Durante la pandemia si è discusso a lungo della risposta dei paesi asiatici, spesso sottolineando la loro capacità organizzativa in grado di gestire al meglio il dilagare del coronavirus. Spesso, però, si sono mischiati paesi molto diversi tra loro e si sono evidenziati gli elementi che più avvicinano quei paesi al nostro. In alcuni casi, poi, si è parlato di “modelli” come potessero essere applicati anche in altre realtà occidentali. In realtà la risposta asiatica, variegata e diversificata, ha posto come elemento dominante del discorso il sistema valoriale dei vari paesi. Per questo motivo abbiamo posto alcune domande sul confucianesimo ad Elena Ziliotti, assistant professor di etica e filosofia politica all’Università tecnica di Delft, Olanda,per indagare più a fondo alcuni elementi del confucianesimo provando a comprendere le affinità o meno con il nostro sistema di valori e le sue peculiarità asiatiche.
Che senso ha parlare di Confucianesimo nel 2020?
Negli ultimi anni, l’Asia orientale è stata oggetto di una grande trasformazione socioeconomica. Il Giappone fu il primo paese della regione a industrializzarsi e svilupparsi. Ma sebbene il caso del Giappone suscitò forte curiosità nel resto mondo, molti lo considerarono una sorta di “anomalia” e sicuramente non una minaccia alla supremazia economica e geopolitica dell’Occidente. Questa idea cominciò a vacillare quando i cosiddetti “Quattro piccoli draghi” (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, e Hong Kong) seguirono l’esempio del Giappone. A questo punto, fu chiaro che il dinamismo del Giappone e dei quattro piccoli draghi non era un’anomalia ma l’espressione di una tendenza più ampia che caratterizzava l’intera regione sinica. Lo sviluppo della Cina confermò questa previsione. Nel caso della Cina, i risultati delle riforme economiche contro la povertà furono impressionanti. Dal 1981 al 2005, il tasso di povertà in Cina scese dall’85% al 15%. Questo è l’equivalente di 600 milioni di persone sollevate dalla povertà.
Di fronte a questi eventi, molti osservatori hanno iniziato a chiedersi quale sistema istituzionale possa soddisfare i nuovi bisogni di queste moderne società industrializzate restando al contempo in sintonia con le loro tradizioni e aspetti culturali più distintivi. I paesi dell’Asia orientale dovrebbero trasformarsi in democrazie o consolidare le loro istituzioni democratiche già esistenti? Dovrebbero forse abbracciare i principi liberali alla base delle democrazie europee o piuttosto attingere alle proprie tradizioni culturali per creare valori e sistemi politici che riflettano al meglio le culture?
Questo è un dibattito filosofico, ma le sue implicazioni vanno ben oltre la filosofia poiché possono influenzare il futuro dell’Asia orientale e alterare l’equilibrio politico globale. Trainata dalla Cina, l’intera regione sta, infatti, diventando sempre più ricca. Sempre più affari e ricchezza stanno convergendo o si stanno producendo nella regione. Quindi, la posta in gioco è alta per tutti: molto probabilmente ciò che accadrà nell’Asia orientale influenzerà la vita anche degli europei e del resto del mondo.
Memori degli effetti dello spietato colonialismo europeo e dell’intervento militare americano nella regione, molti credono che se l’Asia orientale assumerà una posizione di leadership a livello globale, questo dovrà avvenire in ‘modo’ asiatico. La Cina, in primis, insieme alle altre nazioni nella regione dovranno attingere alle proprie risorse filosofiche per costruire il loro futuro politico. Proprio in questo dibattito, il confucianesimo è da qualche anno a questa parte emerso come il principale candidato a guidare questa trasformazione. Da qui, il rinnovato interesse del confucianesimo in Asia orientale e nel mondo.
Ma perché il confucianesimo sembra essere il miglior candidato per guidare la rinascita dell’Asia orientale, piuttosto che altre tradizioni come il buddismo o il daoismo?
