Il governo giapponese è nell’occhio del ciclone dopo le rivelazioni di un settimanale scandalistico su un giro di corruzione che coinvolgerebbe il ministro dell’Economia e delle Politiche fiscali Akira Amari e il suo staff. Giovedì 28 gennaio Amari ha rassegnato le proprie dimissioni. Un anonimo dirigente di un’azienda di costruzioni ha confessato al tabloid Shukan Bunshun di aver corrotto Amari e i suoi collaboratori in relazione all’assegnazione di una commissione da 220 milioni di yen (1,73 milioni di euro al cambio attuale) per conto della Urban Renaissance Agency, un ente semi-pubblico che si occupa di progetti di sviluppo urbano e di edilizia popolare.
In totale, le spese sostenute dall’uomo per corrompere Amari e il suo entourage ammontano a 12 milioni di yen, circa 94mila euro, tra cui ci sarebbero conti in locali notturni e pub offerti a due membri dello staff del ministro. A inchiodare Amari, che è stato anche capo negoziatore per il Giappone del Trans-Pacific Partnership (Tpp), l’accordo di libero scambio che unirà le due sponde del Pacifico – tra i firmatari della bozza di accordo ci sono Giappone, Stati Uniti, Canada, Messico e Australia – e che ora attende di essere votato dai Parlamenti nazionali, la foto di un incontro avvenuto a fine 2013 tra lui e l’anonimo dirigente nell’ufficio del ministro.
In quell’occasione, il ministro avrebbe ricevuto in segno di ringraziamento l’equivalente di 3.500 euro in contanti e una porzione di yokan, una costosa gelatina di fagioli rossi dolci. Dei doni non si trova traccia nei resoconti finanziari del ministro. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi mercoledì a Tokyo, in seguito alla pubblicazione di alcune anticipazioni dello scoop sul sito del magazine, Amari si è difeso e ha annunciato l’avvio di un’indagine per chiarire i dettagli della vicenda.
Nel caso le rivelazioni del Bunshun trovassero conferma, Amari dovrà rispondere di corruzione e violazione della legge sul controllo dei finanziamenti ai politici. Giovedì 21 gennaio Amari ha risposto del caso in aula parlamentare, aggiungendo a quanto riferito nella conferenza stampa del giorno prima, di ricordare il suo incontro con l’autore delle rivelazioni al tabloid ma di non ricordare i dettagli dell’incontro, né di aver ricevuto in quella circostanza soldi o regali. Yukio Edano, dirigente del primo partito di opposizione, il Partito democratico giapponese, ha annunciato che i suoi chiederanno una spiegazione chiara: “Dobbiamo far pesare ai vertici del governo la propria responsabilità di fronte ai cittadini”.
Le rivelazioni della stampa su una delle figure chiave del governo Abe rischiano però di innescare una reazione a catena e minare il consenso dell’amministrazione a sei mesi dalle elezioni per la Camera alta del prossimo luglio. Non è infatti il primo scandalo che coinvolge un membro del governo Abe. Da dicembre 2012, il primo ministro ha operato due rimpasti di governo mantenendo sempre a suo fianco figure centrali come il ministro delle Finanze e vice premier Taro Aso e lo stesso Amari. A ottobre 2014, erano arrivate le dimissioni delle ministre Midori Matsushima e Yuko Obuchi, accusate di donazioni illecite ai sostenitori della campagna elettorale e di spese improprie di fondi pubblici in cosmetici e trattamenti di bellezza.
L’ultimo caso risale a settembre 2015: il ministro per l’Educazione e lo Sport, Hakubun Shimomura, un fedelissimo di Abe, si dimette dopo l’abbandono per costi eccessivi da parte del governo del progetto originario del nuovo stadio nazionale firmato dall’archistar Zaha Hadid, su cui lo stesso ministro avrebbe dovuto sorvegliare.
Giovedì 28 gennaio, il ministro Amari ha rassegnato le proprie dimissioni.
[Scritto per il Fatto quotidiano online; foto credit: scmp.com]