Cronaca da Seul di una lunga giornata di gelo, proteste e boicottaggi. Il presidente che ha dichiarato la prima legge marziale della Corea democratica resta al suo posto. Ma solo per il momento
“Non è finita qui, oggi è stato solo l’inizio”. Quando è ormai notte e la temperatura è abbondantemente sotto lo zero, è questa la frase gettonata per le strade ancora affollate di Seul. Poche ore prima, il Partito del potere popolare ha deciso che la volontà del popolo non conta, salvando Yoon Suk-yeol dall’impeachment. Sì, il presidente che per primo ha imposto una legge marziale nella Corea del sud democratica, riaprendo le devastanti ferite di un tragico e sanguinoso passato, resta al suo posto. Almeno per ora. Già, perché nonostante i “rischi” di “nuove misure estreme” paventati dal suo stesso leader Han Dong-hoon, il partito di governo ha deciso di boicottare il voto che avrebbe immediatamente sospeso Yoon. Tutti e 108 i suoi deputati, tranne uno, hanno lasciato l’aula. È quasi sconvolgente il contrasto tra due immagini. La prima: l’ala conservatrice del parlamento lasciata vuota per timore dei franchi tiratori, rendendo impossibile l’esercizio democratico di voto sul destino dell’autore del tentato golpe militare di 96 ore addietro. La seconda: l’immensa folla, piena anche e soprattutto di giovanissime e giovanissimi, che invade per tutto il giorno il lunghissimo viale di fronte all’Assemblea nazionale.
“Impeachment. Arrestatelo”, si continua a urlare, mentre dentro l’aula l’opposizione declama i 107 nomi di chi se n’è andato. La procedura viene lasciata aperta inizialmente fino a mezzanotte e mezza, per dare tempo a eventuali ripensamenti. Due deputati tornano indietro per votare. Non sono sufficienti. All’appello ne restano cinque. Alle nove e mezza si decide allora di chiudere il voto, per evitare lunghe e inutili attese per le oltre 150 mila persone (per la polizia, secondo gli organizzatori quasi un milione) da ore al gelo: quorum non raggiunto. Eppure, in tantissimi non se ne vanno. Non c’è solo rabbia, ma anche le candele, simbolo dei mesi di proteste del 2016 e 2017 contro l’ex presidente Park Geun-hye. E poi i bastoncini luminosi, tipici dei concerti K-Pop. Si canta, si balla, si promette che le strade di Seul resteranno piene fino a quando Yoon non se ne andrà o non verrà rimosso. I sindacati preannunciano l’ampliamento della mobilitazione e dello sciopero generale.
Dopo la vergogna in aula, il partito di maggioranza prova a ridurre lo scollamento con la società civile. “Fino a quando il presidente non si dimetterà, sarà praticamente escluso dalle sue funzioni e il primo ministro si consulterà con il partito per garantire che gli affari statali siano gestiti senza interruzioni”, dice Han. Una sorta di commissariamento, che Yoon avrebbe implicitamente accettato con un brevissimo discorso di scuse alla nazione, in cui ha garantito che non imporrà altre leggi marziali. Molti media sudcoreani ritengono che l’obiettivo sia evitare elezioni immediate, in cui l’opposizione sarebbe ampiamente favorita, coinvolgendo tutte le forze politiche in una riforma costituzionale che accorcerebbe da 5 a 4 anni il mandato presidenziale, fissando dunque il voto al 2026.
Camminando per le strade di Seul, appare impossibile aspettare così tanto. Anche perché dopo l’abnorme imboscata di martedì scorso, resta qualche timore di un bis, che appare comunque difficile da immaginare. Ieri, per esempio, sui social sono circolate diverse speculazioni su una riunione dei comandanti delle forze armate, convocata a livello nazionale.
Lee Jae-myung, leader del Partito democratico, ha ribadito che Yoon è un “pericolo” e ha annunciato che mercoledì verrà depositata una seconda procedura di impeachment, con voto previsto tra venerdì e sabato. La speranza è che questo porti il partito di governo a cambiare idea, anche sotto la pressione dell’opinione pubblica. Se non sarà così, c’è anche chi immagina la presentazione alla corte costituzionale di una richiesta di dissoluzione del partito di Yoon, per tradimento. La Corea del sud ha di fronte settimane, forse mesi, di grande incertezza e instabilità. Non mancano le possibili conseguenze, anche sul piano internazionale, che presenta già di per sé diverse turbolenze e incognite, a partire dall’alleanza militare tra Corea del nord e Russia. Ma a Seul e dintorni la priorità è semplice: impedire che il futuro assomigli a un passato che Yoon ha osato provare a ripetere.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.