Mezzi pubblici semivuoti, scuole chiuse e controlli della temperatura all’ingresso dei complessi residenziali. La Cina tenta di ripartire dopo le lunghe vacanze per il Capodanno lunare con il freno a mano tirato. Colpa della misteriosa polmonite virale che da metà gennaio paralizza la seconda economia mondiale.
Domenica, il bilancio delle vittime ha raggiunto quota 908 (97 in più rispetto al giorno prima), ma il numero dei contagi sembra essersi stabilizzato da quando la scorsa settimana la diffusione del virus ha riportato un primo rallentamento. In tutto il paese, le persone infette sono 40.171, a cui si aggiungono 187.518 casi sotto osservazione medica e 3.281 guarigioni. Secondo il ministero degli Esteri, tra gli stranieri sono almeno 27 i contagi, due i decessi e tre le dimissioni in seguito a ricovero. Ma, alla vigilia dell’arrivo del primo team di esperti internazionali, il direttore generale dell’Oms avverte: “l’individuazione di un numero limitato di casi può indicare una trasmissione più diffusa in altri paesi”. La situazione fuori dai confini cinesi potrebbe essere solo “la punta dell’iceberg” ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus segnalando l’incremento dei contagi tra persone che non sono state in Cina. Ergo la crisi non è risolta.
Mentre infatti lo Hubei si conferma la regione “hot spot” – con la città di Tianmen prima per tasso di mortalità (5,08%)- l’agenzia dell’Onu sta tenendo sottocchio dieci province (tra cui Zhejiang, Guangdong e Henan) interessate da un lento aumento dei casi. Il picco previsto dai ricercatori cinesi potrebbe quindi non essere stato ancora raggiunto. La conferma sembra arrivare da un nuovo studio a cura dell’autorevole pneumologo, Zhong Nanshan, stando al quale il periodo di “incubazione potrebbe essere zero giorni o arrivare fino a 24”, dieci giorni in più rispetto a quanto precedentemente stimato. Un dato che preoccupa soprattutto in vista del ritorno dalle festività, quando i lavoratori migranti lasceranno i villaggi d’origine per confluire nuovamente nelle grandi città. In una lotta contro il tempo, a Wuhan, epicentro dell’epidemia, il 99% dei residenti è stato sottoposto a controlli medici forzati in meno di una settimana.
Lunedì sono ufficialmente finite le vacanze, prolungate di 10 giorni per contenere la diffusione del virus. Ma anche se il Consiglio di Stato e alcune province culla del manifatturiero – come il Zhejiang – hanno forzato una ripresa puntale delle attività industriali e commerciali, molte aziende, laddove possibile, hanno richiesto ai propri dipendenti di lavorare da casa, mentre nello Heilongjiang, nel nordest, la pausa festiva è stata prorogata di due settimane.
In gioco c’è un obiettivo di crescita “intorno al 6%”, che attende conferma in occasione dell’Assemblea nazionale del popolo, in agenda – virus permettendo – per il prossimo 5 marzo. I contraccolpi economici sono già evidenti: secondo i dati ufficiali rilasciati lunedì, nel mese di gennaio, le restrizioni sulla mobilità adottate per imbrigliare il contagio hanno fatto aumentare l’inflazione del 5,4% su base annua, il valore più alto dal novembre 2011. Il rincaro ha interessato soprattutto i generi alimentari, come la carne di maiale già pesantemente colpita dalla peste suina. Stando al ministero delle Finanze, ad oggi Pechino ha sborsato ben 6,2 miliardi di dollari per combattere il virus.
Nella giornata di ieri, pronosticando una “piena vittoria” pur ammettendo “le carenze del sistema di prevenzione e controllo delle malattie”, Xi Jinping ha assicurato che l’epidemia non comprometterà il mercato del lavoro né costringerà il governo a rivedere le proprie priorità in termini di stabilità economica e sociale. Durante un’inattesa visita presso uffici governativi e strutture ospedaliere di Pechino, il presidente cinese è comparso per la prima volta dall’inizio della crisi con il volto protetto da una mascherina per esprimere la propria vicinanza a chi combatte il virus in “prima linea” e assicurarsi che le forniture rispondano adeguatamente alle “necessità di base”.
Dopo giorni di basso profilo, Xi torna a vestire i panni di “uomo del popolo” per ristabilire centralità e riparare agli inciampi dell’amministrazione di Wuhan, accusata di aver insabbiato l’entità del contagio per almeno tre settimane. La morte del medico Li Wenliang, punito dalla polizia per aver fatto luce sui rischi del virus, è diventata il simbolo dell’inettitudine delle autorità locali. Ora sta al governo centrale riconquistare la fiducia dei cittadini. E salvare “il sogno cinese”.
[Pubblicato su il manifesto]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.