In primo luogo, il confucianesimo ha storicamente avuto un ruolo centrale nel panorama politico e culturale della regione. Il confucianesimo originò dagli insegnamenti di Confucio (551-479 a.C.). Dopo la morte di Confucio, i suoi seguaci furono in grado di organizzare i suoi insegnamenti in un sistema di credenze più coerente che si affermò come la tradizione dominante tra gli intellettuali cinesi. Da forza intellettuale dominante in Cina, il confucianesimo si espanse alle élite fino a diventare l’ideologia ufficiale dello stato imperiale. Si immagini che fin dalla dinastia Han in Cina (II secolo a.C.), i testi confuciani furono oggetto di studio per gli esami imperiali (il sistema con cui venivano selezionati i funzionari imperiali) e, nonostante le numerose modifiche a questi sistemi d’esame, i testi confuciani rimasero all’interno del curriculum fino al 1905, quando gli esami imperiali vennero sospesi in Cina.
Dai circoli di governanti e studiosi, il confucianesimo si diffuse a tutti gli altri strati della popolazione cinese e ad altri paesi limitrofi per diventare la corrente di pensiero principale nel mondo sinico. Un altro motivo per la rinascita del confucianesimo è che il sistema valoriale di molti asiatici orientali contemporanei rimane fortemente confuciano. Sebbene pochi asiatici orientali oggi si definiscano confuciani, molti praticano valori confuciani come l’enfasi sulla solidarietà familiare, pietà filiale, subordinazione dell’individuo al gruppo, armonia sociale, organizzazione sociale, duro lavoro, frugalità e istruzione come moralmente edificante e come strada per il successo personale e familiare. Ad esempio, nell’Asia orientale confuciana, ci si aspetta che le persone si sacrifichino per la propria famiglia e si insegna loro che dovrebbero essere disposte a sopportare difficoltà a livello individuale per il benessere generale della famiglia.
Un altro motivo della rinascita politica del confucianesimo è che il confucianesimo ha ancora una forte autorità simbolica sia tra la gente che tra i leader politici. Ad esempio, il partito comunista cinese è il partito al governo della Cina, ma Xi Jinping cita sempre più Confucio che Mao nei suoi discorsi pubblici. Si può replicare che questa è una mossa strategica per colmare il vuoto spirituale causato dalla forte ricerca di prosperità in Cina (a questo proposito, ricordiamoci che uno dei principali slogan di Deng Xiaoping agli inizi degli anni 80 era “Essere ricchi è meraviglioso”).
Ma in ogni caso, l’uso del confucianesimo da parte del partito comunista cinese indica che la leadership del partito ritiene che oggi il confucianesimo abbia una forte presa sul popolo cinese.
Naturalmente, la lunga storia del confucianesimo rende impossibile parlare di un solo confucianesimo. Il confucianesimo ha subito molte trasformazioni o riformulazioni nel tempo, come evidenziato dall’ascesa di movimenti intellettuali come il confucianesimo classico, il neo-confucianesimo e il nuovo confucianesimo. Per questo motivo, quando parliamo di “confucianesimo”, stiamo semplificando e mettendo da parte importanti dibattiti accademici.
Come il confucianesimo potrebbe adattarsi alle democrazie?
Alcuni studiosi ritengono che il confucianesimo sia incompatibile con la democrazia. A loro avviso, la democrazia si basa sull’idea di uguaglianza e libertà individuale, mentre il confucianesimo sostiene una distribuzione ineguale del potere dove i più competenti e virtuosi decidono a nome di tutti. Tuttavia, il confucianesimo e la democrazia già coesistono in pratica. Delle sei cosiddette società storicamente confuciane (Cina, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Singapore e Taiwan), quattro sono democrazie (Giappone, Corea del Sud, Singapore e Taiwan). Inoltre, il legame tra democrazia e confucianesimo può sembrare incoraggiante se si considera la florida situazione sociale ed economica di questi paesi.
