Nel tardo pomeriggio di venerdì era in programma l’inaugurazione virtuale di una mostra dedicata al nuovo anno cinese del bue in via Po, sotto i portici di Torino. L’evento, organizzato dall’Istituto Confucio di Torino, si sarebbe dovuto svolgere su una delle tante piattaforme di videoconferenza. Un piccolo grande momento di incontro con le istituzioni italocinesi della città per insegnanti, studenti e appassionati in generale di cultura cinese. Tra gli altri erano presenti il console, autorità cittadine e diverse associazioni.
L’evento è stato cancellato. Non per qualche inconveniente tecnico, ma per un vero e proprio attacco hacker a opera di un gruppo di sconosciuti. Alcuni utenti si sono infiltrati nella videochat e ne hanno preso il controllo, urlando insulti razzisti e inviando svastiche, immagini e video offensivi.
Questo genere di attacchi online, noti come “zoom-bombing” (anche se in questo caso la piattaforma utilizzata era un’altra), è andato aumentando negli ultimi mesi, complice il trasferimento di molte attività di gruppo nel mondo virtuale. Stavolta a finire nel mirino dello sconosciuto gruppo neonazista è stata la comunità cinese, che a partire dall’inizio del 2020 è stata vittima di un numero crescente di episodi di razzismo e xenofobia. In questo caso, gli insulti e le immagini offensive non erano comunque rivolte solo verso i cinesi, ma anche verso persone di colore e cittadini del sud Italia.
China Files ha raccolto la testimonianza della professoressa Stefania Stafutti, docente di lingua cinese presso l’Università di Torino e direttrice di parte italiana dell’Istituto Confucio locale. “Faremo denuncia alla polizia postale e riorganizzeremo l’evento su un sito protetto”, spiega Stafutti. “Tra l’altro non è la prima volta che succede. So che anche l’Associazione ebraica era stata presa di mira, cosa che fa capire (se ci fossero stati dubbi) che si tratta di un’azione chiaramente connotata”.
A suo parere si tratta dunque di un attacco mirato contro la comunità cinese e di sinofobia?
“Mi pare che si tratti di razzismo generalizzato. Nei messaggi e nei video se la sono presa coi cinesi, con le persone di colore, con i meridionali. Il tutto con un tono molto sessista. Mi riesce difficile non dire che si tratti di neonazisti viste le svastiche”.
Visto che non è il primo episodio la sensazione è che sia un gruppo con una certa “esperienza” in materia.
“Direi di sì, l’attacco era organizzato con una certa perizia. Ci hanno tolto di fatto l’organizzazione e il controllo dell’evento, dunque chi ha agito ha di certo abilità informatiche”.
Secondo lei è possibile collegare questo episodio alla crescente polarizzazione che c’è in Italia (e non solo), anche in riferimento alla Cina?
“Credo di sì. Purtroppo la polarizzazione è aumentata e capita più spesso di assistere o essere vittime di episodi sgradevoli, seppure non a questo livello”.
Quanto è difficile oggi, in mezzo a queste spinte polarizzanti, mantenere la bussola e continuare a promuovere una riflessione seria sulla Cina?
“Quando la Cina non era un Paese potente l’atteggiamento era diverso, oggi quell’atteggiamento è cambiato. Possiamo naturalmente discutere dei diversi problemi aperti che la Cina pone come sistema ma dovremmo tutti, a partire dal mondo accademico, rifuggire a tutti i costi dalla dicotomia mortale di filo cinesi o anti cinesi. Serve promuovere un dibattito che tenga conto delle problematicità e le affronti in modo serio. Si può collaborare mantenendo la schiena dritta e non si tratta di essere eroi, basta essere buoni cittadini”.
A suo parere qual è il livello del dibattito pubblico, politico e mediatico sulla Cina in Italia?
“Mi pare evidente che a livello politico si sia polarizzato. Per quanto riguarda i media, credo che alla base ci sia il bisogno di fare notizia. Necessità che spesso si scontra con la pratica del ragionamento pacato, che richiede sforzo e non fa notizia. Non sono io a dover dare consigli nel settore, mi sento solo di dire che i mezzi di comunicazione dovrebbero essere i primi a non far passare solo la sensazione”.
Spesso però c’è anche la necessità di far capire di più su un argomento sconosciuto ai più. Come si può evitare di semplificare e dunque favorire quella polarizzazione di cui parlavamo prima?
“Io credo che esprimersi in modo semplice e comprensibile a un pubblico vasto non significhi semplificare. La sfida è riuscire a promuovere un ragionamento serio e accessibile, ma che non rifugga le complessità”.
di Lorenzo Lamperti e Sabrina Moles
NOTA A MARGINE. L’Istituto Confucio di Torino ha di recente divulgato il documentario “Cinesi in Italia”, un lavoro sulla comunità cinese in Italia che va oltre alle semplificazioni e alle narrazioni precostituite. Qui la prima parte, qui la seconda parte e qui una recensione di Jada Bai per China Files. Su Sinosfere si può invece rileggere il testo della lettera aperta di Stefania Stafutti al presidente Xi Jinping, scritta nel novembre 2019 in riferimento ai fatti di Hong Kong.
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.