La figlia del dittatore contro l’oppositore. Sono Park Geun-hye e Moon Jae-in i due candidati di punta per le presidenziali del prossimo 19 dicembre, rispettivamente per i conservatori e per i liberali. L’ago della bilancia saranno tuttavia i sostenitori del magnate dell’informatica Ahn Cheol-soo. Il 19 dicembre i sudcoreani andranno ai seggi per eleggere il nuovo presidente. Si chiude così un anno in cui l’intera penisola ha visto cambiare la propria leadership. All’inizio del 2012 fu il regime di Pyongyang a rinnovare il proprio vertice, per la morte del Caro Leader, Kim Jong-un, stroncato un anno fa da un arresto cardiaco -questa la versione ufficiale- e con il consolidamento nei mesi successivi del potere del terzogenito Kim Jong-un.
La Corea del Sud si presenta al voto forte del poter diventare l’ottavo Paese al mondo per volume di scambi commerciali, superando i 1.000 miliardi di dollari e scalzando l’Italia. Nei giorni scorsi la stampa sudcoreana dava inoltre notizia del sempre maggiore attivismo delle società locali nel raggiungere accordi di fusione o acquisizione di aziende del Vecchio Continente. Proprio l’economia sarà uno dei temi al centro della campagna elettorale.
I candidati dovranno convincere gli elettori sui temi della sanità, sui modi per contrastare le sempre più alte rette universitarie, sulle fluttuazione dei prezzi immobiliari, sulla cosiddetta democrazia economica, ossia su come ridimensionare il ruolo e il potere dei grandi conglomerati nel tessuto economico sudcoreano.
Con l’uscita di scena di Ahn Cheol-soo, magnate del software e filantropo a lungo considerato l’outsider nella corsa alla Casa Blu, che ha ritirato la propria candidatura alla fine della scorsa settimana, in lizza restano in due: la leader conservatrice Park Geun-hye e il liberale Moon Jae-in.
La storia avrà il suo peso nella competizione, hanno ricordato con titoli simili sia il Financial Times sia il Korea Times. Semplificando la campagna dei due candidati può essere descritta come la sfida tra la figlia del numero uno del regime che modernizzò il Paese tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso calpestando tuttavia i diritti civili e l’avvocato e attivista democratico che da giovane studente durante quel regime finì in carcere per essersi opposto.
“Quando io lottavo contro la dittatura lei era nel cuore della regime”, ha detto Moon citato dall’Economist ricordando come ai tempi in cui Park Chung-hee fu l’uomo forte del Paese e la figlia era vista come la first lady di fatto dopo l’omicidio della madre per mano di un simpatizzante del regime nordcoreano.
Dal canto suo la candidata a cercato di collocare l’operato del padre in un contesto storico, sottolineando che all’epoca la scelta del pugno duro fosse l’unica via percorribile, ma chiedendo allo stesso tempo scusa alle vittime della repressione. Moon invece può puntare sul promuovere sé stesso come il successore di Roh Moo-hyun, figura di spicco per le sue politiche liberali, suicidatosi nel 2009, ma il cui operato è ancora considerato polarizzante.
Nonostante il passato paterno, Park, candidata per il Saenuri Party, è comunque in testa ai sondaggi e realisticamente ha buone possibilità di diventare la prima donna presidente della Corea del Sud. In questo senso i commentatori cercano di analizzare quanto possano pesare gli ultimi dati Ocse che mettono la Corea del Sud al primo posto su 28 Paesi per le disparità di reddito tra uomo e donna.
Sul Democratic United Party sotto la cui bandiera corre Moon pesa invece il non entusiasmante risultato nelle elezioni parlamentari dello scorso aprile quando i conservatori si imposero sebbene il gradimento sull’operato del attuale presidente Lee Myung-bak fosse in calo.
L’ago della bilancia saranno i sostenitori di Ahn. L’imprenditore degli antivirus prestato alla politica parlerà lunedì. Allora dovrebbe sciogliersi il nodo del suo appoggio a Moon. Il passo indietro è arrivato dopo settimane di tira e molla sui modi di presentare una candidatura unica del fronte liberale. Questo nella speranza di ricompattare un’area apparentemente meno coesa di quella conservatrice.
Ma i suoi voti fanno gola anche al fronte opposto anche perché, scrivono i commentatori politici, in molti avrebbero scelto Ahn attratti dalla sua figura di rottura, in polemica con i due maggiori partiti e non tanto per le proposte politiche, giudicate da molti ancora un po’ altalenanti, sebbene più vicine a quelle dei liberali.
Il terzo incomodo nella sfida (con scarse possibilità di successo) diventa quindi la candidata di sinistra Lee Jung-hee in corsa per lo United Progressive Party. Il partito è stato scosso quest’anno dagli scontri interni sulla posizione da assumere verso la Corea del Nord, diviso tra chi chiedeva di criticare le violazioni dei diritti umani e chi invece era più accondiscendente con Pyongyang, oltre che da scandali e polemiche sulla scelta di alcuni candidati.
Lee è la capofila dei candidati minori, gli altri quattro vedono schierati due attivisti per i diritti dei lavoratori, un avvocato specializzato nel difendere gli adolescenti e il più vecchio del gruppo, un imprenditore ottantaquatrenne.
Infine i programmi. Sia Park sia Moon parlando di migliorare le relazioni con la Corea del Nord, dopo il gelo del quinquennio di Lee Myung-bak al governo, ma chiedono che Pyongyang si assuma le proprie responsabilità sull’attacco contro la corvetta Cheonan a marzo del 2010 , costato la vita a 46 marinai, e chieda scusa per il bombardamento dell’isola di Yeongpyeong a novembre dello stesso anno che fece 4 morti, nel più grave incidente dall’armistizio del 1953.
In economia puntano entrmabi a ridurre le diseguaglianze nella quarta economia dell’Asia. Ma il rischio è che la campagna si riveli una battaglia tra gli estremi dello spettro politico sudcoreano, sebbene entrambi i candidati si collochino più verso il centro dei rispettivi schieramenti.
[Foto credit: timesofmalta.com. Infografica Han Chang-duk per il koreaherald.com]