Ieri si sono registrati i primi casi di Covid-19 in Austria, Svizzera e Croazia. A guardare l’evoluzione dell’epidemia su una mappa si ha l’impressione che il focolaio italiano abbia scavalcato le Alpi. In realtà, come molti esperti segnalano, il gran numero di casi registrato in Italia è il risultato soprattutto dell’attività di monitoraggio, con oltre 6200 persone esaminate.
LA FRANCIA ha eseguito solo 531 test. È possibile che nell’area dell’arco alpino un focolaio si sia già installato da tempo e che i casi scoperti sul lato italiano siano solo i primi. La situazione ha indotto i ministri della salute dei paesi alpini (Germania, Francia, Austria, Croazia, Slovenia, Svizzera e Italia) a riunirsi ieri a Roma per condividere le prossime mosse.
Il vertice ha stabilito l’opportunità di mantenere aperte le frontiere, «perché in questo momento chiuderle sarebbe una misura sproporzionata e inefficace».
Certamente il malato d’Europa rimane l’Italia. Ma i nuovi casi, e la difficoltà di trovare il «paziente zero» e la catena di contagio che ha portato a oltre 300 casi e 11 vittime, fanno pensare che tutta la macroregione sia a rischio.
La barriera naturale costituita dalle montagne stavolta potrebbe agire da catalizzatore. In molti paesi è tempo di gite scolastiche sulla neve e le alpi italiane sono una meta tradizionale.
Così, dodici scuole inglesi hanno deciso di sospendere la didattica o di mettere in isolamento le classi di ritorno dalle nostre piste di sci. Al caldo non va meglio: la presenza di un turista italiano positivo al coronavirus ha immediatamente fatto isolare un hotel a Tenerife (Canarie) con i suoi mille ospiti, in attesa dei risultati dei test. Oggi il ministro della salute Roberto Speranza incontrerà la missione congiunta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e del Centro europeo per il controllo delle malattie, che già da lunedì è in Italia per fornire supporto nel contenimento dell’epidemia. Alla sede centrale dell’Oms di Ginevra però l’attenzione è tornata sulla Cina.
L’ATTESO RITORNO della task force inviata dall’Oms in Cina sotto la guida del super-esperto canadese Bruce Aylward, già coordinatore delle operazioni dell’Oms durante l’epidemia di Ebola del 2014-16, ha fornito racconti drammatici, soprattutto in bocca a uno specialista con tanta esperienza.
Inizialmente ha snocciolato qualche buona notizia: la trasmissione da pazienti asintomatici sembra un evento poco significativo e la competenza dei medici cinesi è notevole: «Se mi ammalassi vorrei essere curato in Cina», ha detto, perché le attrezzature sono migliori che in Europa.
«CAPIRE IL LIVELLO DI GRAVITÀ della malattia dai dati cinesi è difficile, perché lì sanno come trattarla. Nei paesi del G7 si muore», ha detto in riferimento all’Italia.
Ma da quanto ha potuto appurare la task force, il numero di casi lievi in Cina non è elevato come certe stime suggeriscono. «Non si tratta di un’influenza, è più simile alla Sars». Non bisogna darsi sconfitti in partenza, ha detto: «è possibile ripetere altrove quello che è stato fatto in Cina», ha detto glissando sulla questione del rispetto dei diritti umani. «Ogni paese deve prepararsi, è come una guerra. Serviranno posti letto per isolare le persone e mettere in quarantena i contatti, respiratori per i casi gravi, mezzi di trasporto, laboratori efficienti».
AYLWARD HA INVITATO i governi a prepararsi a uno sforzo sanitario senza precedenti. «Fermare Covid-19 è possibile, ma richiede un intervento aggressivo e duro. Il tempo è tutto: con un’epidemia in crescita esponenziale, rallentare il contagio di tre giorni può fare la differenza. In trent’anni di lavoro non ho mai visto nulla del genere.» Il messaggio dovrebbe arrivare a paesi come l’Iran, la cui scarsa trasparenza si ritorce contro lo stesso governo: i casi ufficialmente sono un terzo di quelli italiani ma le vittime sono più numerose e già questo è sospetto.
In più, ieri si è ammalato persino il vice-ministro della sanità Iraj Harirchi. Secondo una stima dell’università di Toronto pubblicata sull’archivio aperto MedrXiv (quindi ancora non valutata da una rivista) in Iran le persone contagiate sono 18.000.
ANCHE GLI STATI UNITI, dove finora ci sono stati solo 53 casi originati all’estero, devono prepararsi a una prossima ondata, ha detto la direttrice del Centro nazionale statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie Nancy Messonnier. «Non è in discussione ‘se’ ma ‘quando’ e quante persone nel nostro Paese si ammaleranno gravemente».
Di Andrea Capocci
[Pubblicato su il manifesto]