Il fischio di inizio è stato dato da tempo, anche se alcuni iniziano a sentirne solo adesso il suono. Sul campo di “battaglia” dell’Italia (termine tristemente ancor più vicino alla realtà durante lo scoppio della “guerra” al coronavirus), Cina e Stati Uniti stanno disputando una sfida che va avanti da oltre un anno. Una unica, grande sfida, che l’Italia (e non solo) ha a lungo pensato potesse essere frammentata in due “partitine” diverse, una geopolitica e una commerciale. Prima l’adesione di Roma alla Belt and Road Initiative (unicum tra i paesi del G7), poi il 5G, l’aerospazio e i brevetti. Ora gli aiuti sanitari, in una corsa alla mascherina che può non solo contribuire a costruzione, mantenimento o disfacimento del proprio soft power, ma anche a conquistare spazi di manovra maggiori su quello che verrà dopo, sperando non restino solo macerie.
Una sfida, quella tra Washington e Pechino, che si interseca, come spesso accade in Italia, con un’altra partita molto più interna e nella quale le forze politiche sono attente alla preservazione o alla (ri)conquista del consenso, sfruttando all’evenienza fattori internazionali e diplomatici.
Ed ecco allora la polemica partita nelle scorse ore tutta interna al governo Conte bis. Quel governo che aveva emesso i primi vagiti introducendo il golden power sulle telecomunicazioni (vagiti che hanno trovato unìeco nell’odierna intervista di Conte a Famiglia Cristiana). Disciplina ancora (molto) vaga, tanto che Copasir e Servizi Segreti sembrano avere due linee diverse a riguardo. Ma che comunque in quei giorni di fine estate rappresentava un messaggio rassicurante al partner tradizionale, Washington, che aveva inviato più di qualche segnale (implicito ed esplicito) a riguardo per “invitare” l’Italia a “non esagerare”. Leggasi: bene le arance siciliane, meno il 5G.
Un primo segnale al quale aveva fatto seguito la retromarcia (clamorosa nelle modalità) sull’aerospazio, con un accordo concluso con Pechino di fatto reso carta straccia e un mesto ritorno all’ovile a stelle e strisce. Il tutto mentre la stella del leader della forza politica a cui la Cina è più vicina, il Movimento Cinque Stelle, iniziava a tramontare. Quel Luigi Di Maio che aveva dovuto quasi subire il trasferimento alla Farnesina, pillola comunque indorata dal mantenimento delle deleghe al commercio estero (con tanto di maglia azzurra e brindisi a base di Prosecco con il presidente Xi Jinping a Shanghai).
Il blocco dei collegamenti aerei diretti (primo paese occidentale a operare una misura così drastica, pur mitigata comprendendo Hong Kong, Macao e soprattutto Taiwan nel blocco) deciso dal duo Conte-Speranza senza coinvolgere Di Maio e il voto a favore del candidato di Singapore (supportato dagli Usa) alla Wipo sembravano le due botte finali, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella costretto alla supplenza diplomatica con un concerto speciale al Quirinale anticipato in fretta e furia.
Il rovesciamento della crisi ha però ribaltato le carte in tavola. Quel blocco dei voli che era stato criticato da esponenti del PCC si è rivelato alla lunga un vantaggio per Pechino, che ora teme soprattutto i “contagi di ritorno”. E il governo cinese, avendo ufficialmente quasi azzerato i nuovi casi di coronavirus, può concentrarsi a rimettere in moto la macchina. Come farlo nel modo migliore? Utilizzando il fattore temporale (uscita dalla crisi mentre gli altri, soprattutto in Europa, vi sprofondano) e il primato nella produzione di materiale sanitario protettivo per soccorrere i paesi occidentali tra donazioni ed export, aumentando con un semplice schiocco di dita il proprio soft power, vecchio tallone d’Achille di una Cina spesso vista e considerata soprattutto come ineludibile partner commerciale e poco più, in un misto di colpevoli sottovalutazione e mancata comprensione.
Di Maio, che aveva dovuto subire la decisione sui voli in silenzio, può avere ora la sua rivincita. Gli aiuti in arrivo dalla Cina danno un’importante doppia occasione al ministro degli Esteri, il quale sta infatti provando a sfruttarla.
