Dall’economia al commercio, dalla politica alla geopolitica: ecco tutte le sfide del 2022 di Pyongyang. Articolo a cura di Alessandra Coletti in collaborazione con SIR – Students for International Relations dell’Università degli Studi di Milano.
Il 2022 rappresenta per la Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC) un anno impegnativo e colmo di sfide, sia per quanto riguarda la politica interna che la politica estera, a causa della posizione occupata dalla nazione nello scacchiere geopolitico globale. Recentemente al centro dell’attenzione internazionale, la RPDC ha effettuato un totale di quattro lanci missilistici nelle ultime due settimane. Le motivazioni dietro le azioni del leader Kim Jong-un possono essere attribuite a diversi fattori: da una prova di forza verso gli Stati Uniti e le sanzioni imposte in seguito al primo test, ad un esperimento nell’ambito dell’ambizioso nuovo piano di modernizzazione militare, fino al segnalare che nonostante le difficoltà incontrate dal paese, la difesa nazionale non verrà messa da parte.
La Corea del Nord sta affrontando un periodo estremamente complesso dovuto alla pandemia globale, alla chiusura del flusso commerciale transfrontaliero con la Cina e il conseguente isolamento autoimposto, nonché alle sanzioni internazionali che gravano sull’economia e la grave insicurezza alimentare in cui versa la popolazione.
Nel 2022 la RPDC ha deciso di porre particolare attenzione alla politica interna proprio per rispondere a questa difficile situazione, concentrandosi su una serie di obiettivi che possono essere racchiusi all’interno di due macrocategorie: lo sviluppo economico ed il miglioramento della vita della popolazione. È stato sottolineato, all’interno del discorso tenuto da Kim Jong-un venerdì 31 dicembre, come quest’anno rappresenti “una grande lotta di vita e di morte che deve essere condotta con vigore e con successo”1.
Il raggiungimento di questo traguardo sarà possibile attraverso una moltitudine di azioni, dalla modernizzazione delle industrie ed un aumento della loro produttività, attraverso un ambizioso piano di sviluppo rurale che i funzionari ed i lavoratori agricoli si dicono pronti ad esercitare “pieni di zelo per tradurre in realtà brillante la volontà fissa e la risoluzione del Partito di risolvere completamente il problema alimentare”.
Mai come nell’ultimo anno, il leader Kim Jong-un si è espresso così esplicitamente sul problema alimentare che stringe il paese in una morsa e sulle condizioni in cui versa la popolazione, invocando il “compito importante per fare progressi radicali nella soluzione del problema del cibo, del vestiario e dell’alloggio per il popolo”.2 Infatti, il nodo critico e centrale della futura politica nordcoreana è rappresentato dalla necessità di aumentare la produttività agricola del paese, portandola più vicina a soddisfare le esigenze della popolazione, introducendo nuovi metodi scientifici che dovrebbero rendere l’agricoltura indipendente dai fenomeni e cambiamenti atmosferici.
Nonostante non venga riportata dalla Corea del Nord l’effettiva scarsità di cibo e difficoltà affrontata dalla popolazione, la Food and Agriculture Organization (FAO) inserisce la Repubblica Democratica Popolare di Corea all’interno della lista dei paesi bisognosi di assistenza esterna per il cibo, in quanto vengono riscontrati “Bassi livelli di consumo alimentare, scarsa diversità alimentare, crisi economica”3 nel dicembre del 2021. La povertà e malnutrizione esistenti in Corea del Nord non sono certo fenomeni recenti e come tali sono cementati nell’immaginario collettivo occidentale, tuttavia, la situazione sembra aver raggiunto un punto critico. Il raccolto del 2020 è stato largamente compromesso dalle condizioni metereologiche avverse che si sono verificate lungo la costa, mentre nel 2021 la mancanza di cibo è stata esasperata da siccità nei mesi estivi e dalle successive inondazioni, che hanno reso impraticabile vaste porzioni del territorio.
