero dallo zio del marito, un alto funzionario del Partito con incarichi governativi. «Più sono in alto nella scala del Partito e meno hanno voglia di sacrificarsi per il loro Paese», commenta la donna. È il maggio 2013, e la lotta contro le «mosche e le tigri» raggiunge il culmine con un’ultima vittima eccellente: l’ex zar della sicurezza Zhou Yongkang finisce sotto indagine per corruzione. La notizia verrà confermata dai media di Stato soltanto nel luglio 2014, ma le indiscrezioni su una sua detenzione cominciano ad agitare gli alti papaveri.
La versione della donna combacia con quella del marito incontrato dal quotidiano nipponico lo scorso 11 giugno a Tokyo, dove l’uomo si è trasferito per spianare la strada ad un’eventuale espatrio del clan famigliare e per seguire il figlio lasciato alle cure di un asilo nido. Il quarantenne spiega di come il 9 giugno 2013 lo zio abbia chiamato a raccolta lui e la moglie per annunciare che «la famiglia aveva preso una decisione»: «La leadership di Xi Jinping si appresta a colpire duro. Dobbiamo trasferire i nostri asset ancora più lontano dalle autorità», ha dichiarato lo zio che deve tutta la sua carriera ad una figura di spicco vicina alla cerchia di Jiang Zemin, ex presidente della Repubblica popolare e tutt’oggi eminenza grigia della politica cinese, dato da alcune fonti non troppo attendibili ad alto rischio manette. Dopo tre anni, le ricchezze di famiglia si trovano ormai al sicuro in giro per il mondo; 2 miliardi di yen sono sul conto giapponese del piccolo, nonostante la sua tenera età, grazie ai controlli rilassati della Financial Service Agency (l’authority bancaria nipponica) che rendono il Sol Levante una meta anche più appetibile rispetto agli Stati Uniti, per chi vuole fare perdere le tracce di soldi sporchi.
È nel controverso distretto di Kabukicho, un tempo infestato dalla mafia cinese, che il business degli uteri in affitto – pensato inizialmente per sopperire al crescente tasso di infertilità tra le coppie d’oltre Muraglia – prospera indisturbato al prezzo di 15 milioni di yen a gravidanza. Il Mainichi ha avuto modo di consultare «l’archivio» di un broker cinese di base a Tokyo. Due raccoglitori di colore blu contenenti tutte le informazioni accumulate in quattro anni di attività: nomi dei clienti e dati personali, indirizzo, professione, sesso del nuovo nato e Paese di residenza. In tutto sono 86 i bambini nati da uteri in affitto, di cui 28 lasciati alle cure di asili nido e altre strutture in Giappone, 58 quelli riportati in Cina dai genitori biologici.
[Pubblicato su il Fatto quotidiano]