Prima occasione: rivendicare la bontà dell’adesione alla Belt and Road. “Chi ci ha deriso sulla Via della Seta deve ammettere che investire su quella amicizia ci ha permesso di salvare vite in Italia”, ha infatti dichiarato Di Maio al TG2 post. Al di là della percentuale di donazione e della percentuale di export (cosa più che legittima, d’altronde), è ovvio che gli aiuti in arrivo dalla Cina sono importantissimi. E chi li manda va ringraziato, in primis i privati e i tanti membri delle comunità cinesi già presenti in Italia che stanno regalando soldi e materiali. Allo stesso tempo, non è provato che questi aiuti arrivino grazie al fatto che l’Italia ha aderito alla Belt and Road. Pechino sta oculatamente inviando aiuti a diversi altri paesi. Per restare in Europa, voli carichi di materiale sanitario proveniente dalla Cina sono atterrati anche in Spagna, Belgio, Grecia, Francia (che ha appena aperto un ponte aereo con Pechino) e Ungheria.
Seconda (e più rilevante) occasione: rilanciare il M5s. L’esperienza del “governo del cambiamento” era stata fallimentare in termini di consenso per i pentastellati, con i rapporti di forza con la Lega che si erano di fatto ribaltati, come dimostrato alle elezioni europee dello scorso maggio. Matteo Salvini era riuscito a portare con sé la stragrande maggioranza del “voto di protesta” e delle posizioni euroscettiche, con un M5s improvvisamente ingrigito. Troppa distanza tra i (difficili) obiettivi capitati nelle mani dei ministri grillini e quelli più facilmente realizzabili da quelli leghisti.
Il governo col Pd, pur salvando il M5s dalla probabile se non certa batosta alle urne, ha appannato ancora di più la sua immagine presso gli elettori (soprattutto quelli provenienti dalla destra, non a caso tornati in massa nella metà di campo sovranista) a causa di una linea e un’identità che spesso sono sembrati smarriti lungo la strada. Ora, però, il coronavirus rischia di avere gravi conseguenze per il Carroccio e per Salvini. La realizzazione del sogno proibito sovranista – niente Europa e niente Schengen – si è materializzato con tutta la sua forza, associandosi a un momento di emergenza e di tristezza nazionale.
Non a caso Di Maio promuove con maggiore vigore gli aiuti in arrivo dalla Cina, o dalla Russia, rispetto a quelli in arrivo dalla Germania o dagli Stati Uniti (che sono comunque numericamente inferiori anche per la contingenza temporale, con l’epicentro della crisi che si è spostata da oriente a occidente). Sa di avere un potenziale spazio per recuperare quei voti persi durante “l’anno del cambiamento”.
Sottolineare gli aiuti arrivati da paesi extra europei coi quali il M5s ha da sempre un ottimo rapporto è funzionale a rimarcare i meriti politico/diplomatici del M5s stesso e impossessarsi di nuovo della narrativa dell'”Europa cattiva” che non a caso viene alimentata in queste settimane in vari gruppi dell’area pentastellata sui social network. Impossessarsi di quella narrativa può significare riuscire a rimettere a lucido l’immagine del M5s come aliena al “sistema”, erodendo qualche consenso alla Lega e ribadendo la contemporanea appartenenza dei partner di governo, il Pd, a quel “sistema”.
Ecco allora i nuovi scossoni interni al governo sul tema “Cina”, dopo quelli dello scorso autunno in occasione della risoluzione Lupi/Quartapelle sulle proteste di Hong Kong e la “linea della non ingerenza” M5s. La stessa Lia Quartapelle e Andrea Romano hanno chiesto spiegazioni a Di Maio per la sua insistenza sugli aiuti cinesi.
Il M5s ha risposto compatto. “Luigi Di Maio (e tutta la Farnesina) è impegnato a sostenere l’Italia e gli italiani. Loro pensano alle chiacchiere? Sembrano la coppia Salvini-Meloni”, ha scritto su Twitter Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Affari Esteri.
La partita interna si intreccia, più o meno inconsapevolmente, con quella globale, in cui Pechino celebra il proprio nuovo ruolo di “salvatore” dell’Occidente in crisi) e Washington prova a ricordare perché cambiare gli equilibri geopolitici non sarà semplice, mobilitando direttamente i militari presenti sul suolo italiano per il proprio programma di supporto umanitario.
Il fischio finale è ancora lontano, ma intanto (sperando sempre che possa essere privilegiata la cooperazione globale) si potrebbe presto essere chiamati a decidere quale casacca indossare.
[Pubblicato su Affaritaliani]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.