Nell’aprile scorso Kim Jong-un ha perfino esortato la popolazione ad intraprendere un’altra “marcia ardua”, termine riferito al periodo di carestia che la RPDC ha affrontato tra il 1994 ed il 1998. Con la fine della guerra fredda, il crollo dell’URSS e la perdita di questo alleato come fonte di supporto, a causa delle condizioni metereologiche avverse e piani quinquennali inflessibili, si stima siano morte tra le 500 e le 600 mila persone. Lo scorso giugno, ha invece parlato di una situazione alimentare “tesa” e della mancata produzione di grano, dovuta alla pandemia ed alle avverse condizioni climatiche del 2020.
Oggi, l’interruzione del commercio tra la Corea del Nord e la Cina ha contribuito all’aggravarsi dell’insicurezza alimentare della popolazione. Da gennaio 2020 la RPDC ha interrotto tutte le attività commerciali con la Cina per prevenire la diffusione del Covid-19, compresi i beni agricoli e gli aiuti umanitari. La Cina è il principale partner e supporter economico che contribuisce al fabbisogno del paese attraverso l’esportazione di cereali, fertilizzante e macchinari agricoli, in virtù del ruolo geopolitico della RPDC, una sorta di “zona di cuscinetto” da frapporre con gli Stati Uniti ed i suoi alleati. Fornire aiuti economici alla RPDC significa anche cercare di impedire l’immigrazione di dissidenti sul proprio territorio in quanto, secondo l’ottica cinese, causano un peso maggiore sulle infrastrutture, possono contribuire al traffico illecito di droga ed armi al confine, ed aumentano il rischio di una minaccia biologica derivante dalle malattie, di cui secondo la Cina possono essere portatori.
Nonostante il United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) nel suo Global Humanitarian Overview abbia collocato la Corea del Nord tra i tre paesi in Asia con i bisogni più urgenti, insieme a Myanmar e Afghanistan, il piano di risposta umanitaria delle Nazioni Unite non la include. Per il secondo anno di fila, infatti, il paese viene escluso dagli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, sembra a causa della complessità riscontrata nel fornire tale assistenza. L’accesso al territorio nazionale è possibile solo attraverso specifiche modalità predisposte dalla leadership nordcoreana, che però preferisce recepire in prima persona i beni forniti per poi provvedere in autonomia ad una loro ridistribuzione, impedendo di fatto ai volontari e personale non solo di circolare liberamente ma anche di entrare fisicamente all’interno dello Stato.
È in effetti problematico monitorare i progressi e la distribuzione degli aiuti umanitari percepiti dal governo, che vuole assicurarsi il monopolio su tale direzione per mantenere saldo il suo potere e la sua influenza, mentre i paesi che forniscono assistenza, tra i quali annoveriamo principalmente gli Stati Uniti e la Corea del Sud oltre alla Cina, vogliono assicurarsi che essi giungano alle fasce più deboli della popolazione. Nel settembre del 2019, ancor prima che scoppiasse la pandemia da Covid -19, la RPDC chiese alle Nazioni Unite di diminuire il personale internazionale presente nel paese in quanto, secondo il governo nordcoreano, i programmi umanitari dell’organizzazione sono falliti a causa della politicizzazione dell’assistenza fornita da parte di “forze ostili”. Con lo scoppio della pandemia e la completa chiusura delle frontiere la Corea del Nord si è maggiormente isolata, specialmente a seguito del ritorno in patria di numerose squadre diplomatiche presenti sul territorio. Quindi monitorare l’assistenza fornita alla popolazione è diventata un’impresa impossibile.
La mancanza di cooperazione della RPDC nei confronti delle Nazioni Unite e della comunità internazionale rende complesso fornire aiuti al paese, in quanto spesso le condizionalità richieste non abbracciano solamente uno stretto monitoraggio delle risorse fornite, ma anche una diminuzione dell’arsenale militare nucleare nordcoreano, al quale il paese non intende rinunciare.
Di Alessandra Coletti