Condanna per il “bombarolo” dell’aeroporto di Pechino

In by Gabriele Battaglia

Un tribunale di Pechino ha condannato a sei anni il protagonista di un attentato all’aeroporto di Pechino a luglio scorso. Ji Zhongxing è un lavoratore migrante disabile che si trovava a Pechino come petizionista. Come tanti altri, voleva un risarcimento per danni fisici da parte della polizia della sua città. Il tribunale di Pechino ha condannato a sei anni di carcere Ji Zhongxing, l’uomo in sedia a rotelle che si era fatto esplodere all’aeroporto internazionale di Pechino lo scorso luglio. Ora Ji ha dieci giorni per appellarsi contro la sentenza.
Attraverso il suo blog, si era scoperto subito che il 34enne era un lavoratore migrante originario della vicina regione dello Shandong. Era rimasto semiparalizzato in una città del Sudest cinese nel 2005 in seguito alle percosse ricevute dalle forze dell’ordine mentre guidava il suo risciò senza licenza.

Era un petizionista. La pratica delle petizioni consiste in una tradizione imperiale che permette ai cittadini cinesi di esporre delle rimostranze, spesso contro le autorità locali, direttamente al governo centrale. Per molti petizionisti, però, l’avventura nella capitale si conclude con una detenzione illegale in quelle che vengono definite black jail.
Migrante, petizionista e disabile pretendeva di essere risarcito per i danni fisici subiti. E non era andato come spesso accade a piazza Tian’anmen, di fronte alla Città Proibita. Si è fatto esplodere nell’aereoporto a forma di dragone progettato in occasione delle Olimpiadi del 2008 da Foster proprio per consacrare l’ascesa della Cina tra nuove potenze. Pare che prima di farsi esplodere abbia gridato ripetutamente: “state lontano, ho una bomba“.

Oggi la sentenza di primo grado dal Tribunale del Popolo del Distretto Chaoyang a Pechino l’ha condannato a sei anni per aver provocato danni fisici facendosi esplodere. Questo tipo di reati vieni in genere punito con una condanna da tre a dieci anni di carcere. Il signor Ji si era dichiarato non colpevole e aveva sostenuto che non aveva innescato intenzionalmente la bomba. L’unico rimasto ferito dall’incidente per altro è lui che è ancora sottoposto a un trattamento medico specifico.

Il suo avvocato ha sostenuto che Ji ha agito per disperazione. Nel 2005 era stato picchiato dalle guardie di sicurezza di Dongguan, la sua città natale, e in seguito era stato confinato a una sedia a rotelle. Le autorità di Dongguan hanno ignorato tutte le sue richieste di giustizia e i suoi aggressori non sono mai stati puniti.
Ma dopo l’attentato, l’ufficio petizioni Dongguan ha rilasciato una dichiarazione affermando che a marzo 2010 la polizia della città aveva compensato Ji con 100mila yuan (poco più di 12mila euro) ottenendo in cambio la promessa di non essere più chiamata a rispondere su tema. Secondo quanto affermato in seguito dai suoi famigliari Ji aveva accettato il risarcimento.

Negli stessi giorni in Cina era morto un venditore ambulante di cocomeri a Linwu, nella provincia dello Hunan. Anche lui era stato picchiato dai poliziotti urbani, noti come chengguan. La polemica aveva subito incendiato la rete: com’era possibile essere picchiato a morte solo perché non si possedeva una licenza? Era questo il tanto sbandierato “sogno cinese” promosso dal nuovo presidente Xi Jinping? Questo lo stato di diritto nella Cina del XXI secolo?

[Scritto per Lettera43; foto credits: news.com.au]