Per essere chiari, queste democrazie sono piuttosto giovani: Singapore ottenne l’indipendenza dalla Malesia nel 1965. In Corea del Sud, le riforme democratiche iniziarono solo nel 1987. Allo stesso modo, Taiwan abbracciò la democrazia alla fine degli anni ’80. La democrazia “più vecchia” della regione è il Giappone, al quale gli Stati Uniti imposero un sistema democratico durante la loro occupazione dal 1945 al 1952 (se si esclude la sperimentazione della democrazia parlamentare nel periodo Taishō (1912-1926)). Quindi, dovremmo stare attenti nell’esprimere qualsiasi giudizio finale sulla compatibilità del confucianesimo con la democrazia. La realtà suggerisce che i valori confuciani possono essere praticati all’interno di un quadro democratico sociopolitico, ma la ricerca della democrazia confuciana è ancora in corso.
Si potrebbero obiettare che il legame tra confucianesimo e istituzioni democratiche che vediamo nelle democrazie dell’Asia orientale è il prodotto di necessità storiche. E come tale, non è sufficiente a giustificare la loro compatibilità a livello teorico. Tuttavia, a mio avviso, i confuciani contemporanei hanno diverse ragioni per sostenere la democrazia. In primo luogo, nel confucianesimo, il benessere morale e materiale delle persone è il principale l’obiettivo del buon governo. La crescita morale delle persone (huamin) ha valore in sé e il loro benessere materiale è una precondizione per impegnarsi nella coltivazione morale.
Quindi, un buon governo deve “prendersi cura” delle persone, fornendo loro condizioni materiali sufficienti e opportunità concrete per crescere moralmente. Secondo questo approccio, un processo decisionale è giustificato nella misura in cui difende e promuove il benessere delle persone meglio di altre forme di governo, perché lo scopo ultimo della politica è creare un cambiamento positivo nel mondo umano.
Questa idea di buon governo apre il confucianesimo a possibili sperimentazioni istituzionali per il bene generale delle persone. Afferma che un processo decisionale democratico è più o meno giusto in base ai risultati che può generare per il benessere delle persone. Da questa prospettiva, la domanda per i confuciani contemporanei è: qual è il miglior sistema politico per il benessere delle persone in una società sviluppata e industrializzata, come le società nella regione sinica? È la democrazia, il governo dei pochi capaci e virtuosi, o il governo di uno solo?
La risposta a questa domanda dipende dal tipo di problemi che le società contemporanee devono affrontare. Queste devono risolvere problemi complessi che richiedono le conoscenze di agenti politici diversi, come esperti, leader politici, ma anche i cittadini stessi. Consideriamo un tema politico molto caldo ora in Italia: l’immigrazione. Una soluzione efficace ai problemi dell’immigrazione dipende da diversi fatti empirici riguardanti la relazione tra l’economia del paese, le sue proiezioni di crescita, il suo sistema di welfare, le sue caratteristiche geografiche, culturali e urbane e il contesto politico internazionale. Questi fatti sono generalmente conosciuti da diversi gruppi di esperti.
Tuttavia, conoscere questi fatti è insufficienti per raggiungere politiche immigratorie efficaci. Una soluzione ai problemi dell’immigrazione che può migliorare il benessere pubblico dipende anche dai giudizi ponderati del pubblico. Le persone comuni vivono nel loro quotidiano gli effetti delle decisioni politiche. Quindi, possono offrire preziose informazioni su quali sono i problemi o come le cose potrebbero migliorare sia a livello locale che nazionale. Ora, si pensi alla quantità di informazioni che sono necessarie per risolvere efficacemente i problemi dell’immigrazione. Come possono alcune persone non solo conoscere ma anche coordinare tutte queste informazioni? Chiaramente, questo compito va oltre ogni capacità umana. In confronto al governo dei pochi o di uno solo, la democrazia ha il vantaggio di essere un’attività collettiva, che integra le opinioni di diversi attori e distribuisce il potere decisionale tra i membri della società.
