Sale a oltre 2300 contagi e più di 400 vittime il bilancio del misterioso virus di Wuhan che dallo scorso 31 dicembre ha già superato i numeri della Sars, arrivando a minacciare almeno altri 24 paesi. Nella sola giornata di lunedì si sono registrati 57 decessi, un nuovo record dall’inizio dell’epidemia. Nel weekend, un cinese di 44 anni in viaggio nelle Filippine è diventato la prima vittima del virus oltre i confini nazionali. Ma, secondo un recente studio pubblicato su Lancet, le cifre reali del contagio potrebbero essere molto più elevate con quasi 76mila infetti nella sola Wuhan. Mentre il tasso di mortalità rimane piuttosto basso e le guarigioni aumentano, la rapida diffusione del virus e la diagnosi non sempre facile ha spinto diverse nazioni a limitare i trasferimenti da e verso la Cina. Una posizione contro cui Pechino, preoccupato per le ripercussioni economiche, non ha mancato di protestare. Gli strali più acuminati sono diretti contro gli Stati Uniti, il primo paese ad aver richiamato il personale diplomatico in Cina e ad aver chiuso le porte ai viaggiatori cinesi dopo l’annuncio in cui la scorsa settimana l’Oms ha definito il virus una “minaccia globale”.
Nella giornata di ieri, il ministero degli Esteri ha accusato Washington di “creare e diffondere panico” invece che prestare assistenza. Letteralmente: “sono proprio i paesi sviluppati come gli Stati Uniti con forti capacità di prevenzione… che hanno assunto la guida nell’imporre restrizioni eccessive contrarie alle raccomandazioni dell’Oms”, secondo la quale la chiusura ermetica delle frontiere rischia di incentivare gli arrivi clandestini complicando l’attuazione dei controlli. Addirittura, per l’ambasciatore cinese in Israele, le misure con cui diversi paesi stanno discriminando i cittadini cinesi sono paragonabile alla segregazione degli ebrei sotto il regime nazista.
Oltre agli Stati Uniti, Australia e Singapore hanno precluso l’ingresso a tutti i visitatori stranieri con un recente trascorso in Cina, mentre restrizioni più blande sono state adottate da Israele, Nuova Zelanda e Russia, il paese amico che, dopo aver annunciato la chiusura parziale del confine condiviso, si appresta a sospendere l’emissione dei visti elettronici e a richiamare i propri cittadini nelle aree transfrontaliere. Una mossa che, secondo il Financial Times, potrebbe contribuire a rallentare gli scambi commerciali tra i due giganti nonostante il crescente allineamento geopolitico. Nuove limitazioni anche a Hong Kong (a quota 15 casi), dove lunedì gli operatori sanitari hanno scioperato per protestare contro le misure troppo soft messe in campo dal governo locale. In risposta, la leader Carrie Lam ha annunciato la chiusura di 10 checkpoint su 13 per centellinare ulteriormente gli arrivi dalla mainland, definendo tuttavia impraticabile l’interruzione totale dei transiti lungo il confine.
Il risentimento di Pechino nei confronti delle barriere internazionali stride con le drastiche restrizioni adottate in patria. Ma ha motivazioni solide. Secondo quanto ammesso dal ministero degli Esteri lunedì – giorno dell’inaugurazione del primo ospedale costruito in tempi record appositamente per il trattamento del virus – la produzione nazionale non basta ad assicurare sufficienti “maschere mediche, tute e occhiali protettivi”. Un problema che, in mancanza di più generose donazioni dall’estero, difficilmente verrà risolto con il coinvolgimento diretto della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma e dell’esercito nella distribuzione di generi di prima necessità.
Intanto crescono i timori per i contraccolpi economici. Lo schianto dei listini alla riapertura dopo il Capodanno (il peggiore dal 2015) sembra smentire nell’immediato l’efficacia degli stimoli annunciati dalla banca centrale nel weekend. Secondo gli analisti, salvo una risoluzione della crisi entro la fine di febbraio, i prossimi mesi si riveleranno critici per il manifatturiero ad alta intensità di lavoro e le piccole attività commerciali. Wenzhou, capitale dell’imprenditoria privata cinese, è diventata l’ultima città ad annunciare la quarantena. Convocando la leadership, lunedì il presidente Xi Jinping ha invitato le autorità locali a combattere l’epidemia senza tuttavia trascurare gli aspetti economici e la stabilità sociale.
[Pubblicato su il manifesto]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.