I casi del nuovo coronavirus hanno superato quota 2000, le vittime sono ora una sessantina solo nella Cina continentale. Un secondo caso è stato registrato negli Usa a Chicago: si tratta di una donna reduce da un viaggio a Wuhan. Sono almeno tredici le città con limitazioni alla circolazione delle persone, per un totale di 36 milioni di abitanti impossibilitate a lasciare la propria città. I centri sotto quarantena sono tutti nella provincia di Hubei, quella di Wuhan. Man mano che i dati rimbalzano sui media, crescono anche gli interrogativi nel pubblico non esperto.
UNA DELLE DOMANDE più frequenti riguarda la possibilità di sviluppare un vaccino contro la nuova polmonite. Quanto è difficile? Quanto tempo ci vuole? In effetti, la ricerca di un vaccino contro il coronavirus è già iniziata. Ieri l’università del Queensland (Australia) ha ricevuto una richiesta per sviluppare un vaccino contro il nuovo coronavirus da parte della «Coalizione per le innovazioni in materia di preparazione alle epidemie» (Cepi).
Il Cepi è un consorzio fondato a Davos nel 2017 per iniziativa della fondazione Bill e Melinda Gates. Con risorse proprie di 750 milioni di dollari e l’obiettivo di arrivare al miliardo, il Cepi punta a accelerare lo sviluppo di nuovi vaccini contro le epidemie emergenti. Ha già sviluppato diversi «vaccini candidati», cioè farmaci sperimentali che potrebbero dimostrarsi efficaci sull’uomo.
Secondo Paul Young, il direttore della facoltà di chimica e di biologia molecolare dell’università del Queensland, «il team di ricerca spera di sviluppare un vaccino nei prossimi sei mesi, per poterlo usare nel contenimento del focolaio. Il vaccino sarà distribuito agli operatori in prima linea, per prevenire la diffusione del virus nel mondo», ha aggiunto.
L’università del Queensland ha brevettato una tecnologia innovativa per lo sviluppo di vaccini a partire dalla sequenza genetica del virus, e per questo è un partner privilegiato per il Cepi. È ottimista anche Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive e le allergie statunitense, coinvolto anch’esso nello sviluppo del vaccino. Tuttavia, i tempi non potranno essere rapidissimi.
«A MENO DI IMPREVISTI, nel giro di tre mesi potremmo iniziare un trial di fase I (il primo stadio della sperimentazione di un farmaco, volto a verificarne la sicurezza, ndr). Se si procederà con un trial di fase II, serviranno altri fondi. Un vaccino sperimentale potrebbe essere pronto per l’uso in situazioni di emergenza tra uno o due anni». Raffredda gli entusiasmi anche Rino Rappuoli, microbiologo italiano di fama internazionale, con una cattedra all’Imperial College di Londra e a capo della ricerca della divisione vaccini della GlaxoSmithKline.
«Un vaccino basato sull’Rna (un parente stretto del dna, ndr) realizzato usando un gene sintetico può essere pronto per la sperimentazione sugli animali in una settimana», spiega al manifesto. «Poi c’è da fare la produzione su larga scala, con i necessari requisiti di qualità fissati dalle norme internazionali di Buona Pratica di Fabbricazione, la sperimentazione sull’uomo e l’approvazione del vaccino da parte delle autorità. Questo percorso normalmente richiede 15-20 anni. In caso di emergenza e con nuove tecnologie come l’Rna i tempi possono essere molto più brevi, ma tempi più corti di 1-3 anni mi sembrano improbabili».
LA RICERCA DI UN VACCINO contro una malattia che appare improvvisamente è legata a un calcolo piuttosto cinico: le sperimentazioni sono possibili solo se l’epidemia fornisce abbastanza casi per poterne misurare i risultati. Il caso del virus Ebola è paradigmatico: l’epidemia del 2014-2016 in Africa occidentale permise lo sviluppo di un vaccino sperimentale, ma quando il farmaco fu pronto il focolaio epidemico era ormai agli sgoccioli. La sperimentazione ha dovuto attendere una nuova epidemia dello stesso ceppo, come quella che dal 2018 colpisce la Repubblica Democratica del Congo, per l’autorizzazione di un vaccino anti-Ebola. È possibile, anzi sperabile, che con il nuovo coronavirus le cose vadano in modo simile: le misure di contenimento messe in atto in Cina potrebbero portare all’esaurimento del focolaio nel giro di qualche mese, e impedire che la ricerca clinica verso la scoperta di un vaccino prosegua.
MA LE SPERANZE non sono legate solo alla scoperta di un vaccino ex-novo. Un portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato ieri che l’Oms esaminerà le terapie e i vaccini in via di sperimentazione contro la Mers (la «sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus») per verificarne l’efficacia contro il nuovo virus. È presto per i primi risultati affidabili, ma è possibile che una terapia farmacologica efficace sia pronta in tempi più brevi rispetto a quelli necessari per un vaccino.
Di Andrea Capocci
[Pubblicato su il manifesto]