Si noti che ciò che conta per una democrazia per raggiungere decisioni politiche giuste non sono tutti i giudizi dei cittadini ma i loro giudizi ponderati, nel senso che quando i cittadini sono chiamati ad esprimere delle opinioni e ad esercitare potere politico in modo collettivo (come durante le elezione o un referendum), la maggior parte dei votanti deve comprendere ciò su cui sta votando. Ritornerò su questo punto tra poco. Per ora, è importante capire che, da una prospettiva confuciana, il processo decisionale deve essere aperto ai giudizi dei cittadini, alle loro aspettative e anche alle loro paure se si vuole trovare una soluzione praticabile efficace. Questo giustifica la partecipazione democratica dei cittadini. Mentre la partecipazione politica può aprire il processo decisionale all’influenza delle diverse opinioni dei cittadini, l’esercizio collettivo del potere politico dei cittadini sul processo decisionale può garantire che i politici prendano sul serio gli interessi del pubblico. Mezzi istituzionali, come le elezioni periodiche, rendono il processo decisionale più sensibile alle preferenze di molti cittadini. Quindi, per i confuciani la democrazia non è giustificata da ideali come il diritto dei singoli all’auto governo o ad esprimere la loro autonomia. Questi, sono valori molto importanti nelle società occidentali ma meno apprezzati in un contesto confuciano.
Ora, torniamo alla competenza politica dei cittadini. La crisi in corso delle democrazie occidentali sembra confutare la difesa della democrazia appena discussa. Alcuni critici sostengono che molti elettori in occidente sono tutt’altro che informati. Quando si parla di politica, la maggior parte di loro è profondamente ignorante! Peggio ancora, molti non hanno interesse a comprendere le questioni politiche, ma supportano i loro leader politici come i tifosi fanno in una partita di calcio: alla cieca e indipendentemente da ciò che accade intorno a loro. In queste condizioni, come si può dire che la partecipazione democratica dei cittadini aiuta il processo decisionale a raggiungere decisioni migliori? Non sarebbe forse meglio delegare più potere decisionale a chi ha una conoscenza della politica profonda e è veramente interessato o interessata al bene comune?
Alcuni studiosi ritengono che questa soluzione (‘il calcio ai tifosi e la politica ai politologi’) sia la strada migliore per i paesi dell’Asia orientale. Io non sono d’accordo. La loro critica alle democrazie occidentali presume che i nostri sistemi democratici permettono agli elettori di sviluppare un’opinione politica razionale e informata. Ma questo è totalmente sbagliato. Si pensa a come l’elettore italiano medio si informa. La maggior parte di noi ha poco tempo per informarsi su questioni politiche (molti di noi lavorano e hanno una famiglia a cui badare). Quindi, per informarci usiamo delle cosiddette “scorciatoie” per risparmiare tempo ed energia: ci informiamo attraverso la lettura dei giornali, delle enciclopedie, ascoltando dibattiti televisivi, opinionisti e attraverso la cosa che è sempre con noi: il telefonino. Leggiamo gli articoli che i nostri contatti hanno condiviso su Facebook e condividiamo le dichiarazioni politiche dei nostri personaggi preferiti su Twitter.
Uno dei problemi che nascono da questo modo di informarsi è che Internet e i social media hanno facilitato la circolazione di informazioni vecchie o fake news. Ciò influisce sul flusso di informazioni perché l’elettore pensa di essere perfettamente informato ma, in realtà, lei o lui è disinformato perché ha usato scorciatoie difettose senza nemmeno saperlo. Si pensi alla tecnologia deep-fake che consente la creazione di video o foto falsi che sono indistinguibili dai video reali. In conclusione, non credo che i problemi delle democrazie occidentali siano dovuti ai limiti cognitivi del votante medio. Uno dei problemi principali è che il sistema dei media e gli espedienti che dovrebbero aiutarci a fare una scelta informata non funzionano come dovrebbero. La soluzione perciò non è dire addio alla democrazia, ma riparare il nostro sistema d’informazione.
In che modo il confucianesimo determina le caratteristiche dei leader asiatici?
