Un’inchiesta di Kbs ha fatto emergere l’esistenza di un ufficio governativo dedicato ad indagare su casi di corruzione amministrativa, ma usato per compilare dossier su nemici del presidente Lee. Oltre 2.600 documenti e una bella grana per il partito di governo che, nonostante ciò, ieri ha vinto le elezioni parlamentari.
Sulla stampa già si parlava di un Watergate sudcoreano. Ma lo scandalo sui dossier illegali del governo conservatore su funzionari statali e privati cittadini ha finito per toccare anche il passato esecutivo di centrosinistra.
A far scoppiare il caso quando mancavano poche settimane al voto di ieri per il rinnovo del Parlamento – che di misura ha riconfermato la maggioranza dell’attuale coalizione di governo – è stata un’inchiesta dei giornalisti della Kbs, in sciopero contro le ingerenza della politica nei servizi assieme ai colleghi di altre emittenti pubbliche.
In tutto si tratta di oltre 2.600 documenti, secondo il servizio diffuso su internet che puntava il dito contro il presidente Lee Myung-bak. Dalle rivelazioni emerge l’esistenza di un ufficio governativo incaricato di indagare sui casi di corruzione nell’amministrazione, ma le cui mansioni furono estese anche ai cittadini.
Ulteriori chiarimenti hanno però rilevato che la maggior parte dei dossier, circa 2.200, furono commissionati sotto la presidenza del predecessore di Lee, il liberale Roh Moo-hyun. Delle centinaia di documenti riconducibili all’attuale capo di Stato, almeno 81 riguardavano privati cittadini mai coinvolti in incarichi amministrativi o in procinto di farlo. In molti casi la commissione etica agiva direttamente su indicazioni della Casa Blu, equivalente sudcoreano della Casa Bianca.
L’inchiesta ha inoltre riportato al centro della scena mediatica la commissione etica della quale sette membri furono inquisiti per aver messo sotto sorveglianza due privati cittadini: la moglie di un parlamentare del partito di governo e un uomo d’affari la cui unica colpa fu quella di pubblicare un video su internet che faceva ironia su Lee per aver aperto nuovamente la Corea all’importazione della carne di manzo statunitense.
Sebbene lo scandalo affondi nella precedente amministrazione, sotto Lee il sistema sembra essere diventato più intrusivo, come dimostrato negli ultimi mesi le ammissioni dei membri della commissione accusati anche di aver distrutto le prove. Il mese scorso, scrive il New York Times, Chang Jin-soo, uno dei funzionari inquisiti, disse di aver ricevuto una chiamata da un assistente del presidente, Choi Jong-seok che lo esortava a non dare nessuna informazione sensibile durante il processo.
“Se hai bisogno di soldi, troveremo un modo”, sono le dichiarazioni che avrebbe fatto Choi, “Non è soltanto per me, ma anche per gli altri che rischiano di andare a fondo”. Prima che le connessioni con il presidente Roh venissero a galla, l’opposizione ha provato a cavalcare l’onda per avere un ritorno elettorale.
Per alcuni lo spirito della passata dittatura militare di Park Chung-hee che guidò il Paese negli anni Sessanta e Settanta è ancora vivo a Sud del 38esimo parallelo. Ironia della sorte, a guidare il partito di Lee, un tempo Gran National Party e ora chiamato New Frontier Party, è la figlia dell’ex dittatore, Park Geun-Hye.
Scrive l’Economist che la signora Park ha cercato di marcare le distanze da Lee, che la sconfisse nella corsa per diventare candidata dei conservatori alle presidenziali del 2007. Ora ne approfitta per criticare sia gli avversari esterni sia i rivali interni.
Il suo partito ha inoltre chiesto che la magistratura indaghi sulle rivelazioni. Una via più lunga rispetto alla commissione elettorale invocata dall’opposizione. Lo scandalo sembra però non aver avuto ripercussioni alle urne. Il New Frontier party ha conquistato 152 dei 300 seggi parlamentari, 25 in più del Partito democratico unito, principale movimento d’opposizione dato per favorito in questa tornata elettorale.
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