Molte persone in Asia orientale hanno un forte rispetto per valori confuciani, come l’istruzione, l’ordine e l’armonia sociale. Questo li induce ad avere aspettative politiche diverse dalle nostre e cercare tipi di leder politici diversi. Come spiegavo prima, nel confucianesimo, il benessere delle persone è un obiettivo fondamentale per lo stato e anche uno dei criteri principali attraverso cui i cittadini valutano i leader politici. Questo innesca comportamenti molto interessanti perché il supporto popolare è principalmente determinato da ciò che i leader politici fanno, non da ciò che promettono di fare.
Un esempio che colpisce molti occidentali è il caso di Singapore. La trasformazione di Singapore dopo la separazione dalla Malesia nel 1965 ha richiesto notevoli sacrifici da parte della sua popolazione. I primi trent’anni sotto il primo ministro Lee Kuan Yew, leader e fondatore del People Action Party (PAP), sono stati caratterizzati da una significativa repressione sociale, politica e culturale. Oltre all’espropriazione di terre di proprietà privata e regole paternalistiche sull’uso dello spazio pubblico, diversi leader dell’opposizione furono arrestati prima delle elezioni. Negli anni ’60 furono emanate forti restrizioni alla libertà di stampa e normative per mettere i media tradizionali sotto il controllo del governo in nome della stabilità nazionale.
Ancora oggi l’autoritarismo della prima generazione di leader del PAP influisce sul rapporto del PAP con la popolazione, generando un forte risentimento in una parte della popolazione ed è alla base di forti critiche al PAP. Eppure, e questa è la cosa curiosa per un osservatore occidentale, il successo delle riforme economiche ha sempre garantito al PAP una forte legittimità popolare che gli ha permesso di governare quasi incontrastato fino ad oggi.
Il caso di Singapore suggerisce che nell’Asia orientale c’è più pragmatismo politico che in Occidente. Se praticato con moderazione, questo pragmatismo politico è salutare per la democrazia perché’ incoraggia i politici a discutere i problemi reali della gente, a prendere decisioni e realizzare progetti, evitando che il dibattito politico si blocchi in scontri ideologici.
Oltre al pragmatismo politico, l’armonia sociale, il duro lavoro, e l’istruzione sono valori confuciani che continuano ad influire sulla politica in Asia orientale. In Giappone, i leader politici devono dimostrare che stanno compiendo il massimo sforzo per mantenere l’armonia sociale e hanno a cuore il benessere delle diverse parti sociali. In queste società, anche gli intellettuali e gli esperti godono di un forte rispetto. In campagna elettorale, i partiti politici di Singapore pubblicizzano i risultati accademici e professionali dei loro candidati e i telegiornali trasmettono i curricula dei candidati affinché i cittadini possano stabilire chi è più adatto a rappresentarli. Al contrario, i politici occidentali tendono a nascondere i loro risultati accademici. Salvini ha studiato in un liceo classico, ma molti dei suoi discorsi violano le regole basilari della logica. Ovviamente Salvini è tutt’altro che stupido e ha un motivo ben preciso per adottare questa retorica.
Questo sistema valoriale crea un clima politico e una classe politica molto diversi da quelli delle democrazie occidentali. A Singapore, un modo in cui i partiti politici emulano questi ideali è nella selezione dei membri del partito. La ricerca pubblica di personaggi eccezionali è sempre stata uno dei punti di forza del PAP. Come sosteneva Lee Kuan You: il paese “ha bisogno dei cittadini più abili, quelli con acume intellettuale e sociale, per svolgere ruoli di leadership nell’economia, nell’amministrazione e in politica”. Questa idea sembra plasmare il reclutamento dei membri del PAP da anni. I pochi studi sul meccanismo di selezione intrapartitico del PAP confermano la tendenza del PAP a selezionare i suoi membri in base alla loro eccellenza accademica e l’eccezionale lavoro svolto.
Naturalmente, l’enfasi sull’istruzione e sul duro lavoro generano anche importanti problemi sociali. Uno dei principali problemi sono le divisioni sociali tra coloro che pensano di avere diritto alla loro posizione sociale in base ai loro risultati personali e coloro che non si sentono “abbastanza intelligenti” da contare. Queste divisioni purtroppo influiscono anche sul diverso trattamento dei lavoratori stranieri, gli immigrati impegnati in lavori manuali vengono spesso considerati non al pari dei locali o dei cosiddetti ‘expats’.
Il grande riconoscimento per l’istruzione e il duro lavoro crea anche forti ansie e pressioni sui giovani e familiari più stretti. I sistemi educativi dell’Asia orientale sono rinomati per essere estremamente competitivi. Qui i bambini trascorrono la maggior parte della loro infanzia studiando. La giornata di uno studente medio è divisa tra scuola e centri di insegnamento privati. A scuola, i bambini devono competere l’uno contro l’altro per ottenere voti migliori che consentono di accedere nelle scuole più prestigiose. L’accesso a queste scuole, a sua volta, garantisce agli studenti maggiori possibilità di ottenere quello che è socialmente riconosciuto come un ‘lavoro da sogni’. Ma gli studenti che si trovano a disagio in questa rigida struttura competitiva, finiscono per essere stigmatizzati dai loro familiari, colleghi e dal resto della società.
Ci sono differenze oggi tra Cina, Singapore e Corea del Sud in questo senso?
Sì, molte differenze. Il rispetto per i leader e l’obbligo di questi di difendere il benessere delle persone si esprimono in sistemi istituzionali diversi, mescolandosi con altri ideali politici. Questo dà luogo a diversi modi di fare politica. Si pensi a come la Cina, la Corea del Sud e Singapore hanno reagito e gestito la pandemia.
In Cina, la volontà della leadership politica di controllare l’emergenza si è manifestata attraverso un meccanismo “dall’alto verso il basso”. Ci sono volute un paio di settimane prima che le autorità politiche prendessero provvedimenti, ma una serie di soluzioni draconiane è stata rapidamente messa in atto quando il governo centrale di Pechino ha realizzato la gravità della situazione. Ciò cui abbiamo assistito è stata una strategia “whatever it takes”; Pechino ha utilizzato tutti i mezzi disponibili (anche sperimentandone alcuni). La tecnologia è stata in prima linea nella guerra al virus, con i droni che seguivano le persone che violavano il lock down, e il coordinamento dei singoli movimenti attraverso la rete di telecamere a circuito chiuso già presente sul territorio.
La risposta di Pechino è stata quindi fortissima. Tale risposta, che ha lasciato molti occidentali impressionati (si pensi alle immagini delle costruzioni in pochi giorni dell’ospedale da campo a Wuhan per ospitare 10.000 pazienti), è dipesa non solo dalla volontà politica della leadership del governo centrale ma anche dal sistema politico cinese. Il rapporto tra governo centrale e province è complesso, ma consente al governo centrale di esercitare un’autorità incondizionata quando si verificano situazioni drammatiche senza precedenti.
L’esercizio del potere politico in un quadro democratico è più complicato perché è un’attività condivisa. In una democrazia, nessun attore politico ha il diritto di decidere da solo e incondizionatamente. I membri del pubblico esercitano periodicamente potere politico collettivamente e lo stato di diritto è indipendente dall’esecutivo in modo che l’esercizio dell’autorità politica da parte del governo sia conforme alla legge. Quindi, i meccanismi istituzionali democratici e lo stato di diritto fanno in modo che il potere politico in una democrazia operi diversamente da come opera in Cina.
Si potrebbe, quindi, dire che un sistema politico autoritario è migliore per gestire emergenze, come una pandemia?
Alcuni studiosi sostengono questa tesi. La loro idea è che a causa della complessità del suo processo decisionale, la democrazia è un “processo lento” se paragonata ai regimi autoritari ed è quindi svantaggiata quando deve reagire ad emergenze imprevedibili o richiedere il sacrificio di molti cittadini. Questa tesi è diventata abbastanza popolare in primavera, quando la Cina mostrava un’organizzazione impeccabile e un robusto impegno della leadership politica nella gestione dell’emergenza, mentre l’Europa era in caos.
A mio avviso, questa è una tesi superficiale che non coincide con ciò che è accaduto in Asia orientale durante i primi mesi della pandemia. La Cina ha dimostrato grandi capacità coordinative e gestionali, ma le democrazie dell’Asia orientale non sono state da meno. La Corea del Sud è forse uno dei paesi che sono stati in grado di affrontare la pandemia in modo più efficiente. La Corea del Sud ha sperimentato non solo la SARS nel 2002-2003, ma anche la MERS (la sindrome respiratoria del Medio Oriente) nel 2015, quando 25 persone morirono. Questo numero ci sembra abbastanza trascurabile in confronto ai morti di COVID-19, ma all’epoca causò una forte indignazione pubblica nella Corea del Sud. L’indignazione della gente fu anche motivata da come il governo gestì l’emergenza. Il governo e gli ospedali ritennero le informazioni sulle condizioni di salute delle persone affette da MERS, rendendo più difficile la gestione dell’emergenza.
Dopo MERS, l’assemblea nazionale sudcoreana approvò una serie di leggi per regolare l’uso governativo dei dati privati in caso di emergenza. La presenza di queste leggi è stata un grande vantaggio per la Corea del Sud all’inizio della pandemia COVID-19 perché le ha fornito le misure legali appropriate per reagire in modo tempestivo. Certo, queste leggi non sono perfette, tuttavia hanno permesso alla Corea del Sud di elaborare una prima risposta tempestiva all’emergenza.
Il caso della Corea del Sud ci insegna che la democrazia può essere efficace ed intelligente se impara dai suoi errori e se c’è la volontà della classe politica e dei cittadini di cooperare verso obiettivi collettivi positivi. Infatti, il governo coreano ha imparato la lezione dalla MERS e ha gestito la pandemia COVID-19 in modo molto più trasparente di prima. Ma anche i cittadini della Corea del Sud hanno imparato la lezione: quando le regole di emergenza all’inizio della pandemia sono entrate in vigore, i cittadini le hanno rispettate e sostenuto il loro governo.
La situazione a Singapore era più complicata che in Corea del Sud, ma sostanzialmente ci porta a pensare che un’efficace leadership politica sia possibile in una democrazia. Come la Corea del Sud, Singapore ha sperimentato la SARS nel 2002, quindi alcuni protocolli di emergenza erano già disponibili. Inoltre, le telecamere a circuito chiuso sono diffuse quasi ovunque sull’’isola. Ma Singapore non ha diritti costituzionali sulla protezione della privacy. Questo ha in parte innescato un “problema di fiducia” tra i cittadini e il governo, quando questo ha chiesto di poter tracciare gli spostamenti dei cittadini. I leader di Singapore hanno sopperito questo vuoto istituzionale non violando la privacy dei cittadini ma con una buona governance: rigide regole di contenimento, risorse economiche immediate per sostenere l’economia locale, e un tracciamento dei contagi caso per caso che avrebbe fatto impallidire Sherlock Homes.
Si dice spesso che in Cina la democrazia non c’è mai stata e quindi non si capisce perché dovrebbe essere un modello per i cinesi. Ma è davvero così? In Cina il confucianesimo non ha mai incontrato afflati democratici (in senso occidentale del termine)?
Beh, il fatto che qualcosa non fosse presente in passato, non significa che non ci siano buone ragioni per realizzarlo in futuro. La sostenibilità ambientale non è mai stata molto importante in passato, eppure oggi ne abbiamo un disperato bisogno!
Naturalmente, il passato conta molto per i cinesi. Per loro, discutere del passato è un modo per parlare del futuro (qualcosa di un po’ strano per noi occidentali, ma che in parte spiega il nuovo interesse per il confucianesimo). Tuttavia, oltre al rispetto per il passato, anche il pragmatismo politico e la volontà di difendere il benessere delle persone sono al centro dello spirito confuciano. Quindi, il passato non può essere l’unico criterio per giustificare o meno la necessità di riforme politiche.
Detto questo, la democrazia non è nuova in Cina. La democrazia fu al centro di numerosi dibattiti e movimenti nella storia della Cina moderna. Ad esempio, è uno dei tre principi fondamentali della filosofia politica di Sun-Yat Sen (1866-1925), il primo leader del Kuomintang e il primo presidente della Repubblica di Cina. In “I tre principi del popolo”, Sun propone un sistema costituzionale democratico, con sistemi di controllo ed equilibro istituzionali e elezioni periodiche. Tuttavia, Sun era preoccupato per la qualità della leadership politica nelle democrazie. Secondo Sun, “durante le elezioni, le persone dotate di eloquenza si ingraziano il pubblico e vincono le elezioni, mentre quelli istruiti e con forti ideali che mancavano di eloquenza vengono ignorati. Di conseguenza, i membri della Camera dei rappresentanti americana sono spesso sciocchi e ignoranti “. Per evitare “gravi carenze rispetto ai funzionari eletti e nominati”, Sun propose di contrastare la bassa qualità dei politici esaminando la loro competenza prima di assumere l’incarico.
La democrazia fu anche alla base del Movimento del 4 maggio. Questo fu un movimento studentesco e intellettuale alla fine degli anni Venti che cercò di promuovere una nuova cultura cinese basata sull’idea di progresso su basi scientifiche e antitradizionali. Il movimento adottò Mr Democracy e Mr Science come valori principali, contro Mr Confucius e portò alla nascita del partito comunista cinese nel 1921. Inoltre, la democrazia fu anche l’obiettivo di diversi movimenti politici di ampia portata, il minyun, intorno agli anni ’70 e ’80.
Quindi, la democrazia non è del tutto nuova in Cina. Ma è anche scorretto dire che la Cina non si è mai impegnata in esperimenti democratici. Basta guardare alla Cina oggi. Negli ultimi anni, la Cina ha sperimentato sempre più numerose pratiche partecipative, tra cui consultazioni pubbliche e deliberazioni pubbliche all’interno di sedi controllate. Le ragioni di queste sperimentazioni non sono quelle che gli occidentali si aspetterebbero: sono determinate da reali esigenze politiche, non da convinzioni ideologiche. Quindi, dobbiamo fare attenzione a non fraintendere questi esperimenti democratici.
Il governo di Pechino riceve più di mille petizioni ogni giorno e per gestire i conflitti sociali, i governi locali hanno introdotto idee e pratiche democratiche, come ad esempio giurie di cittadini. Nel 2005 a Wenling si tenne un sondaggio deliberativo sul bilancio pubblico. L’esperimento fu così popolare che ora è istituzionalizzato, e molti osservatori ritengono che sia abbastanza democratico. Un sondaggio deliberativo simile si è svolto nel distretto Puxi di Shanghai nel 2015. Il distretto Haicang di Xiamen ha istituito un centro per la deliberazione pubblica che organizza ed esegue tutti i forum deliberativi locali. La contea di Aitu nella provincia di Jinling ha istituito il “Centro per l’arbitraggio popolare” attraverso il quale i cittadini possono richiedere un’udienza pubblica.
Questo centro ha anche mandato in onda su un canale televisivo locale alcuni dei dibatti tra gli abitanti dei villaggi e i leader locali. Un altro esperimento interessante è iniziato nel 2013 nella contea di Yanjin, nella provincia dello Yunnan. Qui, sia i cittadini selezionati casualmente che i rappresentanti politici possono avanzare nuove proposte sul bilancio pubblico, con la regola della maggioranza utilizzata per stabilire il risultato. Questi sono alcuni degli esperimenti di partecipazione democratica che stanno avvenendo in Cina. Questi esperimenti sembrano essere sempre più genuini, inclusivi e sono spesso impressionanti.
Tuttavia, il loro apporto alla democratizzazione del regime rimane una questione aperta.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.